Omelie 2015 di don Giorgio: Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo

8 novembre 2015: Nostro Signore Gesù Cristo re dell’Universo
Is 49,1-7; Fil 2,5-11; Lc 23,36-43
L’insuccesso umano è strettamente legato alla salvezza
Il profeta anonimo, che passa sotto il nome di “secondo Isaia”, autore del primo brano della Messa, parla di un “servo” perseguitato che il Signore libera. Secondo alcuni studiosi si tratterebbe dello stesso popolo eletto che, finalmente, si orienta nella fedeltà dell’Alleanza, anche e nonostante le persecuzioni e le oppressioni subite.
Allargherei il discorso, con una riflessione del tutto personale. Quando nella Bibbia si parla di salvezza, di solito pensiamo ad una definitiva liberazione. Che la salvezza ci sarà alla fine dei tempi, anche i profeti ne erano certi. Tutto tornerà al punto iniziale, ovvero al pensiero originario di Dio. È quanto anche la Chiesa dice, usando la parola “conversione”. Non sto qui ad analizzare ciò che significa tornare al punto iniziale, oppure ciò che significa conversione dell’umanità. A me preme evidenziare una cosa, nel frattempo, ovvero finché questo mondo ci sarà, e l’uomo continuerà la sua strada, nel bene o nel male.
E, proprio pensando alle parole dei profeti che, se parlavano di salvezza, insistevano anche nel sottolineare i continui fallimenti ad opera della ostinazione umana nei confronti del disegno di Dio, mi pare di cogliere un piano di Dio che definirlo provocatorio o paradossale sarebbe poco. Sembra che la salvezza di Dio non possa fare a meno di passare attraverso l’insuccesso. Vorrei essere più chiaro.
La salvezza di Dio risiede in realtà nel fallimento umano. Più l’uomo si ostina nel suoi piani diabolici, più Dio rivela la sua salvezza. Non è una cosa semplice da comprendere. Bisogna riflettere per intuizione. Tuttavia, non possiamo negare che i dati di fatto che hanno accompagnato la storia umana, non sono altro che la prova di quanto sto dicendo, ovvero che l’uomo non ha mai smesso di contrastare il disegno di Dio, e che Dio, proprio per questo, non ha mai smesso di manifestare la sua salvezza.
Stiamo attenti, allora, quando parliamo di salvezza di Dio, di liberazione della storia, di conversione, di risurrezione. Non sono e non saranno mai definitive, ma agiscono nel corso della storia, attraverso gli insuccessi e i fallimenti umani.
La salvezza di Dio non si rivela, dunque, attraverso i suoi santi, che santi non sono mai stati, se è vero che tutti nasciamo peccatori, e tali restiamo per tutta la vita. La salvezza di Dio, invece, si rivela attraverso i peccatori, che di volta in volta cercano di ravvedersi tornando sulla retta via, ma sempre tentati di deviare ancora. I santi, se così possiamo chiamarli, sono coloro che non demordono mai, sempre in ogni caso in lotta con le proprie miserie umane, ed è proprio nelle miserie umane che Dio rivela la sua liberazione.
Ma, di nuovo, attenzione: dire che Dio salva attraverso le miserie umane non significa giustificare il male, o invitare a compierlo per dimostrare che Dio poi ci libera. Dio non arriva a tal punto di pazzia. Sto parlando dei nostri innati limiti umani, di cui prendere coscienza: siamo limitati e dobbiamo rendercene conto. Dio ci conosce più di ogni altro, e non pretende da noi l’impossibile. Non intendo, perciò, giustificare o, ancor meno, santificare quell’orgoglio umano che pretende di sostituirsi a Dio, come se il bene potesse essere sostituito dal male. Il male è male, ma Dio sa trasformarlo in bene, quando il male incarnato nell’essere umano diventa coscienza che Dio, nonostante i nostri limiti, opera l’impossibile. Che Dio sarebbe, quale sarebbe il suo impossibile, se gli uomini fossero tutti bravi, buoni, santi?
Aggiungo. Ciò che veramente a Dio è insopportabile è pretendere che la salvezza passi attraverso le perfezioni delle strutture o certe norme così rigide da annullare l’impossibile di Dio. Eppure, guardate a ciò che la Chiesa, fin dall’inizio, ha sempre preteso: se tu sei dentro questa struttura, così e cosà, se tu osservi le regole oggettive, allora la salvezza è alla tua portata. In altre parole, la Chiesa-struttura-religione ha stabilito di suo ciò che sono i canali della salvezza di Dio. Ma Dio la pensa proprio così? I canali di Dio sono paradossali, fuori di ogni norma. Credo che l’unico vero canale che Dio usa per trasmettere il suo pensiero sia la Coscienza, e nient’altro che la Coscienza. Coscienza, ovvero ciò che noi siamo, nel profondo di noi stessi. Qui si gioca la nostra salvezza, e la liberazione dell’Umanità.
“Svuotò se stesso…”
Ogniqualvolta rileggo l’inno che San Paolo ha ripreso nella sua Lettera ai cristiani di Filippi, e che la Liturgia della Messa ci ripresenta, un inno che probabilmente le prime comunità cristiane recitavano o cantavano durante le celebrazioni liturgiche, mi vengono i brividi, per togliere i quali, basterebbe poco: banalizzare il contenuto di certe espressioni, tradendone l’originale. Pensate al verbo “svuotare”: ”svuotò se stesso” che non andrebbe tradotto con “si umiliò”. Il Figlio di Dio, incarnandosi, si è svuotato della sua gloria divina, per assumere l’Umanità nella sua integrità.
Simone Weil, a questo proposito, allargando il discorso alla creazione in genere, ha scritto nel libro “Attesa di Dio”:  «La Creazione è da parte di Dio non un atto di espansione di sé, ma un ritrarsi, un atto di rinuncia. Dio insieme a tutte le creature è meno di Dio da solo. Egli ha accettato questa diminuzione. Ha svuotato di sé una parte dell’essere. Egli si è svuotato già in questo atto della sua divinità… Dio ha permesso che esistessero cose altre da Lui e di valore infinitamente minore. Attraverso l’atto creatore Egli ha negato se stesso, così come il Cristo ha prescritto a noi di negare noi stessi. Dio si è negato in nostro favore per dare a noi la possibilità di negarci a nostra volta per Lui. Questa risposta, quest’eco, che dipende da noi rifiutare, è l’unica giustificazione possibile alla follia d’amore dell’atto creatore».
De-creazione
Che cosa significa de-creazione, un termine inventato da Simone Weil? Dio, creando il mondo, si è come sminuito nella sua onnipotenza divina. Ecco il paradosso: Dio creandoci si è de-creato, si è sminuito nella sua divinità. È ciò che ha scritto San Paolo nella lettera ai Filippesi (2,7). Perché Dio, quando ha creato il mondo, si è autoescluso dalla sua creatura? Per lasciarla libera. E non interviene più nella storia dell’umanità. Qui Simone Weil è contro una certa sbagliata concezione della Provvidenza divina. Certo, nel mondo ci sono i simboli di Dio, che però non sono altro che segni delle “porte” sul divino. Spetta a noi scoprirli. Dio ha messo delle “trappole” per catturarci, tra cui la bellezza: tocca a noi farci catturare. C’è un altro passaggio nel pensiero della Weil. Se Dio si è de-creato creandoci, anche noi dobbiamo fare lo stesso, se vogliamo scoprire questo Dio, che è andato come in esilio per rispettarci nella nostra libertà. Dunque, anche noi dobbiamo de-crearci, ov-vero ritirarci dal nostro “ego”, la fonte delle creazioni idolatriche. Svuotandoci, scopriremo la presenza di Dio nel nostro essere. Dio non è andato in esilio chissà dove, ma è sempre misteriosamente nelle sue creature. Una presenza che è assenza, per non diventare oggetto delle nostre pretese. Altro paradosso: Dio è solo presente nell’assenza. Dobbiamo svuotarci del nostro “io”, se vogliamo raggiungere l’unione mistica.
Ha regnato dalla croce
Non c’è più tempo per spiegare il Vangelo. Solo una cosa. Cristo avrebbe potuto scendere dalla croce, compiendo così un grande miracolo, strabiliando i presenti. Ma non lo ha fatto. Il più grande miracolo è stato l’essere rimasto sulla croce, in libertà di coscienza, e così Cristo ha voluto esprimere dove sta il vero amore, ovvero nel servire nell’impotenza fisica. Sulla croce si è nudi di tutto, anche nei vestiti. Privi di ogni potere umano. Privi anche della propria autonomia. Ma l’amore va al di là di ogni crocifissione che mette a nudo la fragilità e il superfluo. Ecco dove sta il servizio: nella nudità di un amore che si spoglia di ogni attaccamento a tutto ciò che non è il vero Essenziale.
Cristo regna sulla Croce, che in realtà non è altro che la crocifissione del potere umano, che trova così la sua sconfitta. La Croce non  ha gradini: solo la gerarchia è una scala che porta verso la cima di un potere che domina schiacciando gli altri. La Croce unisce l’orizzontale e il verticale (i due pali), che si congiungono al centro dell’incrocio. E proprio al centro, alcuni pittori e alcuni scultori mettono la testa o il cuore. Non fa differenza: l’umano e il divino si incrociano, là dove la mente e il cuore sopravvivranno nell’eternità.

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