Le contraddizioni di un Paese che fa di tutto per non uscire dalla crisi

giornali2709_img[1]
di don Giorgio De Capitani 
In questo momento di grave crisi economica, che sta attanagliando anche il nostro Paese, se per un verso sento e condivido la reale sofferenza di quanti, e sono tanti, che faticano a stare a galla in modo dignitoso e sereno, dall’altro constato (non è perciò solo una sensazione) una vergognosa contraddizione, e provo da parte mia un grande disagio interiore.
Che il popolo italiano per forza di cose abbia dovuto cambiare modo di vita, anche tirando la cinghia (questo non ha nulla a che vedere con lo “stile di vita”, che è un’altra cosa), è sotto gli occhi di tutti, e tutti i giorni abbiamo una prova. Il fatto di dire “per forza di cose” dovrebbe farci riflettere, se, cessata l’emergenza, dovessimo tornare al modo di vita dell’ante crisi. Qui entra in ballo lo “stile di vita”, che dovrebbe caratterizzare in ogni caso, crisi o non crisi, le nostre scelte esistenziali. Caratterizzare sta per qualificare. Lo stile di vita punta alla qualità, non alla quantità. Non si tratta di un di più o di un di meno, ma del meglio, che è in rapporto alla crescita dell’essere o non dell’avere.
Purtroppo, il benessere materiale è vissuto normalmente come mal-essere, nel senso che, con l’eccessivo avere, ossessionato anche nei suoi più inconsci desideri, perdiamo di vista l’essenziale, dove risiede il nostro vero ben-essere; e nel senso che, quando la crisi ci blocca nell’avere oltre il dovuto essenziale e blocca i nostri sogni di un insieme di suppellettili (il cosiddetto superfluo) che adornano la casa, dove regna il vuoto d’anima, allora cadiamo in depressione, che chiamiamo esistenziale, ma forse sarebbe il caso di definirla “demenziale”.
Ma succede che, quando tutto va per il verso giusto, ovvero non c’è neppure un minimo odore di crisi, fare queste riflessioni irrita il buon senso comune (discorsi da preti che non fanno che il loro mestiere di salvare l’anima!) e, quando c’è crisi reale, essere sinceri nel dire ciò che si pensa appare offensivo nei riguardi di quanti hanno reali problemi di sopravvivenza. Nel primo caso, quando tutto va bene, l’unico problema è godersi la vita; nel secondo caso, l’unico problema è uscire al più presto dalla crisi per riprendersi il godimento interrotto della vita. Ma i ragazzi da che parte stanno? Non hanno avuto il modo di assaporare il benessere materiale, e ora che fanno? Vogliono almeno godersi quel poco di avere che i genitori gli hanno lasciato in eredità, e pretendono sempre di vivere di rendita, quella altrui.
Ma, c’è un ma, che è la prima delle contraddizioni di cui parlavo sopra: è la pubblicità, l’unica realtà a sopravvivere nonostante la crisi, che continua la sua azione di seduzione, con l’effetto deleterio di manipolare le menti già deboli e confuse. Ma i suoi intenti non sono evidenti: sono talmente subdoli da suscitare la speranza che non tutto è così perduto, ovvero che bisogna consumare di più se si vuole uscire dalla crisi, per il semplice motivo (così essa sostiene e inganna) che il mercato deve produrre di più, perché ci siano più posti di lavoro ecc. ecc. Mai come oggi la pubblicità ci martella, ci seduce, anche usando le nuove tecnologie che si insinuano dappertutto, e proponendoci come allettanti offerte sempre più sofisticate tecnologie che diventano anelli di congiunzione di una catena che, come in un circolo vizioso, non ci permette più di vivere da spiriti liberi, ovvero non condizionati. D’altronde, che fare? Vivere su un’isola? Ognuno, anche il più poveraccio, ha un proprio telefonino, e non parlo poi di tutti quegli aggeggi che sostituiscono il vecchio computer, di cui mi è difficile pronunciare il nome.
Ma c’è una seconda contraddizione, ed è l’incongruenza o oscenità morale della classe dirigente. E per classe dirigente intendo non solo quella strettamente politica, ma anche quella manageriale e giornalistica. Anche i giornali, non dimentichiamolo, sono dei mezzi potenti in mano a poteri forti. Parlo di moralità, perché, se manca la coscienza, dove risiede la legge del nostro agire, non potrà mai esserci nemmeno la rettitudine civica, o quella giustizia sociale per cui non ci dovrebbero essere privilegi o la distinzione tra potenti e deboli, tra ricchi e poveri, tra chi guadagna molto e chi guadagna poco. Certo, non pretendo che tutti abbiano lo stesso mensile, e non pretendo che tutti abbiano in ugual misura i beni di questa terra. È difficile parlare di giustizia sociale, perché rischieremmo di farne un’idea solo teorica, o utopica: la realtà è ben diversa, e non si potrà mai, dico mai, far sì che tutti gli esseri umani siano uguali in tutto e per tutto, nei loro beni, nei loro privilegi, nelle loro aspirazioni. Tuttavia, tutti partecipano della stessa Umanità. Ognuno ha il dovere di sentirsi parte di questa Umanità, senza essere messo ai margini, costretto a vivere di stenti e di miserie. Poi, che tu abbia la ferrari e io un piccola utilitaria, non è questo il vero problema. Il vero problema è che ciascun essere umano possa vivere dignitosamente su questa terra. Non è giusto che tu abbia di più, e questo di più tolga a me la possibilità di vivere da essere umano. Poi spetterà a me stabilire quel minimo che mi dà la gioia di vivere, in libertà.
Ora, coloro che si sono assunti la responsabilità di amministrare il Bene comune, e perciò di dare ad ogni cittadino la possibilità di vivere dignitosamente, come possono approfittare di questa carica per fare i propri interessi personali o di famiglia o di partito? Chi si assume un impegno, di qualsiasi tipo, ha il dovere di essere coerente il più possibile, nel far sì che i soldi che porta a casa non siano un oltraggio alla povertà o alla precarietà o, meglio, a quella gente che egli rappresenta e che vive di stenti. Come si possono sopportare politici o altri che vivono nel lusso, mentre dicono di darsi da fare per il bene del popolo? Ma di quale popolo? Restando nel campo strettamente politico, come si può vivere di assurdi privilegi, avere sconti o altro, farsi pagare anche nelle più stupide banalità con i contributi statali, o regionali, o comunali? Come possiamo sopportare questi ladri che ogni giorno vediamo in tv, pontificare a destra o a sinistra, mentre urlano (loro litigano sempre, come cani rognosi) che lo fanno per il nostro bene, per il bene del paese?
Apri la tv, e su tutti i canali, ci sono dibattiti politici! “Politici”? Una volta venivano chiamati talk show, ovvero un coacervo di chiacchiere tanto per fare spettacolo. E lo spettacolo è sempre garantito, con la presenza dei soliti che fingono di prendersi per i capelli. Spettacolo osceno! I giornalisti fanno la loro parte: parlano di problemi esistenziali, del lavoro o della crisi, e loro mentre parlano, ad ogni secondo, prendono soldi. Ma non avete vergogna, esseri schifosi! Almeno abbiate il pudore di dire: Scusate, io sto meglio di voi…
Apro la tv, e c’è il telegiornale: chi lo conduce, col volto quasi funereo, parla di gente che è affamata, che ha problemi di sussistenza, e tu, stronza, che cosa guadagni con il tuo lavoro di dare queste notizie? D’altronde, se non ci fossero notizie, non esisteresti!
È tutta una contraddizione! Tutta una oscenità! Tutti fingono di essere solidali, e poi…? Caro Floris, caro Santoro, caro Formigli, caro Fazio… qual è il vostro mensile? Non avete vergogna a parlare di problemi della povera gente, mentre voi, in quel momento, mettete soldi in banca?
Una contraddizione veramente insopportabile! Giornalisti, politici, opinionisti che, più spargono merda, più riempiono i loro granai. Tutti parlano e dicono stronzate, tutti scrivono stronzate, e, poi, tutto come prima. Nessuno che azzecchi qualcosa che si avveri. Tutti sanno, per esperienza, che la storia è imprevedibile, che il mondo della finanza è imprevedibile, che non si possono fare calcoli perché tutto è così complesso che basta poco perché tutto cambi, ma loro no continuano a fare previsioni, ognuno a modo suo, tanto prima o poi qualcosa si avvererà.
Nessuno potrà sapere quando usciremo dalla crisi, come nessuno poteva prima prevederla. Siamo entrati per tutta una serie di cose, che è difficile elencare, e usciremo magari di colpo, per tutta una serie di circostanze imprevedibili.
Con questo non intendo essere fatalista. Non lo sono, per vocazione. Ma il problema è che siamo tutti fuori strada. Non lo dico io, pinco pallino, nel giorno tal dei tali, nell’anno tal dei tali. Già nel lontano passato qualcuno ci aveva avvertito, ma siccome questo qualcuno era un saggio o un mistico, a cui non piacevano le previsioni sociologiche o politiche, ma la profondità del pensiero che ha le sue logiche e le sue ragioni che vanno al di là di ciò che appartiene al collettivo bestiale, non è mai stato preso sul serio, casomai scimmiottato in tutte le salse, a seconda delle opportunità di comodo alla tale ideologia o alla tale struttura di potere.
È il Pensiero che manca oggi: manca nella politica, manca della economia, manca in quella specie di arte con cui si sponsorizzano i surrogati, espressioni della banalità di pensiero.
Quando sentite parlare uno, qualsiasi, dei numerosissimi idioti o stupidotti che vantano diplomi o lauree o insegnano nelle università più famose, e che si sentono in diritto (diritto preso con la violenza) di sentenziare, capite subito se è ispirato dal Pensiero. Parlano e parlano, scrivono e scrivono buttando fumo negli occhi degli… allocchi.
Ho imparato ormai a distinguere pensiero dal Pensiero, e vedere se dietro a un leader che si proclama carismatico c’è quel fondo di verità che è nell’essere umano, ma che solo i semplici e i puri di mente sanno intuire.
Non sarebbe, allora, il caso di prendere la tv e i mass media in genere e buttarli tra i rottami, mandando sul lastrico tutta quella gente prezzolata che vende illusioni e manipola le coscienze?
Oggi si grida allo scandalo quando c’è la censura. E che me ne frega della censura, quando il pensiero del mio essere nessuno potrà mai imprigionare, se non con il mio consenso?
Io non parlo di censura, parlo di distruzione totale di quella categoria di informatori che si sono venduti al potere, anche se tutti dicono che hanno ragione, anche se tutti rivendicano la loro buona fede.
Partiamo da zero, e imponiamoci un rigido codice etico. Forse non sarà possibile, ma forse arriveremo prima o poi ad essere così nauseati che il mondo della informazione imploderà, per esaurimento della idiozia.
Il bene ha un fondo senza fondo, ma il male è relativo. Basta poco per contrapporvi una energia superiore: un pizzico di grazia divina.

 

 

2 Commenti

  1. Giuseppe ha detto:

    … e dopo carosello tutti a nanna!
    Era lo slogan in voga quando la televisione era rigorosamente in bianco e nero e la pubblicità era relegata in uno spazio apposito fatto di brevi siparietti, più o meno divertenti e comunque non volgari e perciò adatti anche ai piccoli. Senza esagerare la pubblicità svolgeva così il suo compito in maniera efficace: ricordavi il prodotto perché era associato a qualche gag o personaggio colorito e tutto finiva lì. Poi, dopo l’avvento del colore e l’azzeramento del monopolio rai, con l’invasione della tv commerciale si è passati all’eccesso opposto: la televisione, abbandonato del tutto il ruolo di servizio pubblico è diventata quasi esclusivamente una forma di intrattenimento, i cui costosissimi programmi non potrebbero andare in onda se non venissero finanziati direttamente dalle ricche concessionarie della pubblicità, ormai diventate un tutt’uno col mondo dell’emittenza televisiva. L’unico scopo che si prefiggono è vendere il prodotto e, visto che secondo antica abitudine, il fine giustifica i mezzi, per raggiungere l’obiettivo non si fanno scrupoli di dare un’immagine della realtà falsata ed illusoria, come se il nostro fosse un paese dall’eterno benessere, dimenticando o, anzi fingendo di ignorare la paurosa crisi che ci attanaglia e che se ha fatto crollare i consumi, non è per capriccio, ma per necessità. Se c’è qualche accenno alla verità è solo per millantare le qualità straordinarie degli articoli pubblicizzati, che all’improvviso come per incanto acquistano incredibili proprietà terapeutiche, come se bastasse possederli per ritrovarsi belli, ricchi, felici e appagati e soprattutto inseriti in un ideale universo alternativo in cui la vita scorre serena e senza problemi, perché tutto è risolvibile grazie a questo o quel prodotto.
    Dice… ma è così dappertutto! Allora c’è qualcosa di molto sbagliato in questo nostro mondo. Del resto viviamo nell’epoca del trionfo della superficialità, dell’approsimazione e del culto dell’immagine, dove conquistare un minimo di visibilità, possibilmente urlando e facendo confusione, sembra sia diventata una irrinunciabile necessità. È così un po’ dovunque, in qualsiasi ambiente, in qualsiasi settore della vita di tutti i giorni e della società. E per questo, nonostante la globalità dell’informazione e il forte incremento di encomiabili iniziative sociali, l’individuo è sempre più egoista e insoddisfatto, dato che identifica il benessere interiore con quello materiale, e in questo modo finisce per dimenticare che è parte di un mondo meraviglioso, la cui armonia si dovrebbe basare sul rispetto reciproco e sul reciproco aiuto, e che dovrebbe comportare una vera uguaglianza sociale e una più equa redistribuzione delle risorse. Un mondo a cui ognuno di noi è chiamato a dare il suo contributo.

  2. GIANNI ha detto:

    L’uomo è probabilmente per natura contraddittorio.
    O volutamente, quando cerca di ingannare i suoi simili, dicendo cose in cui lui stesso è il primo a non credere, oppure in buona fede, quando dice cose in cui crede, ma che vengono poi smentite da fatti e circostanze.
    Partendo da questa premessa, tutto assume un aspetto di frequente infondatezza, almeno una parvenza di scarsa credibilità, e la crisi di oggi non appare solo economica, ma più generale, nel senso che mancano punti di riferimento costanti, spesso davvero non si sa più in chi o cosa credere.

Lascia un Commento

CAPTCHA
*