Omelie 2024 di don Giorgio: IV DI AVVENTO

8 dicembre 2024: IV DI AVVENTO
Is 4,2-5; Eb 2,5-15; Lc 19,28-38
Quest’anno la festività della Immacolata cade di domenica, e, essendo il rito ambrosiano molto rigido, non ammette eccezioni, la liturgia della domenica – quest’anno Quarta di Avvento – ha sempre la precedenza: la festività della Immacolata liturgicamente viene spostata il giorno successivo.
Una cosa andrebbe chiarita: nell’Avvento le festività a se stanti, ovvero prese in sé, non hanno senso, e perciò anche la Madonna va vista nel contesto dell’Avvento: d’altronde non è lei la Donna in attesa?
Se per un verso in Avvento la liturgia mette in risalto la figura di Giovanni Battista nella sua austera testimonianza come precursore del Messia, per l’altro la figura di Maria non è da meno nella sua divina attesa. Alla figura di Maria il rito ambrosiano dedica una festività, l’Immacolata, l’8 dicembre, e una domenica, quella che precede immediatamente il Santo Natale, ovvero la Sesta di Avvento.
La festa dell’Immacolata sembrerebbe fuori posto (una festa a se stante), mentre la Sesta domenica di Avvento è perfettamente nel contesto liturgico, in quanto senza il sì con cui Maria accetta il disegno di Dio non saremmo qui a parlare di Incarnazione del Figlio di Dio.
Soffermiamoci ora sui brani della Messa.
Nel primo brano, Isaia, lo storico profeta che è vissuto nell’VIII secolo a.C., parla di un germoglio, “il germoglio del Signore”. Vediamo di spiegare il senso della parola “germoglio”: già il nome è molto suggestivo, apre orizzonti insperati, sa di Divino.
Di per sé germoglio vuol dire boccio, bocciòlo, gemma, butto, getto, virgulto. È l’inizio di una vita, o una vita nel suo inizio: un piccolo segno promettente di vita.
Pensiamo alla parabola di Gesù: «Il regno di Dio è come un uomo che getta il seme nella terra; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce; come, egli stesso non lo sa. Poiché la terra produce spontaneamente, prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga». Dunque dal seme, al germoglio e alla spiga.
Forse restiamo più incantati dal germoglio che dalla spiga. La spiga è il frutto o la parte finale di un processo di evoluzione. Il processo si è concluso. Ma il germoglio fa sperare per il meglio: nel germoglio vediamo soprese da attendere nella speranza che tutto proceda meravigliosamente. Noi in primavera guardiamo le gemme, incantati e speranzosi.
Pensiamo alle antiche profezie: sono queste da considerare, non quelle profezie che attribuiamo a certi leader o guru o ciarlatani. La profezia è una parola troppo scontata, che appiccichiamo con tanta enfasi a gente che parla in proprio.
Le profezie sono sempre dei germi, già presenti oggi in tutta la loro realtà. Nessuno può intuirli, se non nella Grazia divina. Sono germogli presenti in ciascuno di noi, nel nostro essere più profondo, nella realtà spirituale più pura, perché divina. I profeti non inventano di loro nulla di quel Divino, che è presente in germe in ogni essere umano. Casomai abbiamo il compito di aiutare ciascuno a scoprire nel suo essere il germe divino. E aiutarlo a farlo crescere. Solo nell’umiltà ci sarà il migliore aiuto. Che siamo poeti o no, non interessa. Che siamo letterati o no, non interessa. Interessa l’umiltà di essere semplicemente se stessi.
I semi preferiscono terreni comuni, ma arati nella grazia, e non con la forza di buoi nella loro carnalità più grossolana. E allora soffermiamoci sui profeti, i servi più umili del Dio dell’Alleanza, che avevano ricevuto la missione di avvertire il popolo eletto perché non tradisse la fede dei loro padri.
Intuivano, ma non in pienezza, che c’era qualcosa in quella parola che essi annunciavano. Una parola che non era un suono di parole ad effetto, tanto più che i veri profeti, che parlavano in nome di Dio, erano rifiutati, e non osannati o messi su monumenti.
La parola “germoglio” la troviamo nei testi profetici dell’Antico Testamento. A parte il brano di oggi, il profeta Geremia annuncia: «Ecco, verranno giorni – oracolo del Signore – nei quali io realizzerò le promesse di bene che ho fatto alla casa d’Israele e alla casa di Giuda. In quei giorni e in quel tempo farò germogliare per Davide un germoglio giusto, che eserciterà il giudizio e la giustizia sulla terra. In quei giorni Giuda sarà salvato e Gerusalemme vivrà tranquilla, e sarà chiamata: Signore-nostra-giustizia» (33.14-22).
Un autore commenta: «Piccolo, fragile, nascosto, nuovo, tenero, concreto, silenzioso… un germoglio lo si immagina così e con tanti altri aggettivi. La “parola di bene” del Signore si realizzerà così, forte come una promessa che viene da Lui, nuova perché Lui fa nuove tutte le cose (Ap 21,5) e libera perché nessuno sa come diventerà o chi sarà questo germoglio. Un annuncio straordinario quello che passa attraverso la penna di Geremia oggi per la casa di Israele, per la casa di Giuda e per la “casa” di ognuno di noi. Il Signore promette la salvezza e la vita, la realizzazione della sua giustizia. Ciò che sorprende, come solo le Parole che vengono da Dio sanno fare, è che tutto ciò si realizzerà con qualcosa di estremamente fragile come un germoglio. Il nostro pensiero va subito alla Promessa del Figlio che in questi giorni la liturgia ci farà aspettare. Dalla culla alla croce il suo trasformare la storia in silenzio, dal cuore delle cose, caratterizza la sua vita. Se il nostro Dio promette una novità che non si manifesta forte come il più imponente albero della foresta ma che si fa piccola e bisognosa di cura come un germoglio, anche noi possiamo guardare con occhi diversi alle nostre fragilità, come benedette dal Signore perché attraverso di esse passa la sua promessa di bene. In che modo? Prendendocene cura e soprattutto lasciando che la luce della libertà e della salvezza di Dio, in relazione con noi, vi entrino».
Anche il profeta Zaccaria parla di Germoglio: «Così dice l’Eterno degli eserciti: Ecco, l’uomo, il cui nome è il Germoglio, germoglierà nel suo luogo e costruirà il tempio dell’Eterno». (Zaccaria 6,12).
Se pensiamo a Maria, il cui grembo è stato fecondato per opera dello Spirito Santo, possiamo dire che per nove mesi ha portato in sé il Germoglio divino.
Ma possiamo dire che lo stesso Cristianesimo è un Germoglio, che cresce, si dilata, si sviluppa. È sempre un Germoglio, ricco di Novità sorprendenti.
Possiamo anche dire che la nostra fede è un germoglio, cresce e cresce, perché c’è ancora tanto da cui staccarci per far sì che il germoglio si espanda.
Pensate a quei cristiani che credono di essere già arrivati al capolinea, e perciò non si accorgono di essere fermi al punto di partenza.
La fede è una continua sorpresa, perché il Germoglio è ricco di novità, di meraviglie.
Come Maria, dentro di noi abbiamo un Germoglio da proteggere, da coltivare, da sviluppare. Il tutto nella Grazia divina.

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