Spectaculum o solo spettacolo? Caro Scola, non ci siamo!

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di don Giorgio De Capitani
Premetto subito che ho visto tutto lo spettacolo, che si è svolto in piazza Duomo di Milano, giovedì sera. Sul canale Tv2000.
Mi sono solo emozionato, ma a tratti, ascoltando la testimonianza (per me troppo ripetitiva e prolissa) della signora Gemma Capra, vedova del commissario Luigi Calabresi, ucciso il 17 maggio 1972 da alcuni esponenti di Lotta continua. Non è mancato anche un po’ di comicità, ascoltando le parole dell’attore Giacomo Poretti. Anche il laico Giuliano Pisapia, l’imperturbabile Mario Delpini e lo stesso Angelo Scola ridevano!
Volevo scommettere e, se l’avessi fatto, avrei vinto: vedrai che batteranno le mani ad ogni intervento! Così è stato! Come a teatro. Anche fischi da stadio!
La serata è stata prettamente teatrale, tanto da riuscire a rompere quell’incanto di un Mistero, che solo Cristo ha toccato nell’intimo del suo essere umano-divino. Il Mistero del Crocifisso! Intendo non un pezzo di legno qualsiasi o un chiodo fasullo, ma Colui che è stato trafitto come un criminale e come un eretico dalla perversità di un potere politico (quello romano di allora) e religioso (quello ebraico di allora).
Giovedì sera, l’incanto del Crocifisso, nella gratuità di un Amore senza limiti, è stato profanato da una spettacolarità fuori posto!
Per tutto il tempo che è durato lo spettacolo, mai un minuto di silenzio! Una canzone dopo l’altra, una testimonianza dietro l’altra. Non c’era neppure il tempo di riflettere, e la bravura degli attori prendeva il sopravvento sulle parole, e tutto finiva in un battito di mani, quasi a dire: Quanto sei stato bravo, o quanto sei stata brava! E la Parola svaniva di colpo. Non parliamo della musica, anch’essa lontana dal Mistero umano-divino. L’Ave Maria di Schubert mi ha tolto ogni dubbio: Dio mio, anche la Madonna dall’alto della guglia del Duomo avrà sussultato di stizza!
Quante volte mi son chiesto: che cos’è la Croce, quella occupata dal Figlio di Dio? Per me è Silenzio e Contemplazione! Tutto il resto, è di troppo, qualcosa di ingombrante, di dissacrante, è noia, è ipocrisia.
Per mesi e mesi la Curia milanese ha strombazzato ai quattro venti della diocesi, e anche per farlo sapere a tutto il mondo – d’altronde, “il campo è il mondo”, o no? – la grande convocazione in Piazza Duomo per la Professione di fede (“professio” o “confessio”  fidei”), organizzata giovedì sera, 8 maggio.
Il cardinale Scola Angelo (non so se sia stato lui il vero ispiratore) ne parlava in tutti i suoi interventi. Oggi diremmo: pubblicizzava. Come un prodotto da lanciare, per essere consumato. Gratis, comunque. Ma i costi ci sono stati, e forse parecchi. Costi che indirettamente ricadranno sulle casse delle parrocchie, e quindi sui fedeli.
Titolo della manifestazione: “Venite a vedere questo spettacolo”. Naturalmente, ci siamo chiesti: quale spettacolo? E la domanda ha trovato subito una risposta nel sottotitolo: “musica, teatro, arte, letteratura, testimonianze, preghiera”. Dunque, un vero spettacolo teatrale, musicale e orante, con attori e cantanti. Con un particolare: lo spettacolo, così annunciava la locandina, si svolgerà “intorno alla Croce con la Reliquia del Santo Chiodo”.
Non mi soffermo sulla storia del Santo Chiodo del Signore. Chi volesse saperne di più, legga l’articolo qui
Anche i bambini sanno che le reliquie riguardanti nostro Signore sono da prendere con le dovute pinze. Farei un’eccezione per la Sacra Sindone, che meriterebbe un ben diverso discorso. Basterebbe pensare che in ogni parrocchia c’è la reliquia della croce su cui é morto Gesù Cristo. Mettendo insieme i pezzetti di legno di tutte le parrocchie del mondo, forse avremmo decine e decine di croci!
Che nel passato il popolo di Dio, pungolato da santi vescovi, credesse nelle reliquie non ne farei un grande problema. Il problema casomai consiste nel far credere alla gente di oggi che la fede evangelica necessiti di oggetti che si fanno risalire alla vicenda terrena di Cristo. Che la devozione popolare continui a credere in cose di questo genere, passi pure, anche se i preti dovrebbero già iniziare a condurre il popolo sulla strada di una maggiore maturità di fede, ma che noi preti di nuovo favoriamo un simile culto pubblico (che nel passato ha rasentato l’idolatria), è veramente vergognoso. Non dico di distruggere le reliquie, dico solo che andrebbero lasciate solo come ricordo storico.
Quando ho letto nella locandina che lo “spettacolo” proposto dalla Curia milanese in Piazza Duomo avveniva “intorno alla Croce con la Reliquia del Santo Chiodo” mi sono messo le mani tra i capelli. Come si può conciliare la professione di una fede matura con il culto del Santo Chiodo? Mi risponderanno: “Sciocco che sei! Il Chiodo è solo un simbolo della passione di Cristo!”. Se è così, perché non lo dite apertamente alla gente? In ogni caso, il simbolo deve sempre restare solo un simbolo, e non un oggetto di culto.
Inoltre, dal depliant esplicativo stampato dalla Curia milanese, leggo:
«Scrive San Luca narrando la passione di Cristo (Lc 23,48): «Tutta la folla che era venuta a vedere questo spettacolo, ripensando a quanto era accaduto, se ne tornava battendosi il petto». Tutta la folla che era venuta «a questo spettacolo»: lo spettacolo della Croce.
Il significato della parola greca ϑεωρία (spettacolo) non si riferisce tanto a una immagine fissa, ma piuttosto a una azione che coinvolge coloro che l’hanno vista e che infatti se ne tornavano «battendosi il petto».
Anche noi dobbiamo assumere – in un modo intimamente personale e pertanto comunitario – questa disposizione del cuore e riconoscere che Gesù ha dato la vita per liberarci dal peccato e dalla morte, dal mio peccato, dalla mia morte.
Non dobbiamo prendere questa parola «spettacolo» nel senso solito, ovvio, abituale, come se si trattasse di qualcosa che si deve solo guardare dall’esterno, ma assumere la posizione di chi si lascia coinvolgere fin nel profondo perché emerga il grido di verità e di giustizia.
Dobbiamo rivolgerci al Crocifisso di persona. È lui il protagonista, è il suo sguardo, è la sua presenza che abbraccia tutte le nostre miserie, le nostre piccolezze, le nostre fatiche, i nostri dolori, le nostre contraddizioni, i nostri peccati con questi occhi pieni di misericordia.
Ci rivolgeremo insieme al Crocifisso incontrandoci in piazza Duomo giovedì 8 maggio alle 21 per la Professio fidei che coinvolgerà tutta la comunità diocesana mediante una proposta di “spettacolo” e di preghiera.
Mettendoci insieme davanti alla Croce di San Carlo Borromeo e alla Reliquia del Santo Chiodo ci lasceremo raggiungere dallo sguardo di Cristo che coinvolge tutto della nostra persona. Tutto: di bene e di male, perché ci si possa realmente smuovere fin dal profondo delle viscere da questa misericordia crocifissa.
Una convocazione diocesana, quella dell’8 maggio, che ci deve vedere tutti coinvolti e protagonisti in piazza Duomo: per diventare anche noi “spettacolo” per la fede dei nostri fratelli».
Potrei stare qui delle ore per trovare il vero senso contenuto nella parola latina “spectaculum”, che traduce il greco ϑεωρία. Tradurla in italiano “spettacolo” crea già degli equivoci. Sarebbe stato meglio lasciarla in latino, anche sul manifesto! Ma lo “spectaculum” avrebbe richiesto una serata diversa!
Dunque, il termine greco, usato dall’evangelista Luca, è ϑεωρία, che significa osservazione, lo stare osservando, contemplazione. Certo, come dicono gli studiosi, ϑεωρία non indica un’immagine ferma, ma un dramma in svolgimento, uno spettacolo che occorre vedere e rivedere, penetrare, scrutare, ripensare. Senza frastuono di canti, di danze, di musiche, di parole inutili, ridondanti, vuote. La gente sotto la croce, o scherniva quel condannato, o osservava in silenzio, ed è tornata a casa “battendosi il petto”, non le mani!
Dunque, il Crocifisso esige Silenzio e Contemplazione,
quella mistica, che non è qualcosa di passivo.
Il Silenzio della nudità di un corpo,
trafitto dall’Amore stesso del Padre! 
Parole, parole, parole…
Cristo è la Parola da ascoltare, nel profondo dell’anima!
Noi, mortali fino all’estremo,
emettiamo suoni e suoni, senza Ascoltare!
Troviamo mille occasioni, anche una celebrazione liturgica,
per far parlare i nostri vuoti interiori,
dove l’io ha svuotato il Divino vivente.

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Chi volesse approfondire i miei pensieri, può leggere
qui e qui

4 Commenti

  1. Giuseppe ha detto:

    Mi chiedo come mai un chiesa che è tanto prudente nello stabilire chi può essere proclamato santo, istruendo addirittura dei processi per accertarsene, possa poi venerare (o permettere che vengano venerate) delle reliquie. A prescindere dal loro numero, già di per sé alquanto sospetto, che comunque la dice lunga sulla loro autenticità, mi chiedo come sia possibile che delle cose, o anche solo loro frammenti, possano essere oggetto di culto. Non si tratta di una forma di superstizione? Non è una conferma che l’essere umano, senza distinzione di fede o di culto professato, abbia sempre il bisogno di ricorrere a un amuleto, un simulacro, un immagine per sentirsi rassicurato? Del resto se così non fosse come si potrebbe spiegare il fiorire di leggende e tradizioni popolari che col beneplacito della chiesa ha consentito, nel corso della storia, ogni sorta di truffa e di abusi che hanno portato allo scandalo del commercio delle indulgenze, e a maggior ragione di quello delle reliquie, certamente più facili da contraffare.
    Senza arrivare al’integralismo ebraico che proibisce non solo di raffigurare Dio, ma addirittura di nominarlo, non sarebbe molto più opportuno che alle reliquie non venisse attribuita l’importanza che gli viene data, che sfiora l’idolatria? Posso anche capire la debolezza umana che vuole essere rassicurata in quello in cui crede e che anche persone di grande rilievo come Carlo Borromeo possano avere avuto una particolare predilezione per ciò che in buona fede riteneva una reliquia, ma sono convinto che non gli attribuisse quei poteri sacri a cui buona parte dei cristiani sembrano voler dare credito.
    Per quanto riguarda la manifestazione dell’8 maggio, concordo pienamente sulla tua valutazione, ma vorrei aggiungere che, stando alla mia esperienza, mi capita spesso, partecipando a dei riti sacri, di avere l’impressione di assistere a delle messe in scena o una qualsiasi altra forma di spettacolo. Sarà che mi piacciono le cose semplici e ho sempre ritenuto una ostentazione di ricchezza inutile (se non addirittura dannosa) l’esposizione solenne di preziosi articoli sacri e paramenti di grande pregio. E francamente trovo alquanto fuori posto gli applausi, che ormai sono quasi divenuti una regola, specialmente nei funerali e nei matrimoni. Con tutto il rispetto per gli sposi e i defunti, mi sembra che ci siano altre occasioni e luoghi più idonei per manifestare l’apprezzamento e la stima nei loro confronti.

  2. GIANNI ha detto:

    Un paio di riflessioni.
    Teologicamente, ho sempre pensato che la dimensione metafisica sia talmente totalmente altra, rispetto a quella umana, che secondo me è del tutto indifferente per la medesima la forma della rappresentazione divina durante qualsivoglia manifestazione.
    La diversità è per noi, ma la manifestazione umana è anche culturalmente condizionata e diviene spesso occasione per “cose” varie.
    Ad esempio la musica d’organo.
    Dio e Satana rimangono metafisicamente identici a loro stessi, a prescindere dalla loro contingente rappresentazione e da qualsiasi espressione antropologica.
    Quanto all’uomo, come dicevo,secondo me la dimensione metafisica è talmente aliena, altra rispetto a noi, che l’unica vera dimensione rappresentabile è una dimensione non rappresentabile.
    Qualsiasi espressione è errata, essendo possibile solo una teologia realmente afasica e non rappresentativa.
    Tant’è, arrendiamoci agli evidenti limiti umani,e chiediamo scusa a DIo per volerlo rappresentare.
    DIo non se la prenderà,e coglierà forse in noi un tentativo di rendergli il dovuto onore, pur con tutti i nostri limiti e la nostra pochezza.

  3. don ha detto:

    Apprezzo molto la riflessione del confratello don Giorgio sul termine greco che richiama il verbo “theorein”. Uno dei verbi cari anche al Vangelo secondo Giovanni. E’ lo sguardo non superficiale ma coinvolgente che include la riflessione della mente e l’ardore del cuore, nonché la decisione per un nuovo orientamento di vita. Quindi uno sguardo che apre realmente alla conversione, e non si esaurisce in un sentimento superficiale. C’è molto da riflettere su questo, quando si organizzano eventi molto partecipati.

  4. GIOVANNI DI NINO ha detto:

    Sarebbe stato uno “spectaculum” magnifico se inquadrato nella Via Crucis, ma questo avrebbe stravolto la spettacolarità teatrale programmata a beneficio degli spettatori…

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