9 aprile 2023: PASQUA NELLA RISURREZIONE DEL SIGNORE
At 1,1-8a; 1Cor 15,3-10a; Gv 20,11-18
Quando si festeggia il Natale o, meglio, quando il 25 dicembre di ogni anno si celebra con riti solenni la Nascita di Gesù a Betlemme, anche per provocare un ricordo che col tempo e nel tempo si è assuefatto alle più fantasiose trovate si è tentati di allargare le simbologie, alcune delle quali sembrano azzardate se connesse col Mistero pasquale.
Ci sono infatti delle icone, tra l’altro molto belle, tipiche dell’arte bizantina e russa, su cui sono raffigurate, invece della solita culla dove è deposto il Neonato divino, una specie di sepolcro, con l’intento senz’altro nobile di provocare una novità strepitosa, ovvero che si tratta sempre dello stesso Mistero, per cui il Mistero della Incarnazione del Figlio di Dio e il Mistero pasquale sono strettamente collegati tra di loro. Solo dal punto di vista del “crònos”, ovvero del tempo che passa, possiamo parlare di un prima, il Natale, e di un poi, la Pasqua. Ma dal punto di vista del “kairòs”, il Mistero è unico.
Ma c’è di più. Sembra che sia l’aspetto pasquale a illuminare il senso del mistero natalizio, anche se già la parola “nascita” porta di per sé al Mistero pasquale, come quella nuova Nascita che si chiama Risurrezione. Se parliamo di Natale come Luce, intendendo il nascere come un venire alla luce, e se parliamo di Risurrezione come vita nuova, allora ci sembra chiaro che la Pasqua vita derivi dal Natale come Luce.
Ma il Mistero divino è tutto Luce e tutto Vita: già nella Nascita la luce si fa vita, e nella Pasqua la vita è avvolta nella luce. Per questo l’evangelista Giovanni avvolge la Croce o meglio il Crocifisso in un alone di luce.
Attenzione: tra le due parole “luce” e “vita” è la parola “vita” ad essere soggetta a qualche equivoco. Parliamo sì di nuova vita, ma in che senso? Forse da chiarire è anche quel contesto ebraico in cui la pasqua cristiana è inserita, e sembra essere rimasta, quando Cristo ha fatto della sua Pasqua una vera rivoluzione.
La stessa parola “pasqua” che in ebraico significa “passaggio” merita una particolare attenzione. E allora ecco la domanda: “passaggio” in che senso?
È innegabile pensare alla pasqua ebraica, che anche Gesù celebrava, e che in particolare ha celebrato quella sera poco prima della sua passione e morte, quando ha istituito l’Eucaristia, come innestata su qualcosa di vecchio, oramai da abbandonare.
Se per gli Ebrei il ricordo, soprattutto come annuale celebrazione liturgica durante il banchetto pasqua, del “passaggio” dalla schiavitù egiziana alla liberazione per comprendere un lungo cammino verso la terra promessa, era fondamentale, anche come stimolo perché non accedesse più che il popolo eletto diventasse di nuovo schiavo, per Gesù tutto assumerà un altro significato, oltre il ricordo di un fatto storico.
Come intendere allora “liberazione”? Liberazione da che cosa? In vista di che cosa? Basta parlare di schiavitù o di democrazia politica?
Come il Mistero natalizio non è tanto il ricordo dell’incarnazione del Figlio di Dio nel grembo verginale di Maria di Nazaret, quanto il prendere coscienza di quella Nascita e Ri-Nascita mistica di cui parlavano i grandi Mistici medievali usando l’espressione “Generazione del Logos eterno” nel nostro essere interiore, secondo l’invito di Angelus Silesius “ Mille volte nascesse Cristo a Betlemme ma non in te: sei perduto in eterno”, così il Mistero pasquale non è tanto un ricordo della Pasqua in quanto Cristo ha patito, morto ed è risorto, ma di quel Mistero di vita già oggi risurrezione. E tale Risurrezione richiede un cammino, un passaggio dal distacco alla liberazione.
Già quando pensiamo a un cammino o passaggio da uno stato di vita precedente a quello successivo pensiamo a qualcosa di nuovo che ci porta alla liberazione. Un cammino che esige Fede in quel Mistero che è sì luce, ma nel profondo del nostro essere.
Ho detto “ci porta alla liberazione”, ma a quale liberazione?
Celebrare eventi solo per ricordarne la loro storicità, è anche utile, ma diventa sterile se ci si ferma alla storicità dei fatti.
Ricordiamo la Pasqua non tanto nella storicità di un evento pur straordinario che ha cambiato la storia. La storicità non tocca mai il Mistero, e la Risurrezione è un Mistero che nessuno potrà mai descrivere. Gli evangelisti hanno tentato di narrare le apparizioni del Risorto, ma si sono persi in una frammentarietà anche contraddittoria, lasciando da questo già intuire che ci vorrà lo Spirito santo a togliere dalla mente confusa degli apostoli ogni ombra di nebbia, ma succederà che, con il passare del tempo, il Cristo risorto in balìa di una Chiesa istituzionale tornerà ad essere quel Gesù di Nazaret ancora alle prese con i miracoli e con i conflitti con le istituzioni religiose.
Dunque, liberazione da che cosa? Solo da un potere politico o di quel maligno che si diverte quasi a mettere gli uni contro gli altri, all’interno della stessa religione?
Mi sembra che l’unica o quasi preoccupazione della chiesa istituzionale sia stato e sia ancora quello di salvare stessa in quanto struttura. Forse non ha ancora capito che, se dimentica il cuore pulsante per le realtà dello Spirito per ogni essere umano, tradirà in continuazione il Mistero pasquale, che è sì passione e morte del Gesù di Nazaret, ma in vista di quella Risurrezione che è rimasta tanto aleatoria da mettere in dubbio, come direbbe ancora San Paolo, la fede stessa della Chiesa.
Non basta celebrare il giorno di Pasqua con riti solenni, se poi tutto rimane qualcosa di puramente esteriore o se si continua a fare del Cristianesimo un apparato religioso che pensa al Cristo storico solo nel suo aspetto taumaturgico.
Se, come dicevo all’inizio, il Mistero natalizio e il Mistero pasquale sono un unico Mistero, lo sono in quanto Mistero di rinascita interiore, ovvero per quella rinascita dell’essere umano che non è solo corpo o solo psiche, ma spirito a contatto con quel mondo divino da cui tutto origina e a cui tutto torna.
Forse non è questione di avere idee chiare sulla Risurrezione, ma forse è questione di credere o non credere, e quando si parla di credere non è questione di credenze religiose, ma di quella fede purissima, di cui parlava Cristo quando disse: “Ne basterebbe un pizzico per spostare le montagne”, o quando si amareggiava pensando al suo ritorno: “Il Figlio dell’Uomo troverà fede sulla terra?”.
Talora mi chiedo: se sarebbe già imperdonabile prendere male il Mistero della Incarnazione di Cristo, che dire se si prendesse male il Mistero pasquale? Intendo dire: pensare alla immane sofferenza di Cristo e alla sua morte atroce e poi tradirne il vero senso, non potremmo almeno sentirci in colpa? E se pensiamo all’infinita Grazia della Risurrezione non potremmo almeno fare un piccolo sforzo per cambiare rotta, se ci porta fuori strada, ovvero di quella strada che porta alla Sorgente della Luce e Vita del Risorto?
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