Dialogo tra il Presidente Mattarella e una rappresentanza di studenti in occasione della cerimonia di inaugurazione di YouTopic Fest 2025, promossa dall’Associazione Rondine Cittadella della Pace
da www.quirinale.it
Dialogo tra il Presidente Mattarella
e una rappresentanza di studenti
in occasione della cerimonia di inaugurazione
di YouTopic Fest 2025,
promossa
dall’Associazione Rondine Cittadella della Pace
Arezzo, 06/06/2025 (II mandato)
Lorenzo Rampi in rappresentanza delle scuole aretine e toscane
Domanda. Buongiorno, Presidente, buongiorno a tutte e buongiorno a tutti. Non è facile parlare dopo questo intervento. Io sono Lorenzo Rampi, studente del Licei Giovanni da San Giovanni e Presidente della Consulta provinciale degli studenti e per questo le porto il saluto di tutti i 16.000 gli studenti delle scuole della provincia di Arezzo. In un contesto globale segnato dall’aumento delle tensioni internazionali e delle spese militari, ci chiediamo quale possa essere, oggi, il ruolo dell’Italia e dell’Europa nella promozione della pace, non solo come assenza di guerra, ricordando anche Spinoza, ma come progetto condiviso tra cittadini e istituzioni, di fronte alla crisi di fiducia che oggi attraversa l’idea stessa di Europa.
Come possiamo contribuire a costruire un’Europa che custodisca davvero la pace, coinvolgendo le comunità, rigenerando la fiducia nei suoi valori fondanti e immaginando insieme un futuro senza conflitti armati?
Presidente: Grazie per la domanda. Prima di rispondere vorrei ringraziare il Presidente Franco Vaccari per avermi invitato a venire e per avermi così consentito di restituire la visita che anni fa mi avete fatto al Quirinale.
Grazie dell’accoglienza, è un grande piacere incontrarvi, e vorrei ringraziare molto Bernadette Sidibè, per la sua testimonianza, quella che ci ha consegnato, e per i messaggi che ha lanciato.
Grazie della domanda. Vorrei partire da quelle parole che hai detto: quelle di una pace come “progetto condiviso” tra cittadini e istituzioni. Così sono nate la nostra Repubblica e la nostra Costituzione, da una spinta comune tra cittadini e istituzioni, dopo la guerra appena subita.
E questo progetto di pace è espresso non soltanto dalla nostra Costituzione, da quel che dice, da quanto vi è scritto – dall’articolo 11 a tutto il suo tessuto normativo – ma anche dal sentimento comune che ha prodotto allora la Costituzione, che era quello di ricercare pace e collaborazione tra i popoli.
Vorrei aggiungere: anche quando si è stati costretti a fare uso delle armi per resistere al terrore, all’orrore della violenza contro persone e contro comunità, l’obiettivo era sempre quello della pace e della collaborazione tra i popoli, anche in queste contrade, in questa Regione.
La nostra Costituzione, quindi nasce sotto questa insegna: quella della pace e della ricerca della collaborazione internazionale.
L’unità europea, a sua volta, nasce da una straordinaria svolta storica. Come sappiamo, il nostro continente è stato, per secoli e secoli, attraversato da guerre sanguinose, da contrasti accesi tra i suoi popoli.
Alla fine della Seconda Guerra mondiale si è verificata una svolta epocale, storica, davvero rivoluzionaria. Dalla contrapposizione tra i nazionalismi – che ha prodotto due guerre poi diventate mondiali, a distanza di poco più di vent’anni – si è deciso di mettere insieme il futuro dei popoli europei. È stato un capovolgimento di prospettiva, davvero una rivoluzione di pensiero.
Come è avvenuta questa straordinaria rivoluzione di pensiero che ha condotto all’integrazione europea?
Vedete, qualche giorno fa il nuovo pontefice – che, come ha ricordato cortesemente Franco Vaccari, ho poc’anzi visitato in Vaticano, portandogli l’affetto dell’Italia – ha citato non molti giorni fa Sant’Agostino, con delle parole che vanno sempre ricordate. Anche ai tempi di Agostino, a Ippona, c’era che si lamentava dei tempi difficili, brutti, turpi. La sua risposta è stata: “i tempi, siamo noi”, perché, sottolineava così, con questa risposta, che i tempi si modellano secondo quello che noi vi mettiamo dentro come comportamenti.
Ecco, allora, in quel periodo, appena finita la Seconda Guerra mondiale, già sul finire di questa, alcune persone in tanti Paesi d’Europa, di diversa formazione culturale, hanno assunto questa responsabilità di fare un rimodellamento della storia d’Europa.
Numerose persone. Io vorrei ricordarne tre, per una ragione specifica che dirò tra poco, legate molto fra di loro per la comunanza di concezione, di fraternità umana, di autentica ispirazione cristiana, ma anche dalle loro esperienze personali – Schuman, francese, De Gasperi, italiano, Adenauer, tedesco.
Fra di loro comunicavano facilmente. Perché anche Schuman e De Gasperi parlavano bene in tedesco. Perché? E questo vorrei sottolineare.
Schuman, quando nacque da famiglia francese, della Lorena, la Lorena era parte della Germania; nel 1918 divenne Regione francese. Così De Gasperi, nato in Trentino quando faceva parte dell’Impero austriaco; nel 1918 il Trentino divenne Regione italiana.
Entrambi, vivendo in zone di confine, avevano maturato l’idea, la convinzione, che i confini non fossero punti di separazione, ma occasioni di incontro e che fosse irrazionale, incomprensibile, insensata la guerra tra popoli vicini. E questa è stata una molla che ha condotto a riflettere, e a diffondere il messaggio di integrazione europea.
Come poc’anzi ricordava Franco Vaccari, l’Europa unita ha garantito oltre settant’anni di pace tra gli Stati europei. Ha consentito, appunto, cittadinanza comune, un comune passaporto tra tutti i Paesi dell’Unione, ha consentito di poter viaggiare liberamente da Lisbona ad Atene, da Malta a Stoccolma, di poter studiare nelle università di ogni parte d’Europa, di poter lavorare ovunque nei Paesi dell’Unione. E tante altre cose ancora, che ben conosciamo.
Ecco, il mondo che ci è apparso in questi anni, un mondo di pace, di disarmo progressivo generale – come sembrava all’inizio degli anni ’90 e così apparso per dieci, quindici anni, con accordi continui di abbassamento degli arsenali nucleari, di disarmo progressivo – questo mondo è stato stravolto, in questi ultimi anni, da quanto sta avvenendo. Dalle guerre in Europa e intorno all’Europa, dal rifiuto del rispetto delle regole del diritto internazionale, dal rifiuto del ruolo delle organizzazioni internazionali, dal ritorno delle concezioni di politica di potenza nazionale, di volontà di dominio sugli altri popoli, di creare condizioni di vantaggio militare. Alterando quella condizione non ideale, ma praticata per tanto tempo, di equilibrio, che ha garantito l’assenza di guerre per tanto tempo.
Perché finché non riusciremo a eliminare, vorrei dire, a estirpare dal mondo, dalla vita del mondo, la volontà di dominio sugli altri – non riusciamo a estirpare quindi il male dai comportamenti umani ed è un obiettivo che pratichiamo, ma che non sembra a portata di mano – l’equilibrio è quello che impedisce le tentazioni di prepotenza e di dominio sugli altri.
Ecco, però, questo non si realizza soltanto sul piano militare. Si realizza ricostruendo un sistema di rapporti internazionali che ripristini il rispetto delle regole e il vicendevole rispetto di indipendenza di tutti i Paesi.
Ecco, questo a me sembra, in questo momento, l’oggetto da sottolineare, il compito dell’Europa: quello di divenire uno dei perni di dialogo internazionale nella Comunità del mondo, per ridisegnare – tutti insieme – un nuovo sistema di sicurezza, di coesistenza, di collaborazione, che allontani gli spettri che stiamo vedendo della guerra e del contrasto così radicale.
Siamo tutti disorientati da quel che avviene. Il mondo è stravolto, in questi anni, rispetto a quello che ci attendevamo. Ma questo è quello che va perseguito: un sistema che ripristini condizioni in cui tutti si riconoscano; e garantisca coesistenza e collaborazione.
Naturalmente per far questo, l’Europa deve essere unita, anche più efficiente, resistendo agli attacchi che subisce dall’esterno e dall’interno, da chi coltiva il desiderio di ritornare alla contrapposizione fra nazionalismi, a condizioni che assomigliano pericolosamente a quelle del mondo dei secoli passati.
Questo è il compito dell’Europa e dell’Italia dentro l’Europa, a me sembra, ma è l’obiettivo di ricostituire un clima, una condizione, un sistema che allontani tentazioni che in questo momento ci stanno atterrendo così gravemente.
Grazie della domanda.
Chiara Cometto, in rappresentanza della classe speciale del quarto anno liceale a Rondine
Domanda. Buongiorno Signor Presidente. Buongiorno a tutte e a tutti. Io sono Chiara Cometto e vengo da Boves, in provincia di Cuneo, e sono una studentessa del quarto anno Rondine.
In un mondo in cui parlare di pace sembra sempre più difficile, perché rischia di diventare una parola vuota o retorica e dove spesso le scelte degli Stati sembrano rispondere più agli interessi di pochi che al bene delle persone, ci sentiamo disorientati, poco ascoltati e privi di riferimenti autentici. A Rondine non parliamo quasi mai di pace, ma cerchiamo di praticarla nel concreto, partendo dalla nostra vita quotidiana, con il rapporto con i nostri compagni di classe, con le nostre famiglie e la cura di questo luogo che ci ospita. Come possiamo, noi giovani, dare un senso concreto alla parola pace, partendo dalla nostra quotidianità, e allo stesso tempo far sentire davvero la nostra voce anche quando sembra non avere peso, affinché diventi una proposta reale di cambiamento per la società?
Presidente. Grazie Chiara di questa domanda. Poc’anzi ho cercato di prendere spunto delle parole “progetto condiviso” – la pace – “progetto condiviso” tra cittadini e istituzioni. Ho cercato di disegnare il patto che c’è stato alla base della nostra Costituzione e che dobbiamo mantenere nella vita internazionale.
Ecco, c’è un’altra traduzione di questo impegno, che mi pare possa aiutare a rispondere alla domanda che hai posto, che riguarda il modo di pensare, la mentalità e, quindi, i comportamenti conseguenti, che nella vita quotidiana, sia i singoli cittadini, sia gli Stati con le loro istituzioni, adottano.
In entrambe le dimensioni, quella degli Stati e quella della vita quotidiana dei cittadini, si pone un’alternativa costantemente, una sorta di scelta da compiere. Quella di guardarsi con diffidenza, con astio, con avversione, oppure quella di assumere un atteggiamento di apertura, quantomeno di curiosità, di apertura a conoscersi, a frequentarsi – veicoli della stima e della fiducia che può nascerne – e quindi con la disponibilità alla collaborazione.
Questa è una alternativa che si pone sempre, già nella vita quotidiana.
Vorrei fare un piccolo ricordo. Poc’anzi ho incontrato una delle vostre colleghe che anni fa ha ricevuto al Quirinale un riconoscimento che si dà ogni anno a tanti giovani, anche a ragazzi giovanissimi, e, in altra occasione, a tanti adulti ogni anno, per sottolineare gesti che hanno compiuto o iniziative permanenti che hanno assunto, di solidarietà, di sostegno a chi è in difficoltà, in difficoltà per le condizioni permanenti o per emergenza. Di chi si fa carico dei problemi del proprio territorio o del suo ambiente di scuola, di studio o di lavoro, cioè di chi si fa carico degli altri.
Questi modelli, questa indicazione – con questi riconoscimenti dati a ragazzi e ad adulti – vengono fatti per esprimere, per far conoscere quanto c’è di ricchezza, di generosità nella vita del nostro Paese.
Naturalmente non c’è soltanto questo modello davanti ai nostri occhi. Ce n’è uno contrapposto. Per fare un esempio evidente, che tutti conosciamo, basta frequentare il web, dove sovente emergono espressioni della maggiore malevolenza, della maggiore ostilità, talvolta addirittura di odio.
Questo fa riflettere. Perché il web è nato per consentire conoscenza e amicizia oltre ogni confine. È paradossale che venga usato in quelle modalità. Ma c’è una cosa che bisogna ricordare. Contiene un’insidia: rischia di fare ignorare il rapporto umano, rischia di fare dimenticare la relazione personale e di isolare in una bolla di solitudine e quindi ignorare l’umanità altrui.
Questo richiede, naturalmente, di riflettere a quanto, invece, vivere gli eventi con gli altri, conoscendoli, fa conoscere e quindi apprezzare, condividere anche, e farsi carico della umanità altrui. Per questo il rapporto personale è indispensabile anche per quanto riguarda il tessuto della pace che si costruisce nella vita quotidiana della società e nei rapporti tra gli Stati.
È lo stesso anche lì. Nella storia, quando gli Stati si sono guardati con diffidenza, con sospetto, con chiusura reciproca, si è giunti quasi sempre alla guerra. Quando invece si aprono alla collaborazione, di ogni genere, culturale, economica, politica, tecnologica, quello crea contatti, rapporti, conoscenza, lavoro comune, obiettivi comuni e rafforza la collaborazione di pace.
Per questo è importante, in quella dimensione internazionale – per rispondere alla domanda posta – di intensificare, di superare anche possibili delusioni che si creano ma ostinatamente ricercare contatti, rapporti, collaborazioni, perché i punti di incontro sono sempre molto maggiori di quelli di incomunicabilità. E quelli di incomunicabilità sono sempre superabili, comunque.
Basterebbe un interrogativo semplice che in realtà ci aveva posto con evidenza la pandemia, che abbiamo trascurato come insegnamento. Quali sono i veri pericoli dell’umanità? Quali sono i suoi veri nemici? Li conosciamo: dalla salute, al clima, alle condizioni della fame nel mondo.
Sarebbe molto più ragionevole e anche conveniente affrontarli insieme, anziché competere e anziché contrapporsi.
Per questo quello che fate qui – quello che avviene a Rondine – è non soltanto un messaggio prezioso, ma anche una palestra di rapporti umani, che costruisce relazioni che esprimono il tessuto di pace di cui vi è bisogno. Per questo è di grande importanza.
E siccome so che sono presenti tanti studenti e anche molti insegnanti, vorrei ricordare, per concludere, quanto sia importante il ruolo dell’insegnamento e della scuola.
Per usare parole di Maria Montessori che disse a suo tempo, e va ripetuto: “Evitare le guerre è compito della politica, costruire la pace è compito dell’educazione”.
È questo il grande compito da fare.
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