Camicie nere, Ss, echi di un vecchio clima: 15 mesi di provocazioni

I figuranti comparsi in divisa da Ss nazista a Spilimbergo a dicembre – .
da AVVENIRE
9 gennaio 2024
Il passato scomodo.

Camicie nere, Ss, echi di un vecchio clima:

15 mesi di provocazioni

Diego Motta
Gli applausi di scherno alla condanna di Fiore, i figuranti di Spilimbergo: in quindici mesi di governo Meloni ci sono state tante, troppe occasioni perse per dare un segnale
Da Pennabilli a Spilimbergo, dall’elogio della camicia nera alle divise delle Ss indossate da presunti figuranti in una sala cinematografica. Il saluto romano di Acca Larentia è solo l’ultimo episodio di una carrellata che è meglio dimenticare. Non è una riabilitazione o l’ultimo sdoganamento dell’epoca fascista, ma certo fa impressione rivedere questa nostalgia postuma, troppo poco stigmatizzata anche da chi quel mondo lo ha conosciuto da vicino.
In quindici mesi di governo Meloni ci sono state tante, troppe occasioni perse per dare un segnale. Dicembre, ad esempio, è stato un mese emblematico: arriva la sentenza sull’assalto alla sede della Cgil che condanna Roberto Fiore e Giuliano Castellino e viene accolta da applausi di scherno e braccia tese. L’Anpi interviene parlando di «reati gravissimi, perseguibili d’ufficio non soltanto per le ostentazioni apologetiche, ma anche per il luogo dove esse sono state poste in essere». Il risultato? Nulla di fatto. Pochi giorni prima, nel Comune friulano di Spilimbergo, una decina di persone, in abbigliamento da Terzo Reich, entra al cinema teatro Miotto. Si tratta di una rievocazione storica, con quattro figuranti vestiti da militari nazisti, presenti in pubblico durante la proiezione del film “Comandante”: al termine dell’iniziativa, tutti (tra di loro c’è anche un minorenne) sono identificati dalla Digos, che invierà una segnalazione all’autorità giudiziaria. «L’intento era di dare pathos al film» spiegano a mo’ di giustifica da un’associazione locale, dicendo che era prevista anche la presenza di persone con divise degli Alleati e un partigiano, che però non hanno potuto partecipare. Cultura e mondo dello spettacolo restano tra i mondi più permeabili al revisionismo in salsa post-fascista, basti pensare all’intemerata di Enrico Montesano che, nell’autunno 2022, balla indossando la maglietta della “X Mas” con il fascio littorio stampato sul petto. Ma qui siamo nel mondo dello spettacolo. O forse, dell’avanspettacolo.
A dir la verità, che il clima potesse cambiare lo si era già avvertito agli esordi di questa legislatura. «Sono nato con la camicia nera e morirò con la camicia nera», scrisse il sindaco di Pennabilli, un paesino sull’Appennino romagnolo, due settimane dopo le elezioni del settembre 2022, mentre il segretario della Lega di Bologna si faceva fare un tatuaggio sul braccio, con simboli cari all’estrema destra. Per non parlare delle commemorazioni, con il rischio di scivolate continue anche a livello istituzionale. I gruppi di estrema destra si fanno notare alle celebrazioni del 25 aprile, rispondendo a provocazioni dell’estrema sinistra. Scritte capovolte da parte degli ultrà dei centri sociali che ricordano piazzale Loreto, a cui dall’altra parte si replica con slogan che parlano di «sangue versato per non tradire». Il linguaggio duro resta una costante tutta da decifrare. Così, proprio nei giorni di Acca Larentia, CasaPound celebra il consiglio nazionale per «definire le basi dell’azione politica e culturale». È stata l’occasione, ha spiegato domenica una nota ufficiale, «non solo per fare un bilancio dei primi 20 anni del movimento, ma soprattutto per confrontarsi su posizioni politiche e culturali, con l’obiettivo di rinnovare la spinta rivoluzionaria». Non sono distanti le parole con cui Francesco Todde, presidente di Gioventù nazionale Roma, ha spiegato i fatti contestati. «Cercavate lo scandalo del saluto romano, o qualche rito strano per puntare il dito – aggiunge -. Avete trovato, però, una schiera di giovani che ogni anno si ritrova per rinnovare il proprio giuramento nei confronti di chi questa patria l’ha veramente amata».
C’è senza dubbio il desiderio di tornare protagonisti, che si scorge tra le righe, ma gesti, parole e opere di tanti militanti sembrano aver dimenticato pezzi di storia, così come quell’«incompatibilità con le nostalgie del fascismo» sottolineata dalla stessa premier Meloni nell’ultimo anniversario della Liberazione.
Ecco perché, forse, prendere una volta di più le distanze dal Ventennio, sarebbe cosa buona e giusta.
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da www.articolo21.org

Se continua così sarà sdoganato

anche ‘Eja Ejia Alalà’?

Ottavio Olita
9 Gennaio 2024
Ma la missione affidata a qualche direttore di giornale – televisivo, stampato o radiofonico – è abbattere Chiara Ferragni e dare un buffetto ai nostalgici irregimentati e protesi nel saluto romano? Questo è parso da come sono state fatte alcune impaginazioni nelle edizioni di ieri dove nella graduatoria delle notizie il caso Ferragni-Balocco ha avuto precedenza e molta più rilevanza dell’adunata fascista di Acca Larentia.
Quale sarà la ragione principale? L’odio personale della Meloni o l’impudente dichiarazione del presidente del Senato secondo il quale il saluto romano non sarebbe apologia del fascismo? Basterebbe che Ignazio Benito Maria rileggesse con attenzione l’articolo 1 della legge Scelba (sì, proprio il fiero democristiano anticomunista) del 1952.
Evidentemente non lo farà non solo perché non gli interessa come Presidente del Senato, nonostante il giuramento sulla Costituzione, ma neppure come dirigente di Fratelli d’Italia, partito in nome del quale si è dissociato dalla manifestazione fascista del 7 gennaio. Si badi bene, lo ha fatto da dirigente di partito, mentre si è guardato bene dal condannarla da seconda carica dello Stato nato dalla Resistenza e dalla lotta al nazifascismo. E con lui tutto il governo, dalla presidente in giù.
Ma allora, da chi siamo governati? Quale rappresentanza del popolo possono avere, se non della parte che li ha eletti e a cui fanno riferimento? Questo è il rispetto per le istituzioni ‘sacrali’ e per il prezzo pagato dal popolo italiano ai crimini fascisti? Non provano vergogna?
Vedremo cosa diranno domani, nel centenario dell’assassinio di Giacomo Matteotti, delitto del quale, nonostante gli stupidi tentativi di deresponsabilizzarlo scaricando la colpa su sgherri non controllati da lui, Mussolini se ne assunse la responsabilità politica parlando alla Camera.
Sarà l’occasione per un’ulteriore verifica della fiera determinazione della destra-destra di non definire mai l’Italia antifascista, anzi. Se passa indisturbata l’adunata di Acca Larentia come se si fosse trattata di una riunione poco più che folclorica, quale sarà il prossimo tentativo per tentare di legalizzare il fascismo, possibilmente facendolo rinascere con altro nome?
Cercheranno di declassare tutte le altre forme di apologia, dai busti del duce, ai fasci littori, fino all’Eja Ejia Alal à” coniato da D’Annunzio e fatto proprio dai militanti fascisti?
Quando è che cominceremo a preoccuparcene sul serio, invece di continuare a parlarne come se fosse un’escrescenza, un’acne giovanile facilmente controllabile? E chi dovrebbe farlo? Chi, occupando posti di grande potere, pervicacemente si rifiuta di definirsi antifascista e comunque si coccola e custodisce gelosamente tutti i saluti romani e i ‘Presente!’ come base elettorale?
La vigilanza antifascista si sta rivelando giorno dopo giorno sempre più necessaria e la si può e la si deve organizzare intorno all’insostituibile, ormai si può definire profetico, dettato della Carta Costituzionale.

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da www.articolo21.org

Acca Larenzia

e la solita meschina furbizia

Davide Mattiello
10 Gennaio 2024
Le parole di Ignazio La Russa su Acca Larenzia sono la solita, meschina, manifestazione di furbizia.
La furbizia del peggior mercante che sa di rifilare una sola al cliente, ma lo fa col sorriso e l’affabilità consumata dal mestiere.
Quella che la La Russa impiegò nell’offrire uno splendido mazzo di fiori alla Senatrice a vita Lilliana Segre che aveva temporaneamente presieduto il Senato, accompagnandola all’uscita e occupandone compiaciuto lo scranno.
La furbizia, reiterata con scientificità, ha un fine grave ed inaccettabile: sostituire la discontinuità con la continuità. La “discontinuità” è quella che ha fondato moralmente la Repubblica italiana nell’anti fascismo, attraverso la Costituzione del ’48. La “continuità” è quella che pretende di mettere tra parentesi il significato della Liberazione, gettando un ponte riconoscente tra questa Italia e quella monarchica, fascista, razzista, imperialista, filo nazista. Una operazione resa possibile anche da quanti, per decenni, ricoprendo incarichi pubblici quella “continuità” l’hanno praticata culturalmente, senza mai tendere il braccio destro. Almeno in pubblico.

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