Salvare l’Amazzonia, al vertice in Brasile salta l’obiettivo 2030
da 24plus.ilsole24ore.com
Salvare l’Amazzonia,
al vertice in Brasile salta l’obiettivo 2030
Un’alleanza tra otto Stati contro la deforestazione. Fallisce il tentativo di Lula di fissare un target per fermarla
di Gianluca Di Donfrancesco
Un summit regionale con gli occhi del mondo addosso e un’ambizione enorme: salvare l’Amazzonia. Il risultato non è però all’altezza delle aspettative fissate dal suo stesso promotore, il presidente brasiliano Luiz Inacio Lula. Dal vertice dell’8-9 agosto nasce un’alleanza tra le nazioni nelle quali si estende il più grande polmone verde del mondo, ma fallisce il tentativo di fissare al 2030 la fine della deforestazione. Obiettivo inseguito da Lula, che lo ha adottato per il Brasile, senza riuscire a convincere i Paesi partner a seguirlo su questa strada.
Il vertice
Quello tra Bolivia, Brasile, Colombia, Ecuador, Guyana, Perù, Suriname e Venezuela è stato il primo vertice dal 2009 tra le otto nazioni che compongono l’Organizzazione del trattato di cooperazione amazzonica. A tirare le fila è il padrone di casa, il presidente brasiliano, che vuole riportare il suo Paese al centro della diplomazia internazionale sul clima, dopo i disastri del predecessore, Jair Bolsonaro.
Tra gli invitati ci sono anche i leader di Paesi che ospitano le altre foreste pluviali del pianeta, come Indonesia, Congo e Repubblica del Congo. Ci sono anche Norvegia e Germania, che hanno finanziato progetti per la conservazione dell’Amazzonia, e la Francia, che controlla il territorio amazzonico della Guyana francese. La città scelta per ospitare il summit è Belem, capitale dello Stato amazzonico di Para, che sarà anche sede della Cop30, la conferenza mondiale sul cambiamento climatico del 2025. E che è stata invasa da oltre 20mila attivisti indigeni, in rappresentanza delle popolazioni in prima linea.
I risultati
Per la delusione di Lula, che ha spinto fino alla fine per l’obiettivo di impegnarsi a fermare la deforestazione entro il 2030, la dichiarazione congiunta rilasciata l’8 agosto a Belem non va oltre la creazione di un’alleanza (un’altra) per combattere la distruzione delle foreste, lasciando ai Paesi la possibilità di perseguire i propri obiettivi individuali. Lula e altri leader hanno lasciato il vertice senza commentare la dichiarazione.
Bolivia e Venezuela sono gli unici Paesi amazzonici a non aver firmato un accordo tra più di 100 Stati che già nel 2021 impegnava a fermare la deforestazione entro il 2030. E del resto, in Bolivia la distruzione delle foreste è in aumento a causa degli incendi e della rapida espansione dell’agricoltura.
Il vertice non è riuscito a fissare nemmeno una scadenza per porre fine all’estrazione illegale dell’oro, anche se i leader hanno concordato di cooperare sulla questione e di combattere i crimini ambientali transnazionali.
L’incapacità di concordare un patto davvero ambizioso per proteggere l’Amazzonia fa da eco alle difficoltà più ampie, a livello globale, a raggiungere e mantenere accordi efficaci per combattere il cambiamento climatico.
«Il pianeta si sta sciogliendo, ogni giorno battiamo record di temperatura. Non è possibile che, in uno scenario come questo, otto Paesi amazzonici non riescano a dichiarare a grandi lettere che la deforestazione deve essere azzerata», ha dichiarato Marcio Astrini della lobby ambientalista Climate Observatory.
Nella Dichiarazione di Belem si affermano però con forza i diritti e la tutela delle popolazioni indigene. Si concorda inoltre di cooperare sulla gestione dell’acqua, sulla salute, sulle posizioni negoziali comuni ai vertici sul clima e sullo sviluppo sostenibile. Viene anche istituito un organismo scientifico che si riunirà annualmente e produrrà rapporti autorevoli sulla scienza relativa alla foresta amazzonica.
Polmone verde a rischio
La foresta amazzonica è il principale polmone verde della Terra: con il suo potere di assorbire anidride carbonica e rilasciare ossigeno, è in grado di influenzare il clima del pianeta. Anni di sciagurato sfruttamento hanno portato alcune sue regioni sull’orlo del punto di non ritorno, oltrepassato il quale rischiano di perdere la capacità di autorigenerarsi.
L’allarme è stato lanciato infinite volte. L’attenzione si è concentrata soprattutto sul Brasile, che da solo ospita oltre il 60% dell’Amazzonia. Sul Governo Bolsonaro sono piovute aspre critiche per l’accelerazione senza precedenti della deforestazione. Tra i più duri, il francese Emmanuel Macron, entrato direttamente in polemica con l’ex presidente brasiliano.
La questione è anche uno dei principali ostacoli nei negoziati commerciali tra Unione europea e Mercosur, con Bruxelles che chiede garanzie contro lo sfruttamento di questa risorsa unica per il pianeta. L’Unione Europea ha recentemente approvato una normativa che vieta alle aziende di importare carne di manzo, soia, cacao e altri prodotti legati alla deforestazione. Per i Paesi della regione, però, si tratterebbe solo di barriere protezionistiche.
La deforestazione frena
Che qualcosa in Brasile stia cambiando lo dicono i dati ufficiali. Lula si è insediato il 1° gennaio del 2023 e ha subito promesso di azzerarne la deforestazione “netta” entro il 2030, invitando i Paesi della regione a seguirlo. Nei primi sette mesi dell’anno, la deforestazione amazzonica in Brasile è crollata del 42% rispetto allo stesso periodo del 2022. Nel solo mese di luglio, il calo è stato del 66%.
Blocco regionale
L’obiettivo di Lula è anche costruire una colazione regionale in grado di fare pressione sui Paesi avanzati per ottenere aiuti. In Brasile, come in Colombia o Venezuela, per porre fine a deforestazione illegale e sfruttamento (per far posto a miniere, coltivazioni e allevamenti intensivi), i Governi devono poter offrire opportunità economiche alternative. «Serve una nuova visione dello sviluppo sostenibile, che combini la protezione dell’ambiente con la creazione di posti di lavoro», ha detto Lula.
Riuscire a definire linee comuni per i Paesi amazzonici non è però cosa da poco: non è facile costruire consenso in una regione dipendente dalle materie prime, dove circa un terzo della popolazione vive in povertà e lo sviluppo rimane la preoccupazione principale.
I leader sudamericani hanno poi approcci diversi alle questioni ambientali. Il presidente della Colombia, Gustavo Petro, punta a vietare le nuove esplorazioni petrolifere, ma la sua posizione al vertice di Belem ha incontrato forti resistenze. Lo stesso Lula cerca una via di mezzo: la società di Stato Petrobras vuole incrementare la produzione di petrolio e gas naturale.
Un’area di consenso è la lotta alla criminalità nell’Amazzonia. Un rapporto Onu pubblicato a giugno ha indicato che parti significative della foresta sono «devastate da un complesso ecosistema di crimini legati alla droga», con i proventi di sofisticate operazioni di traffico che confluiscono nel disboscamento illegale, nell’allevamento e nell’estrazione dell’oro. Lula ha già annunciato che il Brasile creerà un centro di cooperazione internazionale di polizia a Manaus, la più grande città dell’Amazzonia.
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