Omelie 2022 di don Giorgio: SESTA DOPO IL MARTIRIO DI S. GIOVANNI IL PRECURSORE

9 ottobre 2022: SESTA DOPO IL MARTIRIO DI S. GIOVANNI IL PRECURSORE
1Re 17,6-16; Eb 13,1-8; Mt 10,40-42
I tre brani della Messa sembrano voler di nuovo richiamarci alcuni valori diciamo di relazioni umane e sociali, ma che vanno ben oltre, se vogliamo fare di queste relazioni delle virtù come emanazioni del Bene Sommo, che è Dio.
Mai dimenticare che tutto proviene da Dio, e che a Lui tutto torna, nel circolo infinito del Divino. Essere e sentirci in questo circolo divino, in cui tutto parte da un punto e tutto torna a quel punto, è vivere nella nostra realtà interiore, e qui non è questione religiosa, ma di spiritualità, da intendere come vita che si realizza tenendo conto che siamo fatti di tre componenti: spirito, anima o psiche e corpo, dando il primato allo spirito.
Nei tre brani della Messa troviamo due parole caratteristiche: ospitalità e accoglienza. Sull’accoglienza si sofferma il terzo brano, e dell’accoglienza abbiamo già parlato domenica scorsa.
Dell’ospitalità parla anche l’autore della Lettera agli Ebrei: “Non dimenticate l’ospitalità; alcuni, praticandola, senza saperlo hanno accolto degli angeli”.
Ma è nel primo brano che l’autore sacro presenta un caso di ospitalità degno di considerazione, tanto più che l’autrice del gesto è una donna vedova di Sarepta di Sidone, perciò pagana, che dà cibo e alloggio al profeta Elia in fuga dalle minacce del re e della regina.
Elia è stato un uomo di Dio del tutto singolare, che non cessa mai di affascinarci. Tutto d’un pezzo, fedele a Dio e alla sua alleanza tanto da essere quasi abbandonato da Dio stesso.
Elia è il grande profeta che si è scontrato con il potere di allora, incarnato nel re Acab e nella regina Gezabele, proveniente dalla Fenicia e missionaria decisa del culto della sua terra. Il profeta annuncia una prolungata siccità per la punizione che viene data al re, che si era venduto al culto idolatrico promosso dalla moglie pagana.
C’era il forte rischio che l’esempio del re condizionasse e influenzasse il popolo che perciò abbandonava la fede di Israele nell’unico Dio per seguire gli dèi della Fenicia.
Durante il flagello della siccità, per un primo momento il profeta si nasconde presso il torrente Cherit e i corvi gli portano pane e carne: in modo straordinario, mattino e sera. Ci si rifà all’alimentazione del popolo d’Israele nel deserto, nel tempo della liberazione, ricordata nel libro dell’Esodo (16,8.12).
Mi commuovo sempre al pensiero che, quando la cattiveria umana vorrebbe far tacere la voce dei profeti di Dio, la natura intervenga a ridare speranza ai giusti: c’è sempre un torrente con acqua dissetante per la vita eterna, e c’è sempre un animale pronto a dare loro cibo.
Forse troppo sbrigativamente parliamo di episodi edificanti, inventati dalla fantasia popolare: in realtà, il creato animato e inanimato non abbandona i profeti di Dio.
E c’è anche da dire che gli aiuti umani sono sempre interessati, hanno cioè un doppio fine, talora condizionano la libertà di chi ha bisogno, mentre la natura ha sempre il volto della gratuità.
Ed ecco il colpo di scena, che introduce il semplice ma grande gesto di una donna pagana. Quando il torrente si secca per la siccità che si prolunga nel tempo, Elia si dirige verso Zarepta, un paese vicino a Sidone, a 15 km, sulla costa fenicia. Il Signore suggerisce di rivolgersi ad una vedova. Effettivamente il profeta incontra una povera donna e ad essa chiede acqua e cibo, garantendo che il Signore avrebbe provveduto per tutto il periodo della siccità.
Elia si è spostato in una zona pagana, la terra di origine della regina Gezabele. Se da questa può venire la sua rovina, attraverso un’altra donna, questa volta vedova e povera, viene la sopravvivenza.
Dio gioca di fronte ai tiranni, aiutando i poveri che sanno provvedere a coloro che libereranno il suo popolo. Nel salmo 146,9 si dice: “Il Signore protegge lo straniero, egli sostiene l’orfano e la vedova, ma sconvolge le vie degli empi”.
Gesù richiama quest’episodio per rimproverare al suo popolo il rifiuto che viene opposto ai profeti e alla Parola di Dio (Luca 4,25-26). E mentre disapprova l’incomprensione di Israele, garantisce che i benefici messianici saranno riservati ai pagani che accoglieranno il messaggio, riservato a tutti gli uomini e donne.
Vorrei fare qualche riflessione proprio sulla ospitalità, intesa come apertura al nuovo, che è sempre imprevedibile.
Ospitalità come apertura, che va al di là di un gesto momentaneo. Talora mi chiedo se oggi, in una società che vive in fondo di paure, di egoismi, di grettezze ideologiche, di razzismi più o meno inconsci, di allarmismi ossessivi, non sia proprio questa chiusura quel virus che contamina ogni rapporto umano e sociale, ma soprattutto se la mancanza di ospitalità non sia quel precludere ai profeti e ai geni di farsi valere in quanto profeti e in quanto geni.
Vorrei chiarire. Un tempo c’erano grandi mecenati che permettevano ai geni di realizzare le loro opere, e c’erano ricchi, anche tra le donne di un certo rango, che sostenevano con i loro beni materiali monasteri, anche il sostentamento degli uomini o delle donne di Dio. Basta leggere la storia di quei tempi. Oggi, a parte rare eccezioni, c’è una tale mentalità gretta per cui non si vede né il Bene né il Bello, solo l’utile.
Sì, c’è ancora una lodevole solidarietà per opere assistenziali o nel caso di emergenze, ma manca quello scambio di beni per cui chi può, chi dispone di ricchezze metta in circolo i suoi beni per permettere agli artisti, ai mistici, ai profeti, ai giusti di mettere a loro volta in comune i loro beni spirituali.
Quella vedova povera di Sarepta ha dato non solo il cibo al profeta Elia, anche una camera della sua casa per soggiornare il tempo stabilito da Dio. La figura di questa donna mi ha sempre affascinato per il suo nobile gesto di ospitalità e di accoglienza. Forse i piccoli gesti di generosità li facciamo ancora, ma in modo del tutto momentaneo: manca quella apertura alla Sorpresa. “Senza saperlo possiamo ospitare i santi” o, meglio, possiamo permettere ai giusti, ai nobili, ai profeti, agli artisti di testimoniare il Divino.
Una volta chi rubava o commetteva dei delitti per penitenza erano costretti a costruire cattedrali o ospedali. Non è che oggi i ladri e i farabutti siano scomparsi. Anzi. A maggior ragione ci dovrebbe essere una gara nel dare ai santi ogni possibilità di realizzare il Disegno di Dio.

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