Angelo Scola si è dimesso, ma quando se ne andrà?
di don Giorgio De Capitani
Pensavo che l’esperienza pastorale milanese di Angelo Scola almeno finisse in gloria, programmando quest’anno un Avvento del tutto particolare, diverso dagli altri anni. E invece no! Sarà ancora un Avvento gestito dal mondo variegato di associazioni cattoliche e di movimenti ecclesiali, probabilmente, oltre al vuoto di novità, per riempire in parte il Duomo, visto che non è bastata la presenza del vescovo ciellino ad attirare le folle, così come invece succedeva con Carlo Maria Martini.
Da tempo sostengo che i due momenti “forti” dell’anno liturgico, ovvero l’Avvento e la Quaresima, vengano organizzati, anche e soprattutto in Duomo, proponendo temi alti, invitando a parlare personalità di spicco, religiosi e laici, per rispondere alle vere esigenze della gente o, per lo meno, di coloro che, e per me sono tanti, che vorrebbero nutrirsi di una Parola calda e profonda: non si sentono solo pancia, ma anche mente e cuore.
Ma sembra che oramai ci sia una pavida rassegnazione, con la paura di uscire dallo “scontato perdente”, convinti che la massa della gente si sia definitivamente allontanata. Ma non è così. Sono convinto che il Duomo e le chiese della Diocesi di nuovo si riempirebbero di assetati di verità sublimi, purché non si continui a proporre loro solo fieno o, per lo meno, quel parlare a vuoto di colti astratti dalla realtà.
Non si pretende che per tutto l’anno liturgico si chieda troppi sforzi mentali alla gente distratta da mille cose e preoccupata da mille problemi esistenziali, anche se c’è sempre l’omelia festiva come occasione settimanale per educare i credenti a rientrare in se stessi, ma anche qui non basta dire e ridire le solite cose magari improvvisate o copia e incolla, ma occorre una preparazione che, per lo meno, faccia capire all’assemblea che il suo prete ha riflettuto sui brani della Messa, spendendo diverse ore. Certo, sarebbe l’ottimo che i preti attingessero al mondo mistico, se vogliono far scoprire ai loro fedeli la bellezza del Vangelo del Cristo della fede o mistico, e non i soliti insegnamenti morali, provocati da miracoli o raccontini.
Il cardinale Angelo Scola, non prima senz’altro della visita del Papa a Milano, ma non dopo la pausa estiva, lascerà la Diocesi milanese, ma il problema sarà il successore che dovrà rimboccarsi le maniche, analizzare a fondo la situazione pastorale della Diocesi, affrontare coraggiosamente le prime difficoltà, se vuole poi rinnovare radicalmente la Diocesi, puntando sull’essere umano, prima ancora di immergersi nelle realtà sociali, senza tuttavia isolarsi in un mondo solo ideale. Non gli si chiede che faccia il monaco contemplativo, ma che si immerga in una interiorità profonda dell’essere umano, e da lì partire per rinnovare la Diocesi anche nelle sue strutture.
Ma il problema vero sarà il clero milanese che, da sempre, è il vero ostacolo ad ogni rinnovamento radicale: un clero che, anche in questi ultimi anni, si è buttato in cose talora stravaganti o si è rassegnato anche al peggio, salvando solo il proprio posto parrocchiale.
I preti oramai ridotti all’osso sono preoccupati di ridurre Messe o altro, invece che di qualificare la pastorale, uscendo dal cerchio di una religiosità solo o quasi organizzativa o strutturale, per puntare, anche qui, sulle vere esigenze della gente, che è la sete o la fame del Divino interiore, e non continuare a programmare feste culinarie d’ogni tipo, tanto più che a organizzarle è talora e spesso gente magari leghista o razzista, che se ne frega dello spirito interiore del Vangelo più autentica: per loro conta solo la pancia!
Sì, è un problema serio e grave il clero milanese, a partire dai preti più giovani che non sembrano animati da una nuova e stimolante pastorale dell’essere interiore, ma sembrano gasati di esteriorità e, essendo giovani, credono di attirare i ragazzi, dando loro solo spettacoli da clown o proposte che lasciano il tempo che trovano.
E sì, il clero milanese fa paura per la sua immobilità o mobilità solo apparente e tutto fumo. D’altronde, non si dimentichi che la recente organizzazione di più parrocchie in Comunità pastorali fa sì che i pochi preti corrano di là e di là come cavallette, per celebrare Messe o amministrare i sacramenti, oberati poi da pesi inutili o non pertinenti alla pastorale spirituale (quella che incide nell’essere interiore).
E Gino Bartali direbbe: “l’è tutto da rifare!”, ma non ripartendo dal solito punto sbagliato, ma elevando il livello pastorale.
Angelo Scola a breve se ne andrà e lascerà al successore una bella patata bollente, ma non sono così pessimista da credere che l’avventura di guidare la Diocesi milanese sia impossibile. Bisogna però avere coraggio, rischiare puntando in alto o, meglio, sull’essere interiore dell’uomo. Non tutto è perduto. Guai se lo fosse!
Si può fare e rifare, partendo dalla realtà a occhi aperti, senza farsi vincere dalla paura di scoprire quale sia la vera Realtà dell’essere umano.
Infine, vorrei fare una proposta al nuovo vescovo di Milano: ascolti le voci “dissidenti” presenti in Diocesi, pochi o tanti che siano, chiamandoli o incontrandoli sul luogo. Sono forse loro il punto di partenza. Mi ricordo sempre ciò che mi diceva il cardinale Carlo Maria Martini: “Io ho bisogno di te!”, al contrario di quanto mi dirà poi Angelo Scola: “Io non più bisogno di te!”.
Mi permetto di segnalarle un articolo apparso su Milano Repubblica.
http://milano.repubblica.it/cronaca/2016/11/08/news/mariano_comense_prete_salvini-151579595/
Molto interessante soprattutto perché Lei, Don Giorgio, non è il solo, in una certa battaglia.
Un saluto
Grazie dell’articolo.
Ieri sera il TG regionale della Lombardia ha trasmesso in apertura il servizio su Don Alberto Vigorelli. Grazie don Alberto per il tuo coraggio che esprimi con “mitezza”. La terza beatitudine del vangelo di Matteo (5,5) “Beati i miti, perché essi erediteranno la terra” ti si addice. La tua “mitezza” non è codardia né mera remissività. “La mitezza non rinuncia alla lotta per debolezza o per paura o per rassegnazione” (Norberto Bobbio in Elogio della mitezza). A papa Francesco chiedo di non accogliere la richiesta di rimozione presentatagli dal vicepresidente del Senato Roberto Calderoli. Se c’è uno che non deve “vergognarsi” questo è don Alberto, mentre lo è il monsignore del quale non cito il nome per non fargli pubblicità per la sua mancanza di coraggio.
Ho la sensazione che le omelie siano una sorta di scoglio insormontabile per parecchi preti, a qualsiasi diocesi appartengano. Del resto essere efficaci e concreti, e allo stesso tempo saper attirare l’attenzione dell’uditorio, non è un’impresa da poco. Forse a volte sarebbe meglio evitare la cosiddetta “predica” oppure limitarsi ad un breve commento del vangelo, così da evitare grossi danni e non fornire ulteriori pretesti alla disaffezione dei fedeli.
Certo la dimensione dell’arcidiocesi più grande del mondo non ne agevola la gestione, ma…..
Dipende anche molto dal suo pastore cosa fare o meno.
Una visione puramente formale di fede non aiuterà a riempire le chiese, almeno Martini operava un’interessante operazione multiculturale con i famosi dialoghi…..
Altro ostacolo l’inedia in cui cadono molte parrocchie, invero non solo nell’ambito milanese, per cui si tende a limitarsi allo stretto dovuto….liturgia, adempimenti amministrativi e…stop….
anche solo, tanto per citare un caso personale, domandare di andare a esercitarsi su un organo diviene proibitivo, ma non perchè si tema per lo strumento, ma perchè non si ha voglia di andare ad aprire i locali….parlo proprio per esperienza personale….
Diverse volte abbiamo criticato i sacerdoti che limitano la…come dire…vita sociale delle proprie parrocchie alle feste a base di salamelle, ebbene, a volte non si trovano neppure più questi.
Perchè?
Perchè organizzare qualcosa è comunque un impegno.
Certo, ci sono le dovute eccezioni, ma oggi molti si chiudono in una sorta di hortus conclusus, da cui è impossibile smuoverli.
Pertanto, il pastore è importante, ma anche le singole parrocchie devono fare la loro parte, ed a quanto pare, molti preferiscono un vescovo che, appunto, li lasci nel loro quieto vivere.
Finalmente un brano senza rabbia, senza insulti e in positivo qualche proposta. Così è bello leggerla.
Hai almeno letto gli artici precedenti sullo stessa tema? Dove, se li hai letti, hai trovati insulti o non abbia fatto le stesse proposte? Mi verrebbe voglia di insultarti, magari dire che il solito coglione che arriva in ritardo e mi giudichi trovando qualche scusa per contestarmi. Ma insultarti non ne vale la pena.
A proposito di omelie domenicali.
Vivo in Brianza ed ogni domenica vado a Messa in una parrocchia diversa della mia zona, sopratutto d’estate quando vado in bici e mi fermo alla Messa della domenica sera dove capita.
Hai maledettamente ragione don Giorgio: le prediche ( o omelie ) sono ovunque un pietoso coacervo di banalità senza capo né coda!
E’ così difficile per i preti capire che le uniche parole che la gente sente,almeno quella poca che ancora frequenta la Chiesa,e che dovrebbero stimolarla a pensare sono le prediche della domenica ?
Su dai! preti milanesi, studiate un po’ e preparatele le prediche ! In fondo é il vostro mestiere !