NEW YORK – C’è una straordinaria abilità che va riconosciuta a Mario Draghi, quella di trascendere i tecnicismi monetari – di cui parla con agilità – per passare su una piattaforma molto più elevata, di grande umanità. Certo, ieri siamo stati ammoniti sulla tenacia dell’inflazione. Abbiamo ascoltato quanto difficile ma fondamentale sia stato il percorso per arrivare alla moneta unica, l’euro, prima di tutto grimaldello politico.
Accettando ieri notte a Boston, all’MIT, il Miriam Pozner Award, Draghi ha anche dato qualche forte strattone: a Mosca le cose non cambieranno fino a quando Putin resterà al potere. Ha detto di prepararci ad accogliere l’Ucraina non solo nella UE, ma nella Nato. Ha indicato il percorso, inevitabile, in accelerazione dopo pandemie e guerre, per trasformare l’Europea in un’unione politica, militare e fiscale. Che è poi la sola risposta possibile al sanguinoso conflitto che la Russia ha scatenato nel cuore di un continente in pace.
Ma su tutto, ascoltandolo, nel calore affettuoso del benvenuto alla sua Alma Mater, nel ricordo dei professori che lo hanno formato, Paul Samuelson, Franco Modigliani, nella testimonianza di un altro gigante suo professore, Bob Solow, (tutti premi Nobel) su tutto dicevo, il collante emotivo del discorso di Draghi è stato nella forza dei valori. I valori della tolleranza, della comprensione, del pragmatismo, dell’inclusione, della libertà, della creatività pura, che ha respirato, sentito, capito, arrivando da ragazzo all’MIT per il suo dottorato di ricerca all’inizio degli anni Settanta. Sono stati quei valori, così evidenti, tangibili, a cambiarlo, allora. E a lasciargli una bussola per la vita che è sempre servita per la sua navigazione in un mare di crescenti responsabilità. Anche quando – agli inizi, come ha ricordato – fu spedito a Chicago per rifare e controllare certe regressioni di Bob Lucas a cui Franco Modigliani non credeva. Dietro le alchimie della matematica e del confronto intellettuale sui numeri, c’era un confronto ancora più vasto, quello fra i neokeynesiani dell’MIT e quello nuovo, innovativo della scuola di Chicago che dichiarava la superiorità delle aspettative razionali.
Una sfida epocale che ha poi definito alcuni decenni della nostra storia. Possibile solo grazie al pragmatismo del confronto aperto, non ai proclami assoluti di una ideologia piovuta dall’alto, come succede in Cina, in Russia o in molti altri paesi che oggi sfidano il nostro modello di democrazie di mercato, non improvvisato, attenzione, ma frutto di confronti intellettuali millenari e di guerre spaventose. È sulla forza del pensiero e delle convinzioni che Draghi ha definito il perimetro in cui dobbiamo muoverci per raggiungere i nostri obiettivi, il primo appunto, quello di un rafforzamento irrinunciablie dell’unità europea. Come sempre è un passo avanti rispetto agli altri, per idee, forza, e visione ideale, contagiosa quando l’ascolti. Il suo omaggio di ieri è stato anche alle scuole, alle università libere, nel suo caso all’MIT.
Avere avuto un’educazione – ha detto a un certo punto – significa che le tue convinzioni sono basate sul pensiero. Il pensiero può farti ammettere di non aver avuto ragione, ma quando ti porta invece a forti convinzioni diventa essenziale andare avanti senza guardarsi più indietro. È per questo che si sta combattendo in Ucrania, per i valori e per la nostra Europa, non dobbiamo dimenticarlo mai. Ieri Draghi ce lo ha ricordato, con l’eloquenza di sempre.
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L’Europa vista da Draghi
Mario Draghi:
“Kiev deve vincere o per l’Ue sarà la fine”.
È necessario che l’Europa si difenda
L’ex premier: “La guerra è un passo premeditato di Putin”, “Occorre organizzare un sistema di difesa europeo complementare alla Nato”, “Kiev entri nella Nato”.
“Accettare una vittoria russa o un pareggio confuso indebolirebbe fatalmente altri Stati confinanti e manderebbe un messaggio agli autocrati che l’Ue è pronta a scendere a compromessi su ciò che rappresenta, su ciò che è. Segnalerebbe inoltre ai nostri partner orientali che il nostro impegno per la loro libertà e indipendenza – un pilastro della nostra politica estera – non è poi così incrollabile”, ha detto l’ex premier Mario Draghi, parlando al Mit di Boston dove ha ricevuto il premio Miriam Pozen. Per Draghi, accettare una vittoria russa “Infliggerebbe un colpo fatale all’Ue”.
“La guerra in Ucraina, come mai prima d’ora, ha dimostrato l’unità dell’Ue nella difesa dei suoi valori fondanti, andando oltre le priorità nazionali dei singoli Paesi. Questa unità sarà cruciale negli anni a venire”. Per Draghi l’unità sarà determinante soprattutto quando bisognerà “ridisegnare l’Unione, per accogliere al suo interno l’Ucraina, i Paesi balcanici e i Paesi dell’Europa orientale”, e “nell’organizzare un sistema di difesa europeo complementare alla Nato”. L’invasione della Russia fa parte di una strategia delirante a lungo termine del presidente Putin: recuperare l’influenza passata dell’Unione Sovietica e l’esistenza del suo governo è ora intimamente legata al suo successo. Ci vorrebbe un cambiamento politico interno a Mosca perchè la Russia abbandoni i suoi obiettivi, ma non vi è alcun segno che un tale cambiamento si verifichera’”, ha aggiunto Draghi.
Secondo l’ex premier ,”le conseguenze geopolitiche di un conflitto prolungato al confine orientale dell’Europa sono molto significative”, quindi bisogna prepararsi. Primo: “l’Ue deve essere disposta a rafforzare le proprie capacità di difesa”; Secondo: “dobbiamo essere pronti a iniziare un viaggio con l’Ucraina che porti alla sua adesione alla Nato”; Terzo: “dobbiamo prepararci a un periodo prolungato in cui l’economia globale si comporterà in modo molto diverso rispetto al recente passato”. Per esempio, “mi aspetto che i governi abbiano per sempre deficit più alti”, perché la sfida climatica o la necessità di rafforzare le catene di approvvigionamento, “richiederanno investimenti pubblici sostanziosi che non possono essere finanziati solo da aumenti di tasse”. Questa spesa pubblica maggiore aggiungerà pressione all’inflazione, oltre ad altri possibili shock sul lato dell’offerta”. E nel lungo periodo, secondo Draghi “è probabile che i tassi di interesse resteranno più alti che nello scorso decennio”.
In questo scenario, per l’ex premier, “le banche centrali devono essere molto attente al loro impatto sulla crescita, in modo da evitare inutili sofferenze. Ma il compito ricadrà principalmente sui governi, che dovranno ridisegnare le politiche fiscali in questo nuovo contesto di tassi alti, bassa crescita potenziale e debiti pubblici elevati”.
Gli esecutivi, ha spiegato Draghi, “dovranno imparare a vivere in un mondo in cui lo spazio fiscale non è infinito, come sembrava essere quando i tassi di crescita superavano di parecchio i costi di indebitamento”. Questo quadro, però, potrebbe cambiare radicalmente nel caso in cui “un’ondata di potenti innovazioni, come l’intelligenza artificiale, dovesse scuotere il mondo e aumentare la crescita globale”.
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