Quando il papa teme le grandi diocesi, e nomina vescovi mediocri

L’EDITORIALE
di don Giorgio

Quando il papa teme le grandi diocesi,

e nomina vescovi mediocri

Il vero problema, delle istituzioni civili e di quelle ecclesiastiche, non è solo il loro vuoto d’essere, quanto il fatto che non si permette al Meglio di imporsi sul peggio.
Per non parlare in astratto, vorrei dire che, anche quando ci fossero donne e uomini su cui poter fare affidamento, si faccia di tutto per scegliere i peggiori, per una serie di giochi e di giochetti, solitamente sporchi, per cui ciò che conta sono anzitutto certi interessi di partito o altro: e questo sarebbe puntare al bene comune?
Vorrei soffermarmi sulla Chiesa istituzionale.
È capitato, e tuttora capita, che al posto di comando si scelgano i mediocri, addirittura vescovi di dubbia moralità o di qualche infarinatura di una specie di cultura, ma di poca o nulla intelligenza. Non sempre, poi, cultura è sinonimo di intelligenza.
Ed ecco che assistiamo a un fenomeno a dir poco allucinante: che a capo di diocesi di notevole importanza il papa scelga vescovi ciecamente “obbedienti” o “sottomessi”, ma di poca lucidità profetica.
Forse esagero dicendo che questo papa sta scegliendo vescovi per nulla all’altezza, per guidare grandi diocesi, da cui si aspetterebbe invece “guide d’avanguardia”.
E la cosa si farebbe drammatica, se lo stesso papa non fosse all’altezza del suo ruolo.
Per fare un esempio, ricordo ciò che era successo con la nomina ad arcivescovo di Milano del gesuita biblista Carlo Maria Martini. Una scelta che tra l’altro aveva inizialmente sorpreso tutti i milanesi, anche il sottoscritto, ma che successivamente mi aveva sempre più entusiasmato, e così anche il popolo milanese, e oltre.
Lo stile pastorale di Martini, non solo, la sua figura fortemente carismatica creerà con il tempo un antagonismo con lo stesso pontefice romano, tanto che un giornalista lo chiamerà l’”antipapa”. Mi ricordo ancora il nome, Giovanni Valentini, e il titolo del libro “Un certo Carlo Maria Martini. La rivoluzione del cardinale”.
Martini ne rimase male, e ciò lo bloccò nelle aperture che aveva in mente di fare, per suscitare qualche nuova speranza in una Chiesa forse già irrigidita al tempo di Giovanni Paolo II.
Anche il papa può sbagliare scegliendo persone, che poi risulteranno “fuori dei suoi schemi”, e ciò lo metterà più in guardia, evitando di ripetere gli stessi sbagli, a maggior ragione se si tratta di diocesi importanti.
E così, dopo Dionigi Tettamanzi – certo più in linea con Roma, ma che, quando era arcivescovo di Genova, aveva dato qualche grattacapo per aver difeso i giovani che erano scesi in piazza contro il G8. Forse per questo, è una mia fissazione, Tettamanzi era stato mandato a Milano sapendo che era difficilissima la successione a Carlo Maria Martini. Ma Tettamanzi diede prova di cavarsela bene con il suo stile da bonaccione “intelligente”, che man mano riuscì ad attirare le simpatie della gente popolare – ecco, dopo Tettamanzi, il brutto scherzo che nessuno si aspettava con l’arrivo del ciellino Angelo Scola a Milano, da cui, quando era chierico, si era allontanato, disobbedendo al cardinale Giovanni Colombo. Non vorrei ancora infierire, sapendo che ora è in cattiva salute. Milano soffrì parecchio, in un momento in cui Comunione e Liberazione subì un colpo mortale con le vicende giudiziarie che colpirono il prediletto di Angelo Scola, Roberto Formigoni. Crollarono di colpo i diabolici piani di Benedetto XVI e di Comunione e Liberazione di prendere in mano il Governo con Roberto Formigoni e la stessa Chiesa con l’elezione a papa di Angelo Scola. Per fortuna, col senno di poi, non successe.
Avremmo avuto un papa con problemi psichici. Ma non penso che mi sarei accorto della tragedia col senno di poi. Il senno solitamente penso di averlo sempre, che mi fa vedere le cose anche in anticipo.
E successe poi di peggio, anche per l’ostinazione diabolica del papa di voler a tutti i costi punire la diocesi milanese, nominando come successore di Scola Mario Delpini. Forse nessuno si immaginava che si arrivasse a tanto, ma si dimentica che questa è la politica di questo attuale papa che non vuole rivali.
È vero che Dio onnipotente compone capolavori musicali anche con note stonate, ma i milanesi si stanno chiedendo se certe nomine non siano una punizione. E per che cosa? Forse per il fatto che la diocesi milanese è troppo grande per rischiare di scegliere un vescovo “troppo grande”?
Ma non è proprio per questo, ovvero per il fatto che la diocesi milanese è una tra le più grandi del mondo, che avrebbe bisogno di un pastore all’altezza della situazione?
Mi chiedo: ma è “normale” che un papa tema un avversario, e che perciò scelga vescovi al di sotto della sua intelligenza? E se il papa fosse poco intelligente, qualche catena di inferiorità si innescherebbe?
La Chiesa istituzionale, ovvero organicamente religiosa, per sua natura gerarchica, non può correre il rischio di vedere i gradini della gerarchia sovvertiti, e perciò teme sempre qualcosa di sconvolgente, e corre ai ripari.
Chi non ricorda i tempi d’oro in cui in Italia le diocesi più grosse erano guidate da pastori intelligenti e aperti al nuovo, forse perché a nominarli era una gerarchia diversa da quella di oggi. Oppure era distratta?
Cito solo alcuni nomi: Michele Pellegrino (arcivescovo di Torino dal 1965 al 1977), Giacomo Lercaro (arcivescovo di Bologna dal 1952 al 1968), Giovanni Battista Montini (arcivescovo di Milano dal 1954 al 1963), per non parlare poi di Carlo Maria Martini (arcivescovo di Milano dal 1979 al 2002) e di Dionigi Tettamanzi (dal 2002 al 2011).
Dopo Dionigi Tettamanzi venne il vuoto assoluto, studiato a tavolino per ridare più potere e autoritarismo al Pontefice romano.
Sì, un vuoto pastorale diocesano che sta creando seri problemi alla stessa Chiesa, la quale, se è vero che si basa sulla gerarchia istituzionale, ancora oggi monarchica, è pur vero che, essendo una piramide, il vertice cadrebbe se mancasse la base.
E se la Chiesa istituzionale può essere vista come una catena, la catena non può essere fatta di un solo anello.
Sto ragionando dal punto di vista solo istituzionale. Pensate se invece tutto venisse ribaltato, dal punto di vista di una Chiesa elevatamente mistica.
08/01/2022
EDITORIALI DI DON GIORGIO 1
EDITORIALI DI DON GIORGIO 2

1 Commento

  1. Simone ha detto:

    Mi sembra che oggi la qualità più ricercata in un prete ma credo anche in un vescovo, sia l’obbedienza. Obbedienza cieca.
    Scola ha passato il suo ministero a chiedere e imporre obbedienza. Delpini sta facendo lo stesso. Non so se é la stessa tattica di Papa Francesco.
    So solo che i prescelti in certi ruoli, son bravi ad obbedire. Altrimenti non li metterebbero lì. Non vedo altre qualità.
    Stasera, nella parrocchia che frequento, ha celebrato il vice rettore del seminario (quadriennio). C’è un seminarista di CL, l’ha detto lui il giorno che si é presentato, che viene nel weekend.
    Una roba spaventosa: sia il seminarista, che il vice rettore. Quadrati è dire poco. Lefebriani é un diminutivo.
    Spaventoso il modo di celebrare e di porsi dalla sede. Per poi non commentare la predica; 15 minuti di nulla sulle letture. Citazioni a vanvera che non lasciano niente.

    Non a caso é vice rettore del seminario. Obbedisce e si da un sacco di arie: perfetto per il ruolo formativo.
    Spaventosa la situazione della diocesi milanese ma il peggio é il seminario.
    Spiace dirlo ma se volete crescere giovani
    senza idee, carattere ed empatia mandateli in seminario. Sforna funzionari del culto. Mai metterei mii figlio in mano ad individui del genere. E mi prendo tutte le responsabilità di quanto scritto.

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