L’EDITORIALE
di don Giorgio
Il futuro giace nell’interiorità
Come tutti dovrebbero sapere, la parola “avvento” viene dal latino e significa “venuta”. In questo tempo liturgico noi ricordiamo le tre venute di Cristo.
Scriveva San Bernardo:
«Conosciamo una triplice venuta del Signore. Una venuta nascosta si colloca infatti tra le altre due, che sono manifeste. Nella prima il Verbo è apparso sulla terra e ha vissuto tra gli uomini (Bar 3,38)… Nell’ultima venuta ogni carne vedrà la salvezza di Dio e volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto. La venuta intermedia è invece nascosta. Nella prima venuta dunque venne nella carne e nella debolezza, in questa intermedia viene in spirito e potenza nell’ultima verrà nella gloria e nella maestà. Quindi questa venuta intermedia è per così dire una via che unisce la prima all’ultima, nella prima Cristo fu nostra redenzione, nell’ultima si manifesterà come nostra vita, in questa è nostro riposo, è nostra consolazione» (”Discorsi sull’Avvento”).
Ecco il vero Natale cristiano: noi ricordiamo la tua nascita a Betlemme, Signore, attendiamo la tua venuta nella gloria, accogliamo la tua nascita in noi, oggi.
Per questo il mistico del XVII secolo Angelus Silesius poteva affermare:
«Nascesse mille volte Gesù a Betlemme, se non nasce in te… tutto è inutile».
Dunque, il Natale riguarda il passato, il presente e il futuro.
Ed è pensando al futuro che vorrei offrirvi una pagina di un libro, che consiglierei a tutti: “La vita interiore – Dimensioni creative dell’esperienza umana”, di Luciano Manicardi, monaco di Bose.
Il futuro giace nell’interiorità
La frase del giovane da cui è partita la mia riflessione pone in evidenza la chiusura del futuro: «Non vedo un futuro». Possiamo chiederci: dov’è il futuro? Dove possiamo cercarlo?
L’antropologo Marc Augé, nel libro Che fine ha fatto il futuro?, annota che ormai il presente è diventato egemonico: «Agli occhi dei comuni mortali esso [cioè, il presente] non è più frutto della lenta maturazione del passato, non lascia più trasparire i lineamenti di possibili futuri, ma si impone come un fatto compiuto, schiacciante, il cui improvviso sorgere fa sparire il passato e satura l’immaginazione del futuro».
Del resto il consumo, vero dominus del nostro oggi (occidentale) rende il mondo autosufficiente: il mondo del consumo basta a se stesso, non ha bisogno di ieri né di domani,
è tutto nell’oggi, nel momento stesso del consumo. Il consumo consuma anche il tempo. Sembra spegnersi il tempo come principio di speranza.
Allora, dove cercare il futuro? Occorre riscoprirne la dimensione interiore. Potremmo parlare di futuro interiore. Il futuro, di cui siamo alla ricerca, forse non è così lontano da noi: c’è una dimensione interiore del futuro. Certo, questa è solo una dimensione del tempo, non è unica, ma indubbiamente, da Agostino a Minkowski, è un aspetto che può vantare una lunga tradizione nel pensiero occidentale.
Questo futuro, dunque, giace nell’interiorità, è a portata di mano se solo si osa l’avventura della vita interiore, della conoscenza di sé, e dunque dell’educazione, del primato accordato ai valori umani. Se si osa la forza dell’immaginazione a livello personale e collettivo, a livello individuale come sociale e politico, se si osa ancora formulare a livello collettivo l’utopia di un mondo senza paure e senza ingiustizie, se si osa ancora l’utopia della pace e della condivisione dei beni (che secondo Marcel Mauss sarebbe anche la soluzione più economica per l’umanità), se si ha ancora l’audacia di pensare un avvenire portatore di sensatezza e felicità. Questa dimensione riguarda tanto i giovani quanto gli adulti, In effetti, il futuro è potenzialità nei giovani ed è responsabilità negli adulti.
07/12/2024
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