Bolsonaro l’italiano, il «Salvini carioca» amato da Meloni ma anche da Conte

Twitter, Repubblica

Bolsonaro l’italiano,

il «Salvini carioca» amato da Meloni

ma anche da Conte

di ALESSANDRO TROCINO
Nel 2018, Luca Zaia lo soprannominava il «Salvini carioca», non si capisce se per lodare il leader leghista o il presidente brasiliano. Lo stesso anno Matteo Salvini definiva Jair Bolsonaro, «un grande presidente» e lo accostava ai suoi leader preferiti Vladimir Putin e Donald Trump. Giorgia Meloni, il 14 dicembre del 2018, scriveva che «con Bolsonaro in Brasile si apre finalmente una falla nella rete dell’internazionale radical chic che per decenni ha protetto il terrorista rosso Cesare Battisti». Due mesi prima aveva salutato la vittoria di Bolsonaro: «La destra vince anche in Brasile, la sinistra sconfitta in tutto il pianeta e dalla storia. Finalmente i popoli si stanno riprendendo la loro libertà e la loro sovranità».
La destra italiana, insomma, stima e apprezza da sempre Bolsonaro, che in queste ore viene considerato l’ispiratore delle proteste violente che hanno portato all’occupazione dei palazzi del governo, del Congresso e della Corte Suprema. Lui nega di essere il mandante, ma nei mesi scorsi aveva più volte messo in dubbio la regolarità delle elezioni e non aveva smentito i sospetti di un possibile golpe, a seguito dell’elezione di Lula. Come Trump, ha sobillato i suoi elettori, e osservato con compiacimento la devastazione dei palazzi del potere.
Ci si potrebbe chiedere cosa hanno in comune la destra italiana e queste destre estreme, considerando che le nostre sono pienamente democratiche, rispettose delle regole e lontane anni luce da tentazioni golpiste. I tre leader preferiti di Salvini hanno scatenato una guerra (contro l’Ucraina) e promosso, direttamente o indirettamente, due tentativi di colpi di Stato. Si potrebbe dire che i punti di contatto sono altri: il sovranismo, una visione decisa se non muscolare della politica nel segno di legge e ordine, il rispetto delle tradizioni, il conservatorismo etico. Non certo il golpismo, che non è una caratteristica italiane. Insomma, ci sono punti di contatto legittimi e solidarietà internazionali, compresa quella con Viktor Orbán. I fatti di ieri cambiano, o dovrebbero cambiare, le carte in tavola e il giudizio dei leader della destra italiana. Ma è davvero così?
La prima reazione governativa italiana è stata di Antonio Tajani, ministro degli Esteri: «Ogni atto di violenza contro le istituzioni democratiche deve essere condannato con grande fermezza. I risultati elettorali vanno sempre e comunque rispettati ». La premier Meloni ha prima ritwittato Tajani poi, a mezzanotte, a diverse ore dai fatti, ha pubblicato un suo tweet: «Quanto accade in Brasile non può lasciarci indifferenti. Le immagini dell’irruzione nelle sedi istituzionali sono inaccettabili e incompatibili con qualsiasi forma di dissenso democratico. È urgente un ritorno alla normalità ed esprimiamo solidarietà alle Istituzioni brasiliane». In molti hanno fatto notare che in nessuno di questi tweet viene mai citato Bolsonaro né tantomeno si esprime solidarietà al presidente regolarmente eletto Lula. Le violenze della destra pro Bolsonaro sono «ogni atto di violenza» e la solidarietà è genericamente alle «Istituzioni».
E Salvini? Sui social regna un silenzio eloquente, se paragonato alle mille dichiarazioni di appoggio che si sono susseguite negli anni. Un anno fa il leader leghista abbracciò Bolsonaro in visita a Pistoia e quando l’ex presidente brasiliano fu contestato, Salvini si scusò a nome degli italiani. I suoi account ora riportano il solito attacco a Roberto Saviano, in evidenza, una grande foto con Salvini «travestito» da operaio, con tanto di caschetto di sicurezza, in sopralluogo al cantiere Corda Molle a Travagliato (Brescia). E poi post sugli scontri tra tifosi e sugli incidenti stradali, che seguono a quelli dove chiedeva «pene esemplari» per gli ambientalisti che avevano imbrattato i muri del Senato. E il Brasile? Niente. Tanto che Repubblica ci fa un pezzo, per segnalare il silenzio di Salvini.
Che non è un silenzio totale. Già, perché alle 22.49 di ieri sera, battendo Meloni di un’oretta abbondante, arriva una nota di una riga e mezzo, che dice: «Condanniamo ogni tipo di violenza, in Brasile come ovunque. Il libero voto dei cittadini si rispetta, sempre». Nota firmata «La Lega» e non Salvini, anche se viene veicolata dai portavoce di Salvini. E infatti la nota finisce così, anonima, alle agenzie, per entrare nei pastoni dei giornali. Mossa furba, visto che i 5 milioni di follower di Facebook, l’1,4 di Twitter e i 2,2 di Instagram di Salvini non potranno leggere alcun commento del leader leghista sulla questione Brasile.
Intanto l’ex presidente sembra aver ripreso i contatti con l’Italia. Che il 1 gennaio è stato l’unico grande Paese europeo a non inviare nessun rappresentante del governo al giuramento di Lula. I figli di Bolsonaro Flavio ed Eduardo, anche loro con problemi giudiziari, hanno chiesto la cittadinanza italiana. Jair ha già ottenuto la cittadinanza onoraria del Comune di Anguillara Veneta il 25 ottobre del 2021 e, secondo un reportage del magazine brasiliano Istoé, starebbe premendo sul governo italiano per ottenere la cittadinanza nella «patria del suo antenato Vittorio Bolzonaro, emigrato in Brasile a fine Ottocento». Secondo l’Istituto brasiliano di Geografia e Statistica, 365.710 immigrati arrivarono in Brasile dal Veneto tra il 1876 e il 1920. La speranza è che, in caso di condanna e di arresto, l’Italia non conceda l’estradizione. Anche perché, spera Bolsonaro, a Roma c’è un governo amico.
Ai tempi del governo gialloverde, ci fu un altro politico, non ancora aspirante leader della sinistra, che si fece fotografare sorridente vicino a Bolsonaro: Giuseppe Conte. Il leader dei 5 Stelle scrisse: «Un piacere incontrare qui a Davos Jaìr Bolsonaro che ho ringraziato ancora per la collaborazione sul caso Battisti. Diversi i temi trattati e molte le convergenze tra i nostri due paesi, in particolare sul fronte economico e giudiziario. Até breve Presidente!». Non esattamente un atto dovuto, ma «un piacere», viste «le convergenze», un augurio a rivedersi presto in affettuoso portoghese: até breve. Una dichiarazione entusiasta di vicinanza politica, sia pure occasionale.
Perché, ci si potrebbe chiedere, tanta timidezza da parte della destra italiana nella condanna di Bolsonaro e nella solidarietà a Lula? Perché il presidente brasiliano è di sinistra? Ma qui è in gioco la democrazia e non a caso la reazione dei leader internazionali di destra e moderati è stata molto più decisa. Il premier conservatore britannico Rishi Sunak non ha ambiguità: «Lula e il Brasile hanno il nostro pieno supporto». Il presidente argentino, il peronista Alberto Fernandez, condanna «il tentativo di colpo di Stato». Emmanuel Macron è ancora più deciso:«Il presidente Lula può contare sul sostegno incrollabile della Francia».
Il paradosso di questa vicinanza politica dell’Italia è la distanza economica, l’incapacità di fare affari, di stringere accordi. La Repubblica Popolare cinese è di gran lunga il primo partner commerciale del Brasile e da tempo ha superato gli Stati Uniti.
E L’Italia?Ecco cosa scriveva Federico Rampini poche settimane fa: «L’Italia ha una presenza ragguardevole: due aziende come Enel e Tim sono protagoniste. Una megalopoli come San Paolo riceve la sua energia elettrica dalla rete di distribuzione Enel. L’azienda italiana è impegnata soprattutto nelle energie rinnovabili. La Tim è uno degli attori dominanti nelle telecom. Un’alta percentuale della popolazione brasiliana ha origini italiane (32 milioni su 217), e hanno il doppio passaporto 715.000 italo-brasiliani. Eppure i governanti italiani, e anche i nostri presidenti della Repubblica, visitano raramente questo paese. L’Unione europea non pesa abbastanza in Brasile anche perché l’Italia non investe un’attenzione sufficiente ai legami con questo paese. Anche noi, in un certo senso, facciamo la nostra parte per «abbandonarlo ai cinesi».

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