Premetto che la storia della famiglia Ulma, che pone più di un problema, mi ha lasciato sconvolto, non solo per la sua crudele eliminazione da parte dei nazisti, ma anche perché ha coinvolto l’intera famiglia, sei figli più uno ancora in grembo alla madre.
Mi ha spinto a scrivere queste riflessioni un articolo scritto da Gianfranco Chiari sulla sua pagina facebook, che invito subito a leggere.
Il signor Chiari si pone un dubbio, che per me è certezza, ovvero, allargando il discorso, se sia moralmente lecito coinvolgere i figli minori nelle scelte a rischio fatte dai genitori.
Dico subito di no, che non è lecito. C’è una eccezione, ovvero il caso in cui ci sia una tale emergenza in cui scatta subito il dovere di prestare aiuto, senza avere il tempo anche materiale di riflettere sulle conseguenze che possono coinvolgere l’intera famiglia. Ma se la scelta a rischio è fatta a priori, e tale scelta potrebbe compromettere la vita dei figli minori, allora mi sento di dire che non è moralmente lecita. Diverso il caso in cui i figli fossero maggiorenni e tutti consenzienti.
Per essere più chiaro vorrei citare un caso personale. Quando ero a Monte, responsabile di una comunità, avevo preso posizioni nel campo politico e sociale che avevano comportato seri rischi nei riguardi della mia incolumità anche fisica. Ma ero solo, non avendo una famiglia. E potevo, anzi dovevo rischiare, obbedendo alle mie convinzioni di fondo. Ma non l’avrei fatto, se avessi avuto una famiglia, con dei figli minori. Ecco perché sostengo, ancora oggi, che i preti celibi sono più liberi di prendere decisioni anche a rischio della propria vita fisica, e non solo; nel mio caso, essendo anche stato rimosso dalle autorità ecclesiastiche, avrei trascinato nella mia disavventura l’intera famiglia.
Questo ragionamento penso che possa valere anche per i politici, che potrebbero rischiare di più se non avessero una famiglia con dei figli. “Potrebbero”…
Dunque, per essere più chiaro, certe scelte radicali vanno prese con oculatezza, saggezza, prudenza, se si ha una famiglia. Avere poi sette figli, per me è stata una follia, senza aggiungere altro!
C’è di più. Il discorso continua dopo che la Chiesa istituzionale ha deciso di beatificare come martire l’intera famiglia, compreso il figlio non ancora nato.
Sulla canonizzazione ecclesiastica ho sempre avuto forti dubbi. Basterebbe pensare al criterio stabilito dalla stessa gerarchia per “canonizzare”, ovvero proclamare solennemente qualcuno o qualcuna (all’interno della stessa Chiesa cattolica) prima servo di Dio, poi beato, poi santo (già una graduatoria del tutto ridicola!), in base alla osservanza di certe virtù, stabilite dalla stessa Chiesa, come a dire: la Chiesa istituzionale si auto-esalta. E poi perché si scelgono da santificare certe persone e altre no? Ci sono santi canonizzati tali dalla Chiesa che gridano vendetta al cospetto di Dio: pensate a San Cirillo d’Alessandria potrei citare anche Padre Pio. E qual è lo scopo di tali canonizzazioni? Proporre modelli alla società anche non credente… Assurdo, pensando, ripeto, a certi santi o sante che più nulla dicono, e meglio così, alla società di oggi. Modelli, e quali modelli?
Continuo con un’altra domanda: che senso ha (forse prenderli e prenderci per i fondelli), riproporre oggi come santi degli eretici messi al rogo dalla stessa Chiesa? E farli oggi santi non è mettere loro addosso una aureola, castrandoli nel loro spirito rivoluzionario, che ha fatto tremare la Chiesa di allora, ma che oggi, passato il pericolo, servono solo a pulire il culo di una Chiesa che prima ammazza e poi santifica?
Se il criterio della Chiesa per “canonizzare” rimane lo stesso, ovvero quello delle virtù scelte dalla stessa gerarchia, sarebbe proprio il caso di dire ad esempio: speriamo che don Mazzolari o don Milani non vengano posti sugli altari, perché verrebbero traditi nella loro forza rivoluzionaria, per cui ecco la domanda: a che cosa servirebbero, se fossero castrati nella loro libertà interiore?
Ma ciò che ritengo assurdo e allucinante è che la Chiesa istituzionale, non saprei per quale vera motivazione, arrivi al punto di “canonizzare” una famiglia e gli stessi figli minorenni, addirittura uno ancora in grembo, del tutto ignari della scelta dissennata dei loro genitori.
Non dico altro.
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da AVVENIRE
La storia.
Tra i beati della famiglia Ulma
un bimbo nato nel martirio
Enrico Lenzi mercoledì 30 agosto 2023
Domenica 10 settembre sugli altari la famiglia polacca trucidata dai nazisti. L’ultimo dei sette figli “partorito al momento del martirio della madre”. Nota della Santa Sede. In un libro la storia.
C’è anche un bambino “nato al momento del martirio della madre” tra i nuovi beati che saliranno agli onori degli altari domenica 10 settembre durante un solenne rito celebrato in Polonia. Non solo. A rendere eccezionale l’avvenimento è che si tratta di un intero nucleo familiare: papà, mamma e 7 figli. L’ultimo appunto era nel grembo materno al momento della strage e l’assalto criminale ne ha accelerato la venuta al mondo. La precisazione è del Dicastero della cause de santi, presieduto dal cardinale prefetto Marcello Semeraro. In una nota infatti, si sottolinea che al momento dell’eccidio, la madre “signora Wiktoria Ulma era in stato di avanzata gravidanza del settimo figlio”. Quest’ultimo “è stato partorito al momento del martirio della madre”. Di fatto, conclude la nota, “nel martirio dei genitori egli ha ricevuto il Battesimo di sangue”.
Siamo a Markowa, un villaggio nel sud-est della Polonia. Qui viveva la famiglia Ulma composta da papà Josef (44 anni) e mamma Wiktoria (32 anni), dalla cui unione sono nati Stasia (7 anni), Basia (6), Wladziu (5), Franio (4), Antos (3) e Marysua (2). A loro a breve si sarebbe unito anche un settimo bambino. Siamo nel 1944 durante la Seconda guerra mondiale che per la Polonia significa occupazione dell’esercito nazista e piena repressione degli ebrei. A Markowa vivevano molte famiglie ebree e diverse famiglie di cattolici decisero – a rischio delle propria vita – di nasconderle. Scelta che fecero anche Josef e Wiktoria, che aprirono la propria casa a ben otto persone, tra cui anche dei minori. Del resto per i coniugi Ulma la parabola del Buon Samaritano era uno stile di vita valido per ogni buon cristiano come loro.
Una probabile delazione di chi aveva scelto di stare con i nazisti, portò il 24 marzo 1944 all’accerchiamento della loro casa e l’immediata uccisione degli otto ebrei nascosti nel solaio. Poi bisogna dare una lezione alla popolazione e così Josef e Wiktoria vennero condotti fuori dalla casa e uccisi davanti ai loro figli. Ma la crudeltà umana non si fermò e così vennero uccisi anche tutti i sei bambini. Agghiacciante la frase che rispose uno degli assassini alla domanda del sindaco della città, convocato per dare sepoltura alle vittime: «Perché tu e il tuo villaggio non abbiate problemi con loro».
Un eccidio sconvolge sempre, ma quando tra le vittime – ebree e cattoliche – vi sono dei bambini rende il tutto ancora più indigesto. Non a caso don Pawel Rytel-Andrianik e Manuela Tulli hanno intitolato il proprio libro «Uccisero anche i bambini. Gli Ulma, la famiglia martire che aiutò gli ebrei», pubblicato dalle Edizioni Ares (pagine 152, euro 15, con una prefazione intervista al cardinale Marcello Semeraro prefetto del Dicastero della cause dei santi). Un racconto che permette al lettore di conoscere la vita di Josef e Wiktoria prima della drammatica fine. E anche di comprendere come in Polonia cattolici ed ebrei convivessero pacificamente, soprattutto nelle piccole realtà rurali, grazie anche al racconto degli altri “otto martiri ebrei” che quel 24 marzo persero la vita.
A rendere questa vicenda – e di conseguenza il libro – ancora più straordinaria vi è la decisione relativa alla beatificazione (prevista per il prossimo 10 settembre) anche del settimo figlio degli Ulma, che al momento dell’eccidio non era ancora nato. Tema delicato, che nel corso della causa di beatificazione è stato sottoposto a una lunga analisi partendo dalle testimonianze raccolte nel corso del tempo. A confermare che Wiktoria quando morì era incinta furono coloro che dovettero scavare la fossa comune e porvi dentro i corpi delle vittime. Qualche giorno dopo i parenti degli Ulma – anch’essi a rischio della vita – decisero di riesumare i corpi per metterli almeno nelle bare. Fu in questa occasione che si poté osservare che il nascituro dopo l’eccidio era parzialmente uscito dalla madre. Dunque il bimbo nacque dalla mamma morente, non sopravvivendo a sua volta. Per lui si parla di “Battesimo del sangue”, quello versato da sua mamma uccisa in odio alla fede. Un martire senza nome, ma realmente martire di un odio che ha percorso l’Europa per moltissimi anni: l’antisemitismo e l’eliminazione di chiunque aiutasse gli ebrei.
Di loro ha parlato ieri anche papa Francesco nel saluto ai fedeli polacchi presenti all’udienza generale. «L’esempio di questa famiglia eroica, che ha sacrificato la propria vita pur di salvare i perseguitati ebrei, vi aiuti a comprendere che la santità e i gesti eroici si raggiungono attraverso la fedeltà nelle piccole cose quotidiane», ha detto il Papa.
Il libro scritto a quattro mani da don Pawel Rytel-Andrianik e Manuela Tulli, accompagna il lettore proprio dentro questa storia, fornendo lo scenario nel quale si è formata e si è sviluppata, restituendo anche un volto rimasto per tanto tempo nascosto della Polonia che ha cercato di resistere non solo contro l’invasore nazista (in questo caso, senza dimenticare quello sovietico nella parte orientale), ma anche alla legge di disumanità che gli occupanti volevano imporre. Josef e Wiktoria, assieme ai loro 7 figli, mostrano una famiglia che ha voluto porre sopra ogni altra cosa la difesa della vita dell’altro, anche davanti a pericoli oggettivi. Viene da pensare che nella loro scelta i coniugi Ulma si siano domandati se trovandosi nella situazione di essere perseguitati cosa avrebbero sperato per i propri figli. La riposta l’hanno data con il loro coraggio.
Mi trovo perfettamente d’accordo con la posizione di don Giorgio. Per un padre e una madre, senza pensare ad una visione egoistica, la prima missione è quella di dedicarsi alla propria famiglia. Giuseppe davanti al rischio della vita di Gesù, ancora bambino, non ha esitato a scappare per proteggere la vita del figlio. Sappiamo che nella strage degli innocenti molti bimbi son stati trucidati eppure Giuseppe ha fatto di tutto per preservare la vita di suo figlio, come era logico fare. Non è egoismo ma è rispondere pienamente alla missione di genitore che accudisce il dono di una vita. Se ospitare in casa persone bisognose, gesto nobile e umano, può mettere a repentaglio la vita dei propri figli allora non va fatto.
Mi permetto di ricordare un consiglio ricevuto dal card. Tettamanzi in confessione nel momento in cui avevo rivelato alcuni problemi sorti in famiglia in relazione al servizio che compivo in parrocchia e mi occupava molto tempo: “prima sistema le cose a casa poi, se avrai tempo, dedicherai un pò di tempo ad altro”. In quel “poi” c’è tutto il senso del suo discorso; ormai si cerca la realizzazione al di fuori della famiglia: è sbagliato…la famiglia è la missione per la vita degli sposi. Tutto deve realizzarsi all’interno della famiglia. La famiglia è “il martirio quotidiano” ma soprattutto il luogo scelto per donare la propria vita. La mia vita la dono per mia moglie, per i miei figli. Ecco che non cerco altro perchè ho già trovato il luogo dove la mia esistenza trova senso, diventa cristiana, assomiglia alla vita di Gesù.
Certo poi la famiglia dev’essere aperta, accogliente, disponibile. Ma non deve mettere a rischio la sua esistenza.
La Chiesa quando canonizza cerca sempre qualcosa di spettacolare, estremo…qualcosa che crei stupore. I santi che mi piacciono sono nella quotidianità e spesso non sono Santi per la Chiesa. Una famiglia che onora e sostiene la crescita di un bambino down o afflitto da una malattia rara. Gli anziani che nonostante gli acciacchi continuano a riversare tutte le energie per i figli e i nipoti. Ma anche quelle persone che son riusciti a dire “la mia vita la dono a te” e portano avanti questo dono fino alla fine. Non sono forse esempi bellissimi di santità?