Il “caso Rupnik” ferisce anche la credibilità della Chiesa

da lanuovabq.it/it

Il “caso Rupnik”

ferisce anche la credibilità della Chiesa

ECCLESIA
06/12/2022
Nico Spuntoni
Il celebre artista gesuita nell’occhio del ciclone: violenze psicologiche e forse sessuali risalenti a 30 anni fa. In più, la clamorosa indiscrezione su una presunta scomunica per «assoluzione del complice in confessione», poi bloccata dal Papa in persona. Ne esce ammaccata anche la Chiesa.
Che succede quando ad essere adombrato dall’accusa di abusi è uno dei religiosi più famosi al mondo? Nel caso che sta tenendo banco nel mondo ecclesiastico in questi giorni non c’entrano minorenni, ma le denunce di presunte violenze psicologiche e forse sessuali ai danni di alcune suore.
I fatti risalirebbero ai primi anni Novanta e sarebbero avvenuti nella Comunità Loyola di Lubiana in cui era confessore il teologo ed artista sloveno padre Marko Ivan Rupnik. Quest’ultimo, nel frattempo divenuto una celebrità dell’arte sacra per i suoi mosaici neobizantini nonché membro e consultore di vari Pontifici Consigli, è l’uomo accusato da tre religiose di «abusi di coscienza ma anche affettivi e presumibilmente sessuali». Accuse messe nero su bianco in una lettera pubblicata dalla rivista Left  e che, secondo l’autrice, sarebbe stata inviata nell’estate del 2021 al Papa senza però ottenere risposta.
È alle motivazioni addotte nella lettera che si dovrebbe l’allontanamento – avvenuto nel 1993 – di Rupnik, appartenente alla Compagnia di Gesù, dalla Comunità fondata dalla sua amica, suor Ivanka Hosta. All’epoca, quindi le ombre sull’artista sloveno sarebbero state “coperte” con il benestare – sempre secondo il racconto di una delle presunte vittime – dell’allora arcivescovo di Lubiana, monsignor Alojzij Šuštar. Proprio al dicembre del 1993 risale l’inaugurazione della “creatura” più famosa di Rupnik, quel Centro Aletti nato a Roma per far parte del Pontificio Istituto Orientale e benedetto da San Giovanni Paolo II in persona.
Il dossier sloveno su Rupnik sarebbe rimasto sconosciuto se non fosse stato per il commissariamento della Comunità Loyola avvenuto – ha fatto sapere Left – nel 2020 ed affidato ad un altro gesuita, il vescovo ausiliare della diocesi di Roma, monsignor Daniele Libanori. Questo commissariamento, di cui non è stata data alcuna notizia ufficiale, sarebbe partito a seguito del numero sorprendente di suore uscite dalla comunità e apparso a Roma come una spia del malessere per una gestione evidentemente problematica. Riaprendo quel vaso di Pandora a Lubiana, presumibilmente deve essere affiorata anche la vicenda relativa al gesuita sloveno e risalente a quasi venti anni prima.
Dopo le voci dei giorni scorsi, ieri si è avuta la prima conferma tramite una dichiarazione – datata 2 dicembre – firmata Domus Interprovinciales Romanae dei gesuiti. Dalla nota si apprende che nel 2021 il Dicastero per la dottrina della fede ha ricevuto una denuncia relativa al «modo di esercitare il ministero» di padre Rupnik. L’ex Sant’Uffizio ha affidato l’indagine direttamente alla Compagnia di Gesù che ha nominato un istruttore esterno e poi ha redatto una relazione sul caso. Sulla base di questa relazione, il Dicastero per la dottrina della fede «ha costatato che i fatti in questione erano da considerarsi prescritti e ha quindi chiuso il caso».
Roma locuta est a fine ottobre 2022, mentre la Compagnia ha fatto sapere di mantenere in vigore le misure amministrative imposte al teologo sloveno durante la fase d’indagine: divieto di confessare, di accompagnamento negli Esercizi Spirituali e di direzione spirituale, oltre all’obbligo di chiedere il permesso al superiore locale per svolgere attività pubbliche.
Una certa elasticità in quest’ultima limitazione è all’origine della lettera a Left di una delle tre suore che hanno denunciato abusi per mano dell’artista: la donna, infatti, ha confessato di aver deciso di scrivere alla rivista dopo aver visto un recentissimo video su youtube con un’omelia di Rupnik e dopo essersene lamentata con il vescovo Libanori. I commenti del religioso sloveno al Vangelo sono stati pubblicati anche questa domenica sulla pagina del Centro Aletti, quindi nonostante le polemiche provocate dall’inchiesta di Left e nonostante il comunicato dei gesuiti che ha confermato la notizia delle misure.
Peraltro Rupnik solamente pochi giorni fa ha ricevuto il titolo di Doctor Honoris Causa, in un’università pontificia in Brasile ed ha tenuto per l’occasione una lezione sul tema Educare alla Bellezza nell’Aula Magna.
Ma la corretta applicazione o meno delle misure amministrative comminate dalla Compagnia di Gesù non è l’unico argomento che sta facendo discutere in questi giorni sul caso Rupnik: l’altra “bomba”, infatti, l’ha sganciata due giorni fa il blog Messa in Latino sostenendo di averla appresa da «fonti in altissimo loco». Secondo Messainlatino.it, ai danni del gesuita sloveno sarebbe stata emessa addirittura una sentenza canonica di condanna relativa ad un «processo per l’assoluzione del complice in confessione» di cui, per competenza, si sarebbe occupato il Tribunale del Dicastero per la dottrina della fede. La sentenza, in base a quanto riportato dalla fonte di Mil, avrebbe comportato la scomunica latae sententiae per Rupnik che però sarebbe stata successivamente bloccata dal Papa in persona.
Un’indiscrezione clamorosa ma priva di conferme dal Vaticano e che non trova traccia nell’unico comunicato ufficiale fino ad ora uscito sulla vicenda, quello della Provincia Romana della Compagnia di Gesù che invece ha confermato il contenuto delle rivelazioni su Left. Bisogna ammettere che queste accuse – seppur prescritte – segnano una nuova battuta d’arresto per la credibilità della Chiesa sul fronte del contrasto agli abusi commessi da religiosi e che ad uscirne ammaccata non può essere solo l’immagine dell’attuale pontificato dal momento che i fatti contestati al teologo ed artista sloveno risalgono agli inizi degli anni ’90 ed erano emersi già allora.

1 Commento

  1. Simone ha detto:

    Condivido una percezione. Mi sembra che dopo un periodo di eccessivo clamore e di attenzioni e nuove regole per contrastare gli abusi, si sia passati ad una fase dove si cerchi di spegnere la luce sul tema. Non voglio dire che si è tornati ad insabbiare ma la diminuzione dei casi fa pensare ad un adattamento alle norme. Mi vien da dire che come succede sempre si sia trovato un modo per risultare estranei a certi fatti e si continui a far finta di non sapere. Le norme sugli abusi pongono i vescovi in una condizione scomoda, forse han trovato il modo per svicolarsi. È una percezione ma mi sarei aspettato un aumento dei casi dopo le nuove norme. Ho la sensazione che la pulizia non stia avvenendo; oppure mi sbaglio e questo cancro, fortunatamente, era poco diffuso.
    Su questa vicenda sembra che anche il Papa abbia voluto cambiare registro; o ne sa più di noi oppure è intervenuto per evitare un clamore eccessivo con la scomunica.
    La nostra società, ormai post cristiana, è spesso fin troppo crudele nel giudizio verso i preti. Però gli scandali emersi, la diminuzione delle vocazioni e il ruolo sempre più marginale all’interno della maggior parte delle comunità del prete (aggiungo anche il livello in caduta libera del clero giovane), ci impongono delle riflessioni sulla figura del prete. Soprattutto sull’ideale che c’è nell’immaginario collettivo. Idealizzare un uomo e aspettarsi la perfezione inganna il popolo e mette in difficoltà il prete. Non voglio parlare di clericalismo ma credo che il ruolo nella società del prete vada rivisto. I privilegi, le differenze con gli uomini vadano ripianate. Molto a mio avviso passa da qui. Poi i reati van puniti ma capita che se vengono commessi da preti si generi un eccessivo livore nella gente. Riconosco il ruolo del prete ma io non eccedo. Anzi quando eccede il prete nell’imporsi nelle scelte della comunità, perché si sente responsabile, finisco spesso per cambiare aria. Ci son posizioni e atteggiamenti che verranno progressivamente ridimensionati provando a costruire una chiesa non più prete centrica. Questo coi numeri attuali avverrà presto. Non per volontà ma per necessità. E credo sia un segno da comprendere.

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