Si lotta a oltranza,
e non mi tiro indietro come un codardo
di don Giorgio De Capitani
Ci sono momenti in cui mi è del tutto istintivo prendermela con il potere carnale, contro cui lanciare ogni vituperio, spogliando il mio linguaggio di ogni pudore formalistico.
Il “troppo è troppo”, lo dice quel buon senso che non ha nulla a che fare con il falso rispetto umano, virtù dei rassegnati, che la Chiesa promuove per salvarsi dalla spigolosità degli spiriti liberi.
Non amo quella moderazione che è stare nel mezzo, per evitare eccesso di zelo, sovrabbondanza di passionalità per qualcosa in cui perdutamente io credo.
Mi affascina ogni spregiudicatezza, quando c’è in questione la verità dello Spirito, o del Bene Assoluto da svelare in una società ottusa e cieca, dominata dalla follia senza limiti di un potere fuori di ogni controllo.
Mi lascio andare anche io alla follia, ma per quel volere a tutti i costi il Bene di ciascuno, forse scomparso del tutto nella nebbia di una massa di imbecilli irrecuperabili.
Amo il singolo, e odio la massa, colpendola ripetutamente con le mie maledizioni, forse inutili, ma certamente sfoghi di uno spirito mai rassegnato all’impossibile.
Me la prendo con questa società di spiriti repressi e di corpi in deperimento, ma rivestiti di una pelle tirata a lucido dall’inganno del male, ma il mio sfogo di spirito ribelle non è solo di un momento: a che servirebbe? Forse solo per ottenere una soddisfazione psicologica?
No, il mio battere una idea fissa per una società migliore va ben al di là di ogni fattore psicologico.
È qualcosa di vitale, di sostanziale, di essenziale, per cui “io sono”, se lotto contro l’imbecillità degli schiavi del male; “io sono”, se non mi lascio intimorire dalla alienazione di una massa, incancrenita nella imbecillità.
“Io sono”, ed è qui la mia forza scatenante ogni smodato odio per strutture devastanti.
Ma non me la prendo, lottando contro mulini a vento, ovvero contro il nulla. Non sono i mulini a vento gli oggetti delle mie ire, ma chi manovra una massa rincoglionita, che vive sull’orlo di un abisso, sotto cui c’è un vuoto d’essere. Una massa dunque che vive sull’orlo del vuoto dell’essere dormiente, dello spirito represso, della voglia di vivere, ma che rimane sospesa tra divieti e rifiuti, tra sogni e delusioni.
Lotto, e mi sento ancora vivo, perché solo chi lotta per un grande Ideale vive di Nobiltà.
Eppure mi descrivono come un selvaggio, per la durezza, la caparbietà e l’ostinazione a oltranza con cui tiro insulti contro il potere e i suoi schiavi.
Ma barbari sono loro, gli amanti del proprio ego spropositato e presuntuoso, tanto vile quanto criminale.
Io sarei burbero, maleducato, irritante anche brutale, irriconoscente, irriverente, irrispettoso, squilibrato anche folle? Ma non starebbe qui quell’equivoco paradossale per cui all’onesto basterebbe poco per essere oggetto di scherno o di condanna?
E allora che sia ancor più onesto, ancor più battagliero senza moderazione!
Quel grido in più di onestà provocherebbe una brutale reazione da parte della massa, che non ama gente nobile che sia lo specchio della onestà divina.
Ma la gente rompe gli specchi dell’onestà, e fa del proprio ego lo specchio della sua imbecillità, e così si accontenta, vive soddisfatta godendosi i frutti della propria vacuità mentale.
E voi volete che me ne stia tranquillo nel mio eremo di contemplativo dell’Assoluto?
Il mio eremo urla la rabbia del mio essere, come voce di quello Spirito che sa essere brezza leggera con gli umili e con i semplici, come sa essere tuono di una Divinità dall’alto del Monte che domina la valle delle ossa inaridite.
Ci ho pensato prima di fare questo commento. La lotta ad oltranza chi la può fare se non uno spirito libero com’è don Giorgio? E’ la sua personalità che glielo impone, se no sarebbe un uomo morto. Morto non nel termine del bios greco, ma nella zoe greca che don Giorgio ben conosce. C’è una morte biologica e una morte spirituale che anche un ateo serio capisce. La distinzione tra vivere e vegetare è tutta qui. Il resto sono tutte chiacchiere teologiche, filosofiche, psicologiche … A queste chiacchiere preferisco quelle carnevalesche che son almeno gustose e non noiose. Per bios (corpo), psichè (anima) e zoè (spirito) intendo quello che compone la persona. L’equilibrio tra le varie componenti ne forma la personalità. Quella di don Giorgio è combattiva. La mia tende alla pacificazione. Tutto qui? Non riesco ad accettare che sia tutto qui. Voglio andare oltre. Trovare sempre un senso nuovo da dare alla vita. Per ora quella prioritaria è per i nipoti che mi sono prossimi senza trascurare il resto. La bellezza dei vangeli dove sta? Che ognuno degli autori porta la sua personalità. Per Marco non può essere buona cosa il sale della terra? Per Matteo non vale la pena rivelare le cose ai piccoli? Pensate alle sue beatitudini. Luca non può essere un suonatore di un flauto? Le sue beatitudini sono diverse da quelle di Matteo (Beati i poveri, ma guai ai ricchi). E per Giovanni? E’ campo sconfinato e penso sia per questo temuto dai potenti religiosi e politici.
Un consiglio finale. Scrivete qualche commento. Ognuno ha una propria personalità. E penso che fate felice anche don Giorgio.
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