8 settembre 2019: II DOPO IL MARTIRIO DI S. GIOVANNI IL PRECURSORE
Is 5,1-7; Gal 2,15-20; Mt 21,28-32
I tre brani della Messa
Il primo brano della Messa è una delle più belle parabole dell’Antico Testamento: una pagina tra l’altro di un lirismo altamente simbolico, che prende la vigna per descrivere l’amore tradito di Dio da parte del suo popolo prediletto.
Il brano del Vangelo è un’altra parabola, ma di Gesù, una tra le più brevi e tra le più sconvolgenti, oltre che provocatorie. Il riferimento a Israele è esplicito, come è esplicita la messa in scena, per sostituirlo, di un mondo, quello delle prostitute e dei pubblicani, che farebbe ancora oggi scandalizzare gli ipocriti e i falsi devoti.
Il secondo brano, tolto dalla Lettera di San Paolo ai Galati, è altrettanto sconvolgente, se lo leggiamo senza i soliti paraocchi. Non è di facile lettura, ed è proprio per questo che mi soffermerò a commentarlo, senza nulla togliere al messaggio del profeta Isaia e di Gesù Cristo.
“Noi che per nascita siamo Giudei e non pagani peccatori”
Partirei però da una frase che non mi è piaciuta, quando San Paolo scrive: «Noi che per nascita siamo Giudei e non pagani peccatori».
Forse l’Apostolo si dimenticava che la sua nascita non lo aveva risparmiato, prima della conversione al cristianesimo, dall’essere peccatore, più di qualsiasi pagano, e forse si dimenticava che Gesù Cristo aveva elogiato più volte alcuni pagani, denigrando invece l’ipocrisia delle religiosità ebraica.
Che significa allora «Noi che per nascita siamo Giudei e non pagani peccatori»? Ma scherziamo?
Associare il fatto di essere un pagano al suo stato naturale di essere un peccatore, ciò veramente è insopportabile e disgustoso. È come se oggi dicessimo: “Tu sei ateo, perciò sei da condannare come un delinquente proprio perché sei ateo!”.
Il privilegio per nascita è ancora uno degli insopportabili difetti che caratterizza lo Stato attuale d’Israele.
Nessuno in particolare nasce privilegiato, ma tutti, indipendentemente dalla razza o dalla religione, nasciamo come esseri umani, a cui è stato dato da Dio il diritto e il dovere di essere, oltre che corpo e anima, uno spirito divino.
Non vorrei insistere su questo, dal momento che in ogni omelia un accenno c’è sempre al nostro stato privilegiato (ma che è di ogni essere umano), dono di un Dio che non si fa schiavo di nessuna religione.
Il popolo d’Israele fin dall’inizio ha frainteso il fatto di essere un popolo eletto da Dio, non per fare il primo della classe, ma per servire tutti i popoli perché conoscessero e amassero l’unico Dio.
La Legge (Torah) e la fede in Gesù Cristo
Veniamo a ciò che San Paolo dice invece di interessante a proposito del rapporto tra la Legge (o Torah) e la fede in Gesù Cristo.
Per capire il pensiero di San Paolo, bisognerebbe fare la storia di quella che gli Ebrei chiamavano e chiamano la Torah, la Legge con la L maiuscola.
Dicendo Torah gli antichi ebrei pensavano ai primi cinque libri della Bibbia, chiamati il Pentateuco (da “penta”, cinque, e “teuco”, astuccio): i libri erano rotoli che venivano inseriti in astucci.
La Legge o Torah era una serie innumerevole di leggi, non solo di carattere morale, ma anche rituale e igienico. Non dimentichiamo che ciò che noi chiamiamo semplicemente un insieme di norme igieniche, per gli ebrei erano anche norme religiose, e l’intento era chiaro: costringere in nome di Dio, soprattutto quando gli ebrei vivevano in un deserto, a osservare le norme igieniche. Non osservarle diventava un peccato. Tra parentesi, non è che fosse tutto inventato: anche il corpo è un dono di Dio.
Un insieme ossessivo di leggi da osservare
Si era creato una tale meticolosità e una tale complessità di norme da rendere impossibile l’osservanza di tutte le norme, anche con il rischio, più che reale, di rendere infelice la propria esistenza e inoltre di trascurare il cuore della Legge, che è la sua funzione relativa al rispetto della dignità dell’essere umano. La Torah era diventata un peso enorme a danno della felicità e a danno dello stesso essere umano.
San Paolo insiste nel far capire che ogni legge, anche quella civile, è un mezzo e solo un mezzo in funzione della dignità dell’essere umano. La legge non è mai da prendere come fine a se stessa. Non è mai un fine. E può succedere che una legge che vale oggi, domani va sospesa perché le circostanze sono mutate, e osservarla potrebbe danneggiare il nostro essere.
Il fine delle leggi
Possiamo e dobbiamo allargare il discorso: ci chiediamo quale sia la funzione della legge. Ad esempio, lo Stato e la Chiesa emanano le leggi costringendo sotto minaccia i sudditi a obbedirle? perché emanano le leggi?
E tutti sappiamo che più leggi vengono emanate più legami di schiavitù vengono imposti. Non è vero che, emanando più leggi, si crea nella gente più maturità o responsabilità. Si rende la gente schiava delle leggi. San Paolo dirà: se non ci fossero le leggi non ci sarebbe la possibilità di peccare. Il peccato che cos’è? Una disobbedienza ad una legge. Togliamo le leggi, e non ci sarebbe più la possibilità di violare la legge.
Al tempo di Cristo si era arrivati al punto di avere un tale numero di leggi che era impossibile osservarle tutte, e Cristo le ha abolite tutte, tenendo un solo comandamento; amare Dio e amare il prossimo. Ed è successo la stessa cosa nella Chiesa. Ci fu un periodo storico in cui fu necessario stilare dei veri manuali di casi di peccato, per aiutare i confessori a risolverli di volta in volta.
Possiamo concludere con San Paolo: La legge uccide se stessa, ovvero la sua vera funzione che è quella di farci vivere in Gesù Cristo o, più misticamente, la legge ci uccide nel nostro essere interiore, la cui vera legge è lo Spirito santo.
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