L’EDITORIALE
di don Giorgio
Auguri ai novelli sacerdoti ambrosiani:
sì, non siate preti-trottole!
Nella presentazione dei novelli sacerdoti milanesi, che ha fatto don Luca Andreini, dal 2019 padre spirituale nel Seminario teologico di Venegono, leggo con particolare curiosità:
«Sono 17 giovani uomini con provenienze ed esperienze diverse: 7 sono laureati, alcuni hanno avuto esperienze lavorative, di impegno sociale, di missione, oltre che di servizio educativo».
Ylenia Spinelli, autrice di un articolo apparso recentemente sul sito della Diocesi milanese, ne dà un quadro ancor più dettagliato:
«C’è chi ha lavorato con lo chef milanese Davide Oldani, chi ha fatto l’arbitro federale nelle partite di calcio, chi ha trovato nella passione per la musica o il cinema la strada per avvicinarsi a Dio, chi ha riscoperto la fede anche grazie a Dante, arrivando a tatuarsi un’immagine del Purgatorio sul braccio. C’è poi chi ha fatto significative esperienze missionarie o di servizio. Sono tante e diverse le storie di vita e di vocazione dei 17 candidati al presbiterato che verranno ordinati dall’arcivescovo Mario Delpini sabato 8 giugno nel Duomo di Milano».
Anche quest’anno, mi sono detto:
“Sono entrato in seminario in prima media, negli anni ’50. Perciò non ho potuto sfoggiare subito titoli accademici o lauree particolari e neppure significative esperienze lavorative o di impegno sociale, magari uscendo da partiti di destra o dal sapore leghista. Anzi, se devo dirla tutta, senza dovermene vergognare: sono entrato in seminario con gravi lacune scolastiche, avendo frequentato nel mio piccolo paese scuole elementari cosiddette cicliche. Ero diventato un po’ lo zimbello dei miei professori di seminario. Subito dai primi anni di vita seminaristica mi hanno educato a un tale senso del dovere da far tremare i giovani preti di oggi, che hanno bisogno di qualche psicologo per un accompagnamento costante. Ho avuto la fortuna, forse erano altri tempi, di avere al mio fianco, già dai primi anni delle medie, sacerdoti di grande spessore, umano e spirituale. Si chiamavano Padri spirituali perché si preoccupavano del nostro “spirito”, parola oggi caduta in disuso, sostituita dalla parola moderna “psiche”. Allora si distingueva ancora tra “foro esterno” e “foro interno”, e guai se l’uno invadeva l’altro. Al “foro esterno” appartenevano i prefetti, i vice rettori e i rettori, anche i professori, ecc. Il “foro interno” era prerogativa del Padre spirituale, al quale si poteva dire tutto senza temere che riferisse qualcosa delle nostre confidenze al “foro esterno”. Devo però dire che, nei primi anni di Teologia, c’erano già giovani con un titolo di studio che entravano in seminario, anche nella mia classe. Successe che l’allora Rettore maggiore dei seminari milanesi, Giovanni Colombo (sarà nominato arcivescovo di Milano nel 1963, proprio l’anno in cui fui ordinato prete, sostituendo il cardinale Gian Battista Montini, diventato papa dopo la morte di Giovanni XXIII), più volte, quando parlava a noi teologi, apertamente confessava che aveva più fiducia nei giovani appena arrivati da fuori con titoli di studio già consolidati, anche umiliandoci con parole simili: Voi della prima ora non avete esperienze come questi che provengono dal mondo esterno, con tante esperienze che serviranno a loro per affrontare meglio i problemi pastorali. Successe che alcuni di loro, diventati preti, disattesero le speranze del Rettore, convincendolo che occorreva maggiore preparazione seminaristica e che non bastavano titoli di studio o altro. Giovani che avevano lasciato la fidanzata per entrare in seminario, e che da preti se ne prendevano un’altra…”.
Quando leggo presentazioni di giovani preti di oggi così brillanti in tutto da oscurare preti ottantenni che hanno dato tutto il loro essere, anima e corpo, per servire con fedeltà e umiltà il regno di Dio, provvisti del semplice diploma di maturità classica, mi sento non dico umiliato, ma arrabbiato sì, perché penso già al fallimento pastorale di alcuni di questi giovani preti di oggi, quasi in balìa di un vento che ora viene dal sud, ora viene dal nord, o da est o da ovest, per portarli fuori rotta, sempre più bisognosi di psicologi dalla lingua facile.
Sinceramente però leggendo ciò che uno di loro ha rilasciato in una intervista sono rimasto colpito e positivamente sorpreso da queste parole: “Creativi e liberi di osare senza essere preti-trottola”.
Forse dovrei chiedere a loro che cosa intendano quando parlano di “essere creativi, liberi di osare, senza essere preti-trottola”.
Forse meglio tenermi la domanda, per paura che la risposta sia ancora deludente.
08/06/2024
Anch’io sono rimasto interdetto leggendo sul sito della diocesi la presentazione dei preti novelli e questo richiamo alla creatività. Non riesco a capire se vuole essere uno staccarsi dalla tradizione secolare o una ricerca del successo e del protagonismo. Insomma c’è la creatività di don Alberto Ravagnani e quella di don Roberto Malgesini..fateci capire. Io li guardo e li riguardo…perfetti nel vestito, nel look e nei gesti…e mi tengo i miei pensieri. Di creativo non vedo proprio nulla, vedo fotocopie.