Repubblica, Stampa, Avvenire, Giornale, Il dubbio
Premierato forte,
una guida per capirci qualcosa
in quindici domande
di ALESSANDRO TROCINO
La «madre di tutte le riforme», la chiama Giorgia Meloni, che l’ha lanciata e fatta approvare dal Consiglio dei ministri. Ora il «Melonum», che dovrebbe disegnare la «Terza Repubblica», deve essere approvato in doppia lettura dal Parlamento e, in mancanza della maggioranza dei due terzi, da un referendum popolare. Si tratta di un unicum, visto che all’estero non esiste un modello simile. Si tratta, come ha scritto Michele Ainis, di «unire in matrimonio il “sindaco d’Italia” brevettato nel 1996 da Mariotto Segni, con il “sindaco d’Israele” inventato nel 1992 da Yitzhak Rabin». Proviamo a riassumere i punti della riforma e poi a capire i principali dubbi, con i pro e i contro.
I punti della riforma
1. Elezione diretta Si prevede l’elezione del presidente del Consiglio dei ministri a suffragio universale e popolare. Il candidato premier deve essere un parlamentare (no a tecnici). Il suo incarico ha una durata fissata a 5 anni.
2. Norma antiribaltone Il premier può essere «sostituito solo da un parlamentare della maggioranza e solo al fine di proseguire nell’attuazione del medesimo programma di governo». Nel caso cessasse il mandato del sostituto, si tornerebbe al voto.
3. Premio di maggioranza Si ipotizza un sistema elettorale che dia un premio di maggioranza al partito o alla coalizione di partiti collegati al premier pari al 55 per cento dei seggi.
4. Addio ai senatori a vita di nomina Si elimina il potere di nomina, in capo al Quirinale, di nuovi senatori a vita. Sarebbero tali solo i presidenti emeriti della Repubblica.
1. Serviva una riforma istituzionale?
Da tempo si sottolinea la debolezza dei governi, che si succedono a una velocità vertiginosa, rispetto agli altri Paesi. Del resto, i padri costituenti hanno disegnato un sistema che dà centralità al Parlamento e al Capo dello Stato, considerato il garante dell’unità nazionale. Dunque, l’obiettivo principale della riforma, come da intenti annunciati, è rafforzare la stabilità dei governi, favorire la coesione degli schieramenti, evitare trasformismo e governi tecnici. C’è da dire che da anni si lamenta spesso anche il contrario. E cioè che i governi, attraverso l’abuso di decreti legge, abbiano sostanzialmente scippato il potere legislativo alle Camere, sottraendo centralità al Parlamento. E che i partiti della maggioranza, attraverso la nomina dei parlamentari e il no a emendamenti (come sulla legge di bilancio), finiscano per blindare sempre più spesso i provvedimenti. Ma la voglia di riforme è spesso un tentativo dei governi di creare un obiettivo alto, ambizioso, un progetto che distolga dalla gestione quotidiana dei problemi e delle difficoltà. Così fu, per esempio, almeno in parte, per la grande riforma di Bettino Craxi. Per Ezio Mauro, «questa riforma non risponde a un’esigenza di potenziare l’esecutivo, che dispone oggi di una solida maggioranza, né a un bisogno di rafforzare la figura del presidente del Consiglio, visto che la leadership di Giorgia Meloni è indiscussa dopo la vittoria elettorale, e senza alternative secondo i sondaggi, sia dentro la maggioranza che fuori». C’è invece una spinta «populista», che consiste sostanzialmente nel trasferire fittiziamente al popolo il potere. Ma per Mauro c’è anche molto di più: «Il principale obiettivo di Giorgia Meloni è cambiare il regime e non solo il governo, costruendo attorno alla conquista del potere della destra ex missina una cornice eroica e una pretesa epocale, con uno sfondamento culturale, una correzione della storia, l’avvio di una nuova era». Sulla Stampa, Massimo Cacciari scrive che si tratta di «un tributo alle mitologie decisionistiche».
2. La Costituzione «più bella del mondo» è intoccabile?
Ovviamente no. La forza della nostra Costituzione, davvero straordinaria, sta soprattutto nella coerenza e nella forza dei principi espressi e nelle modalità in cui è stata pensata da un arco di costituenti che rappresentavano tutto il ventaglio delle posizioni democratiche del dopoguerra. Ma le regole che presiedono alla formazione del governo e i rapporti tra le istituzioni fanno parte di un meccanismo laico, costituiscono uno strumento necessario ma aleatorio e l’ingranaggio di un sistema democratico che ha mille variabili possibili. E che per loro natura non sono intoccabili, ma il frutto di esigenze politiche diverse che vanno contemperate (rappresentatività e governabilità su tutte). La Costituzione disegna l’edificio e l’equilibrio architettonico, ma il sistema complessivo, la logica dei pesi e contrappesi non è e non può essere immutabile.
3. L’elezione diretta del premier ha senso? E che differenza c’è con il presidenzialismo?
L’elezione diretta del Capo dello Stato di solito prevede una maggioranza assoluta e un ballottaggio, in modo da garantire un’alta percentuale di partecipazione e di consensi. In questo caso, viene lasciato alla legge ordinaria l’eventuale quorum e il numero dei turni con cui eleggere il premier e assegnare la maggioranza. Viene considerata anomala anche l’assenza di un tetto ai mandati, ancor più anomala in presenza di una legittimazione popolare. L’elezione diretta del premier, ha sostenuto sul Giornale Massimiliano Scafi non è altro che la ratifica formale di una situazione esistente già di fatto: «Berlusconi, Prodi, la Meloni stessa, non sono forse arrivati a Palazzo Chigi dopo un’investitura popolare? Non avevano il nome sulla scheda? Non hanno preso la guida del Paese dopo aver vinto le elezioni?».
4. Il premio di maggioranza, 55 per cento dei seggi, non è eccessivo?
Il primo partito o la prima coalizione ottengono il 55 per cento dei seggi. L’obiettivo è evitare che la maggioranza sia debole, che debba giocare su pochi voti la sopravvivenza, sempre soggetta al rischio di compravendita di parlamentari e di trasformismo. La principale critica a questa norma è lo squilibrio che potrebbe crearsi, anche in considerazione della mancanza di una soglia minima fissata per accedere a quel 55%. Norma che potrebbe essere anticostituzionale. C’è già una sentenza della Consulta sul Porcellum che stabilisce le soglie minime. Come dice Michele Ainis: «Ipotizziamo che si sfidino quattro coalizioni maggiori, e che quella vincente abbia preso il 17 per cento. Se quel 17 diventa 55 per cento in Parlamento, si crea una stortura istituzionale». Come scrive Angelo Picariello su Avvenire, va tenuto presente che, senza le preferenze, i parlamentari sono sempre più scelti dai capi dei partiti. Il rischio è quindi «quello di fare del Parlamento una sorta di “Consiglio di amministrazione” chiamato a gestire, per conto del potere esecutivo, il potere legislativo».
5. La norma «antiribaltone» e il «secondo premier» funzionano?
Se il premier eletto lascia, non si sciolgono automaticamente le Camere né si possono creare governi di coalizione dell’opposizione né tanto meno tecnici. Può invece essere incaricato lo stesso premier o una figura della stessa coalizione che abbia «lo stesso indirizzo politico» e «gli stessi impegni programmatici». Inevitabile soffermarsi sul carattere generico di queste norme: cosa vuol dire esattamente «stesso indirizzo politico»? L’idea, comunque, è quella di blindare la maggioranza uscita dalle urne. Ma ci riesce? In realtà no, come ha spiegato il senatore di Fratelli d’Italia Marcello Pera al Sole 24 Ore. Perché il sistema è modellato su quello anglosassone, che però è sostanzialmente bipartitico: un solo partito al governo, uno all’opposizione. Da noi i governi sono storicamente di coalizione. E quindi si crea un pericolo evidente: quello di esporre il premier alla guerra o ad agguati da parte degli altri partiti della coalizione che potrebbero ambire alla leadership. Con due leader forti — poniamo Meloni e Salvini — il rischio sarebbe alto. Niente ribaltone, dunque, ma come scrive Antonio Polito, «un ribaltino». Contro la logica del secondo premier (peraltro non eletto dal popolo) si sono espressi Giuliano Amato, Francesco Clementi, Stefano Ceccanti e Peppino Calderisi. C’è chi teme che si possano stabilire patti per una staffetta, non dichiarata pubblicamente: la prima parte della legislatura con un premier, la seconda con un altro.
6. Il premierato era nel programma elettorale?
Così ha detto Ignazio La Russa nell’intervista al Corriere della Sera. Ma in realtà nel programma si trovava il presidenzialismo, bandiera già del Msi poi del centrodestra italiano. Per presidenzialismo si intendeva l’elezione diretta del presidente della Repubblica. Già Giorgio Almirante, 40 anni fa, spiegava a Enzo Biagi le sue ragioni in favore del presidenzialismo.
7. Il premierato non esiste in nessun Paese al mondo, come può funzionare?
Questa, scrive Angelo Panebianco sul Corriere, «non può essere un’obiezione decisiva. Nemmeno il semipresidenzialismo esisteva prima che De Gaulle lo imponesse in Francia e ha funzionato a lungo e piuttosto bene nonostante che, quando nacque, fossero in tanti a prevederne il fallimento».
8. Il premierato previsto dalla riforma è davvero «forte»?
Non proprio. Perché, a parte la legittimazione popolare, il premier non ha il potere costituzionale di nominare i ministri del proprio governo, né di rimuoverli, né di sciogliere le Camere. Dunque, a una maggiore legittimazione popolare, e quindi un maggiore potere simbolico, non corrisponde un reale aumento dei poteri.
9. Il presidente della Repubblica perde potere?
Il punto precedente si può leggere proprio come il tentativo di mantenere un ruolo importante in capo al Quirinale: il presidente della Repubblica conserva almeno formalmente i suoi poteri. Ma, in realtà, di fronte a un premier eletto dal popolo, di fronte alla norma anti ribaltone, i suoi poteri diventerebbero molto meno stringenti e decisivi. E poi è la stessa legittimazione popolare del premier a svalutare il Quirinale. Quest’ultimo diventa una figura non scelta dal popolo, quindi più in odore di partitocrazia e di casta, rispetto a un premier votato direttamente dal popolo. Non a caso c’è chi predice le dimissioni di Sergio Mattarella, che finora non si è espresso, nel caso in cui passasse la riforma.
10. Che differenza c’è con il cancellierato tedesco?
Il sistema tedesco è sostenuto dal Pd. La differenza con il premierato forte la spiega Stefano Ceccanti: «Il testo appare del tutto distante dalle proposte che sin qui avevano immaginato, che per lo più si basavano su un’indicazione (non un’elezione diretta) di un Primo ministro abbinata a un sistema prevalentemente maggioritario e su poteri analoghi a quelli del Cancelliere tedesco (fiducia al solo Cancelliere da parte di una sola Camera, potere di chiedere al capo dello Stato la revoca oltre che la nomina dei ministri, sfiducia costruttiva con indicazione di un nuovo premier a maggioranza assoluta, potere di chiedere elezioni anticipate qualora sconfitto sulla fiducia, che sono concesse qualora entro pochi giorni la Camera non elegga un nuovo premier a maggioranza assoluta)».
11. Che differenza c’è con il «sindaco d’Italia»
Matteo Renzi aveva espresso un primo sì alla riforma meloniana, basato sulla vicinanza al modello del «sindaco d’Italia». Ma poi ha frenato. Perché c’è una differenza fondamentale: nel sistema comunale vige il principio del simul stabunt simul cadent. Cioè, se cade il sindaco si scioglie il consiglio comunale. In questo caso c’è un secondo premier possibile che, paradossalmente, è più forte del primo perché ha in mano l’arma potenziale dello scioglimento delle Camere.
12. C’è il pericolo dell’«uomo forte», dell’«uomo solo al comando»?
Considerando i pochi poteri dei premier, non pare ci siano molti pericoli in questo senso. Anzi, visti con la prospettiva della destra, gli intenti della riforma sono piuttosto fallimentari. Ma è inevitabile. Giorgia Meloni sa che non sarebbe stato accettato, anche a livello internazionale, che un partito post-fascista varasse una riforma con un accentramento eccessivo dei poteri su una sola persona.
13. Ci sarà il referendum confermativo o l’iter si fermerà prima? E come andrà?
Il referendum popolare confermativo è richiesto dalla Costituzione per riforme costituzionali che non ottengano i due terzi dei voti in ogni Camera. Quindi se il Parlamento l’approverà a maggioranza semplice sarà inevitabile. Ma sia Berlusconi nel 2006, sia Matteo Renzi nel 2016 si sono infranti su quello scoglio. E Renzi è stato costretto a dimettersi. Meloni ha spiegato di non legare il successo del referendum alla permanenza del governo. Ma un no costituirebbe un grave vulnus di immagine per il governo e lo metterebbe comunque a rischio. Per questo non sono escluse modifiche. Come ha scritto Angelo Panebianco: «Se non ti chiami Charles de Gaulle, se non vuoi suicidarti politicamente e se vuoi sul serio cambiare la forma di governo, devi ottenere il consenso di una parte significativa dell’opposizione». Molti, peraltro, pronosticano che le due riforme — premierato (Fdi) e autonomie (Lega) — siano usate solo a fini elettorali. Che cioè si punti ad un’approvazione in prima lettura entro le Europee del prossimo anno, per poi non completare l’iter, arenandosi in Parlamento.
14. Hanno ancora senso i senatori vita di nomina presidenziale?
Del Parlamento fanno parte anche i senatori a vita, che sono ex presidenti della Repubblica o personalità illustri scelta dal Quirinale. Attualmente sono cinque: Mario Monti, Elena Cattaneo, Renzo Piano e Carlo Rubbia, nominati da Giorgio Napolitano, e Liliana Segre, nominata da Sergio Mattarella. In passato la norma che prevede la nomina di cinque senatori a vita fu interpretata in maniera estensiva da Sandro Pertini e Francesco Cossiga, che nominarono ciascuno cinque senatori. Ora si vogliono abolire i senatori nominati, non quelli di diritto (ex presidenti). Le critiche principali sono che si tratta spesso di figure autorevoli ma anziane, che non partecipano spesso ai voti e alla vita del Senato. E che spesso vengono richiamate solo in occasione dei voti decisivi per il governo, mantenendo così in vita gli esecutivi, pur essendo senatori non eletti. Ma naturalmente c’è anche un accanimento da destra, visto che nessuno degli esponenti nominati appartiene a quell’area politica.
15. Concludendo, è una riforma utile che può funzionare?
La maggior parte dei costituzionalisti è critica, con questa formulazione. Ma il Parlamento può intervenire e cambiare molto. Ha scritto Angelo Panebianco: «Il testo presentato sembra più un ballon d’essai che una proposta compiuta… L’aspetto negativo è che, stando a questa prima versione della riforma, il premier eletto sarebbe in realtà debole nonostante l’investitura popolare. Anche se gli ideologici, privi di fantasia, parlano già di «svolta autoritaria», il rischio, al contrario, è quello di un premier in balia dei ricatti di questa o quella frazione della maggioranza. Senza la possibilità di tenerle in riga minacciando lo scioglimento delle Camere. L’esito più probabile non è l’autoritarismo ma il caos». Come ha detto Francesco Clementi, un blocco di sistema «alla messicana». Polito conclude: «Ideata per dare più poteri all’esecutivo e più durata alle legislature, aspirazioni giuste e sulle quali la politica italiana si interroga sterilmente da decenni, il risultato sembra invece a molti una ricetta per maggiore confusione e caos».
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dal Corriere della sera
Cos’è la riforma costituzionale,
che cosa cambia, quali sono i tempi:
domande e risposte sul premierato
di Emanuele Buzzi
Dall’iter del testo appena approvato in consiglio dei ministri all’ipotesi del referendum popolare, dalle norme per il quesito alla scelta sui senatori a vita. Trenta quesiti e trenta risposte che spiegano la riforma del premierato
Il Consiglio dei ministri ha dato il via libera a una riforma costituzionale che introduce tra le altre cose il concetto di «premierato» con lo scopo, appunto, di rafforzare i poteri del presidente del Consiglio. Dopo il via libera del governo parte un lungo iter che porterà il testo in Parlamento.
1 – Come è composta la riforma?
Il testo è di soli cinque articoli, ma introduce diverse novità nel panorama politico italiano
2 – Quali sono le principali novità introdotte?
Le novità principali sono quelle che riguardano le modifiche agli articoli 92 e 94 della Costituzione. Viene introdotta l’elezione diretta del premier (attualmente, nel nostro sistema elettorale, i cittadini possono scegliere la forza politica da votare con il proporzionale o il singolo candidato nei collegi uninominali).
3 – Se la riforma verrà approvata, come sarà scelto e quanto resterà in carica il presidente del Consiglio?
Il premier verrà eletto a suffragio universale e il suo mandato dura cinque anni. Rispetto alla situazione attuale non sarà più il capo dello Stato a nominare il presidente del Consiglio, ma continuerà ad assegnare al premier il compito di formare il governo.
4- Il premier avrà limiti di mandato?
No. Al momento non sono previsti
5 – Come si voterà quindi?
Con un’unica scheda. La votazione sarebbe contestuale al rinnovo delle Camere. Nel testo della riforma al momento approvata dal consiglio dei ministri viene introdotto anche un premio di maggioranza del 55%, per garantire maggiore stabilità a chi governa.
6 – Il ddl riforma anche la legge elettorale?
No, dà l’indicazione del premio di maggioranza, ma una riforma della legge elettorale sarà elaborata dal Parlamento per armonizzare il sistema a quello creato dalle nuove norme.
7 – Entro quando il premier si presenterà in Aula?
Entro dieci giorni dalla formazione del governo.
8 – Cosa accade nel caso il premier non riesca a ottenere la fiducia?
È stata inserita anche una norma definita «anti-ribaltone», che prevede che il capo dello Stato possa dare l’incarico una sola volta a «un parlamentare» eletto con la maggioranza che porti avanti il programma del premier uscito dalle urne.
9 – Cosa comporta il fatto che nel testo venga indicato «un parlamentare» come premier alternativo?
Esclude di fatto la nascita di esecutivi «tecnici», ossia guidati da figure terze rispetto ai partiti.
10 – Il fatto che sia un parlamentare proveniente dalla maggioranza cosa implica?
Che non nascano esecutivi guidati da forze alternative a quelle che hanno vinto le consultazioni
11 – E se anche il secondo premier dovesse fallire?
A quel punto il capo dello Stato scioglierebbe le Camere e si tornerebbe al voto.
12 – E non potrebbe il capo dello Stato sciogliere una sola Camera?
No. La riforma costituzionale modifica anche l’articolo 88 della Carta: sarà impossibile per il Quirinale sciogliere un solo ramo del Parlamento.
13 – Quale altro articolo che riguarda indirettamente il Colle viene modificato?
L’articolo 59 della Costituzione, più precisamente il secondo comma che tratta della nomina dei senatori a vita.
14 – Che cosa accade ai senatori a vita?
Non ne potranno essere più nominati di nuovi. Gli attuali manterranno la carica. La nomina era una prerogativa del capo dello Stato: d’ora in avanti, se passerà la riforma, solo gli ex presidenti della Repubblica diventeranno senatori a vita (cosa che avviene tuttora).
15 – Dopo l’ok del Consiglio dei ministri, qual è il prossimo passo?
La riforma approda in Parlamento.
16 – E l’iter come è stabilito?
L’articolo 138 della Carta stabilisce che «le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali sono adottate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni a intervallo non minore di tre mesi, e sono approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione. Le leggi stesse sono sottoposte a referendum popolare quando, entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque consigli regionali. La legge sottoposta a referendum non è promulgata, se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi».
17 – Ma è possibile evitare la consultazione referendaria?
Sì, è possibile evitare il referendum se la legge viene approvata nella seconda votazione da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi componenti.
18 – La Costituzione è già stata modificata in passato?
Sì, diverse volte. La prima nel 1963.
19 – Quando è stato l’ultimo referendum costituzionale? L’ultimo è stato quello sulla riduzione del numero dei parlamentari del settembre 2020.
L’affluenza è stata del 51,12%.
20 – Attualmente quali sono i numeri della maggioranza?
Alla Camera la maggioranza può contare su 238 voti (ma il presidente per prassi di solito non vota). I voti richiesti per evitare il referendum sono 267.
21 E al Senato?
A Palazzo Madama la situazione è quasi analoga con la maggioranza che ha 116 voti (anche qui però il presidente per prassi non vota) e la soglia richiesta per evitare le urne è di 136.
22 – Quando potrebbe tenersi un eventuale referendum?
Un eventuale referendum potrebbe tenersi a metà della legislatura, ossia nel 2025.
23 – Come deve essere composto per legge il quesito referendario?
C’è una legge, la 352 del 25 maggio 1970 che ne fissa le regole. L’articolo 16 stabilisce la formula che inizia: «Approvate il testo della legge costituzionale….».
24 – Se passa la riforma quando entrerà in vigore?
Entrerà in vigore dalla prossima legislatura o dal primo scioglimento delle Camere dopo l’approvazione.
25- Quali sono le principali critiche mosse al testo?
Secondo le opposizioni e alcuni studiosi, la riforma modificherebbe gli equilibri tra i poteri del Colle e dell’inquilino di Palazzo Chigi a favore di quest’ultimo. Secondo alcuni analisti, invece, la riforma pur aumentando i poteri del premier sarebbe comunque monca perché quest’ultimo non avrebbe alcune prerogative importanti (come ad esempio la possibilità di nominare e revocare i ministri)
26- Quali sono le posizioni dei partiti rispetto alla riforma?
Quasi tutte le forze di opposizione sono pronte a dare battaglia in Aula. Al momento solo Italia viva si è dimostrata disposta a dialogare. I renziani hanno 9 deputati e 7 senatori, in pratica quasi metà dei voti che servono alla maggioranza per raggiungere i due terzi dei votanti.
27 – Esiste il premierato nei Paesi Ue?
No. L’Italia sarebbe un unicum
28 – Come sono i sistemi negli altri Paesi Ue?
Ci sono repubbliche monarchie parlamentari come nel Regno Unito, con un premier solido grazie a una legge elettorale che si basa sul maggioritario. Il premier britannico e, ad esempio, il cancelliere tedesco hanno la possibilità di nominare e revocare i ministri. In Germania e in Spagna esiste la sfiducia costruttiva.
29 – E sistemi semi-presidenziali?
Sono previsti in alcuni paesi come Francia o Portogallo. A Parigi è il presidente a essere eletto a suffragio universale (a doppio turno, se necessario). L’inquilino dell’Eliseo nomina poi il primo ministro.
30 – Qualche Paese ha mai sperimentato di recente il premierato?
Sì, è stato introdotto in Israele dal Parlamento nel 1992. Per la prima volta si è votata l’elezione diretta del premier nel 1996. Ma il premierato è stato poi abrogato dopo tre elezioni nel 2003.
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