Addio a Lita Boitano, il sorriso di Plaza de Mayo: una vita per la verità sui desaparecidos

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06 Giugno 2024

Addio a Lita Boitano,

il sorriso di Plaza de Mayo:

una vita per la verità sui desaparecidos

di Carlo Renda
I militari le portarono via due figli, Miguel Angel nel 1976 e Adriana nel 1977. In molti le dissero di non cercarli più: lei ha fatto l’esatto contrario, ha guardato ovunque e non ha mai abbassato la voce. Fino all’ultimo, non ha mai smesso di cercare
Ad Angela Paulin Boitano i militari portarono via due figli. Prima Miguel Angel, che aveva 20 anni: era il 29 maggio 1976, non erano passati neanche due mesi dal golpe in Argentina, lui era uno studente al secondo anno di Architettura, lavorava alla Techint, aveva fatto la scuola italiana di lingue “Cristoforo Colombo” e militava nella Gioventù Universitaria Peronista. Poi Adriana, di 24 anni, gliela avevano rapita sotto i suoi occhi, stavano andando insieme a messa: era il 24 aprile 1977. Aveva studiato anche lei nella scuola Cristoforo Colombo, si era laureata in Lettere, lavorava come segretaria bilingue in una ditta italiana, Gie, e militava nella Gioventù Universitaria Peronista. Per quei figli spariti, in migliaia strappati alle famiglie dalla dittatura argentina (1976-1983) e per decenni “desaparecidos”, Angela ha combattuto per tutta la vita. Tutti hanno imparato conoscerla come “Lita”, sempre alla testa delle Madri di Plaza de Mayo, la più celebre delle mamme di origine italiana, la più combattiva e sorridente. Ha combattuto fino all’ultimo: è morta oggi, a 92 anni, nell’ospedale italiano di Buenos Aires, stroncata da una lunga malattia.
Lita era nata a Buenos Aires il 20 luglio 1931, sua madre era emigrata incinta dal Veneto in Argentina dopo la guerra. Il padre biologico non si conosceva. Aveva studiato, era entrata in sintomia con il peronismo, si era sposata giovane e giovane era rimasta vedova. Ha vissuto vicino al famoso pittore Antonio Berni, che dipinse il suo ritratto quando aveva 12 anni nel 1943. Quando la dittatura militare le portò via i due figli, si unì alla protesta: erano in poche all’inizio a Plaza de Mayo, nel tempo erano cresciute e avevano alzato la voce. Lita è diventata presto un volto riconoscibile nelle manifestazioni, nei processi per crimini contro l’umanità, davanti alle organizzazioni internazionali, nelle lotte femministe e nelle tavole rotonde universitarie. Col braccio alzato e le dita a V, le foto di Adriana e Miguel appuntate sul petto, la sciarpa verde al polso, ha girato il mondo.
Nel giugno 1978 ai Mondiali di calcio in Argentina compra insieme a Graciela Lois i biglietti per la partita tra Germania Ovest e Italia allo Stadio Monumental: inscena la protesta, lancia volantini di denuncia dei crimini perpetrati dal regime. Nel 1979 fa sentire la sua voce a Puebla alla terza Conferenza episcopale latino-americana, salvo sentirsi dire dal nunzio Pio Laghi che le madri dovevano rassegnarsi al fatto che “i militari non rilasciano”. In Argentina non può più rientrare, e quindi vive in Europa, prima in Francia, poi in Olanda e infine in Italia.
Quando l’Argentina torna alla democrazia, rientra in patria e riprende il lavoro nella Comisiòn de Familiares per ottenere giustizia e opporsi agli indulti concessi da Alfonsin e poi da Menem. L’8 marzo 1984 è una delle trenta che si riunirono davanti al Congresso per un evento in occasione della Festa della Donna e insieme ad altre colleghe partecipa al primo Incontro delle Donne. La democrazia non le ha mai fornito alcuna risposta sul destino dei suoi figli.
Quando l’Italia, guidata da Romano Prodi, decide di farsi parte civile per i tanti oriundi italiani scomparsi, si presenta in tribunale a Roma a deporre: nel 2000 due generali, due capitani e tre ufficiali vengono giudicati e condannati all’ergastolo.
È sempre rimasta legata all’Italia: “Ho bussato a tante porte, sono stata in esilio a Roma, dove mi ha ricevuto il presidente Sandro Pertini: ci diceva che noi mamme di Plaza de Mayo non avevamo bisogno di alcun intermediario per parlare con lui” ha raccontato, quando Sergio Mattarella andò in visita ufficiale in Argentina nel 2017. “Due presidenti, Ciampi e Napolitano, mi hanno dato riconoscimenti ufficiali, ma non credo di meritare nessuna onorificenza. Ho girato l’Italia e sono stata in tanti paesi e anche all’Onu, ma alla fine degli anni ’70, ero soltanto la cuoca di una parrocchia romana”. Anche con Papa Francesca aveva stretto un legame particolare.
Fino all’ultimo ha vissuto nella sua casa ad aggiornare i registri e continuare la resistenza. Il male l’aveva aggredita, però, e negli ultimi mesi aveva iniziato le cure palliative. Chi oggi le dedica un pensiero, ricorda il suo sorriso. “Alcuni mi chiedono perché sorrido sempre, e beh… perché amo la vita e perché penso che aiuti molto nella lotta non avere odio, non avere risentimenti, ma avere gli occhi ben aperti”. C’è chi ricorda che in tanti le dissero di non cercare oltre: lei ha fatto l’esatto contrario, ha cercato ovunque, nelle chiese, nei tribunali, nei palazzi del potere e nelle stazioni di polizia. Fino all’ultimo, non ha mai smesso di cercare. Ad alcuni amici aveva dedicato ancora un sorriso: “Al mio funerale, vi prego, fate suonare un tango!”.

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