Ancora sangue, ancora denaro
da AVVENIRE
7 maggio 2019
Dietro la guerra lampo Gaza-Israele.
Ancora sangue, ancora denaro
Giorgio Ferrari
Follow the money, segui il denaro. È una vecchia formula nata all’epoca dello scandalo Watergate, sempre utile tuttavia per districare le trame sottili che muovono certi eventi. Una formula che vale anche per la guerra-lampo di Gaza, il cui bilancio – 800 razzi lanciati, decine di raid aerei, 31 palestinesi e 4 israeliani uccisi in due giorni di scontri – avrebbe potuto essere ancora più tragico.
Seguiamo il denaro e troveremo una spartizione che ci farà capire perché Hamas, estenuato e incartapecorito elefante politico, ha lasciato che fosse la Jihad, il Movimento islamico rivale, a trascinarla nell’ennesimo scontro con Israele. Uno scontro il cui esito appartiene a un copione immutabile: l’indiscussa prevalenza militare di Tsahal (le forze armate israeliane) da un lato, l’eco mediatica di Gaza sostenuta dallo sdegno internazionale con l’ostensione delle spoglie dei propri “martiri” dall’altro. Gli stessi bollettini di guerra si assomigliano: «La resistenza ha conseguito un grande successo e ha ottenuto gli obiettivi che si prefiggeva avendo sconfitto il nemico». «Abbiamo colpito duramente Hamas e la Jihad islamica. Abbiamo attaccato 350 obiettivi, colpito dirigenti e membri delle organizzazioni terroristiche, abbiamo distrutto i grattacieli dei terroristi». Già, ma il denaro? Il denaro serve a entrambi: a Yahya Sinwar, formalmente il capo politico e militare di Hamas, come a Ziad Nahala, la figura carismatica dei jihadisti di Gaza. È stato quest’ultimo a lanciare l’offensiva di maggio, con un duplice scopo: quello propagandistico – mettere in crisi il nascente nuovo gabinetto Netanyahu alla vigilia delle annuali celebrazioni della nascita di Israele e di Eurovision e sabotare il difficile processo di pace – e quello reale: permettere ai soldi dal Qatar, bloccati da Israele, di arrivare nella Striscia.
Rispetto alle donazioni che giungono da varie parti del mondo, quelli del Qatar sono soldi veri: in aggiunta ai circa 700 milioni già erogati dal 2012 al 2018 (ma dal 1994 a oggi la cifra corrisposta dai vari donatori raggiunge i 31 miliardi), lo sceicco Mohammed al-Thani ha stanziato lo scorso ottobre un prestito di 150 milioni di dollari (90 per gli stipendi degli impiegati pubblici, 60 per servizi, carburante e assistenza sanitaria) destinato alla Striscia: 15 milioni al mese, che certo non leniscono la cronica disoccupazione giovanile né mitigano (semmai la peggiorano) la corruzione dilagante, ma che comunque consentono ad Hamas di mantenere una parvenza di consenso nella sovraffollata enclave palestinese e alla Jihad di acquistare armi e dotarsi di macchinari sofisticati come le escavatrici “made in Germany” con cui si creano le centinaia di tunnel sotterranei dove far transitare dall’Egitto persone, merci, denaro contante e anche migliaia di razzi fabbricati in Iran.
Completata la spartizione fra Hamas e Jihad, di quel fiume di denaro resta ben poco per i quasi due milioni di abitanti della Striscia. Con le medesime somme – che secondo le sempre più vive proteste di piazza (puntualmente represse dai servizi di sicurezza) servono più che altro al benessere dellanomenklatura di Gaza City – si potrebbero costruire ospedali, scuole, fognature, depuratori. Ma Hamas, la stessa Hamas che prima di conquistare il potere a Gaza nel 2007 accusava l’Olp e l’Autorità Nazionale Palestinese di essere una ragnatela pietrificata di interessi privati, di quel denaro ha bisogno per la propria sopravvivenza. Non meno dell’Anp di Abu Mazen, Hamas è diventato un partito dichiaratamente conservatore a cui tutto sommato lo status quo conviene, come in fondo conviene anche a Israele: finché la Striscia sarà una prigione a cielo aperto, Hamas potrà continuare ad amministrarla e Israele – complice l’immobilismo di Anp – potrà continuare a eludere la questione palestinese. A fare le guerre ci pensa la Jihad, l’ala radicale, tenuta in palmo di mano da Teheran. Non a caso Nahala e il suo braccio operativo Baha Abu al-Ata hanno avuto campo libero in questi ultimi tempi. E poco importa ai cinici strateghi quale sia il bilancio in vite umane, di qua e di là dalla cinta muraria che avvolge la Striscia di Gaza: qualche decina di metri di mare in più per pescare saraghi e spigole e lo sblocco dei fondi del grande elemosiniere del Golfo valgono bene un fine settimana di sangue.
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