Forse non c’è più speranza…

Forse non c’è più speranza…

di don Giorgio De Capitani
Per un vescovo ogni “suo” prete che muore è come una porta che si apre sul Mistero divino, o come una finestra da cui entra uno sprazzo di luce che illumina una diocesi, che per chi la serve fedelmente è sempre un campo di duro lavoro, senza mai dosare fatica.
Ogni diocesi è quell’organismo carnale, a cui ogni prete è stato educato a donarsi, sacrificandosi senza magari vedere mai alcun risultato soddisfacente.
Se poi un prete che muore è nel fiore della vita, ed è chiamato da Dio improvvisamente, allora per un vescovo è tutta questione di Fede: credere o non credere che il Regno di Dio è al di là di quell’organismo carnale, che richiede sempre e comunque servitori disposti al massimo rendimento.
Se muore un prete a quarant’anni, lasciando tutti nello sgomento, il suo vescovo non dovrebbe porsi mille domande e farsi prendere da dubbi, e tanto meno recriminare, maledicendo (in nome di chi?) la morte e il suo potere satanico.
Chi ha detto che la morte è solo la conseguenza punitiva del peccato, frutto di una disobbedienza istigata dal Maligno?
Forse Sant’Ignazio di Antiochia non la pensava così, e neppure i numerosi martiri che preferivano morire piuttosto che vivere tradendo la loro fede. Per non parlare dello stesso Cristo, che decise di sua volontà di morire su una croce. E, proprio sulla croce, mentre moriva, donò il suo Spirito.
Già Socrate preferì morire piuttosto che tradire la fede nei suoi ideali. Platone definì la filosofia un “esercizio di morte”, e vedeva la morte come una liberazione dell’anima dalla schiavitù del corpo.
La stessa Chiesa chiama “dies natalis” il giorno della morte dei giusti, e vede la morte come un ritorno alla Casa del Padre.
Certo, quando un prete muore improvvisamente, diventa l’occasione perché il popolo si accorga del suo valore, esaltandone le virtù. È il cosiddetto rito di esaltazione, che dura pochi giorni, per poi sparire nell’oblio.
La morte va sempre letta nel Volere divino che, pur misterioso alla ragione umana, è da contemplare con gli occhi dello Spirito, che “vedono” al di là del nostro sguardo puramente carnale.
Il nostro linguaggio di credenti è da attingere a quella Fede che “vede” nel Mistero divino, oltre ogni ragionevole dubbio.
Sì, tacere e contemplare. Dire qualcosa di nostro, anche in modo del tutto provocatorio, è solo una bestemmia inaccettabile.
Quando a Monte preparavo le omelie funebri, stavo scrupolosamente attento alle parole. Nulla di provocatorio. Nulla di offensivo. Cercavo di cogliere in ogni persona gli aspetti positivi, senza perciò urtare l’assemblea che seguiva le mie parole in grande silenzio.
Quando ho letto l’omelia di Mario Delpini durante la celebrazione funebre del giovane sacerdote don Simone Vassalli sono rimasto di nuovo scioccato, eppure dovrei oramai essere abituato allo stile dialogico di Delpini che, quando tiene le sue omelie, ha i suoi giri ripetitivi che alla fine annoiano anche i più distratti. Con un tono di voce che non è il massimo per un oratore, ma questo conta relativamente poco, se la sostanza è tale per cui il lettore è catturato dalla parola che è Parola vibrante.
Almeno una cosa chiedo a Delpini, anche se so che anche stavolta parlo al vento: durante le omelie funebri cambi registro, dica qualcosa di veramente evangelico, non sciupi queste occasion: la gente, credente o non redente, è in chiesa per sentire anche una Parola di Vita.
Sto male al pensiero che il mio vescovo non dia il buon esempio di come comunicare una parola veramente sostanziosa.
Lo so: lui non se ne accorge, non sa di rendersi ridicolo e soprattutto di non capire che durante le celebrazioni funebri la parola deve attingere alla Sorgente divina che è dentro, e non fuori in un linguaggio senza senso.
Don Simone Vassalli meritava un’altra omelia, o forse un prolungato silenzio, che è già Parola vivente. Nel Silenzio Dio parla nell’essere interiore, e la gente rimane scossa, quasi provocata nel modo giusto.
Veramente sto male, quando un vescovo sciupa provvidenziali occasioni, lasciando a Dio la sua voce, ed evitando di cadere in banalità o in provocazioni fuori posto.
Un prete giovane è tornato alla Casa del Padre, nel più vellutato silenzio, aprendo una porta sul Mistero divino, e una finestra per uno sprazzo di luce di cui la sua e la nostra diocesi ha bisogno, più di mille preti che dovessero sostituire don Simone Vassalli.
Ma forse Mario Delpini, distratto da mille cose carnali, non ha capito e ha perso un’altra occasione.
Forse non c’è più speranza…
***

Esequie di don Simone Vassalli (1982-2022)
CELEBRAZIONE EUCARISTICA – OMELIA DI MARIO DELPINI
Biassono, 9 febbraio 2022

Il velo del tempio si squarciò… i sepolcri si aprirono
1. Morte, io ti maledico!
Gesù di nuovo gridò a gran voce. Il grido ultimo, il grido indecifrato, il grido tremendo, il grido che scuote cielo terra, che squarcia il velo, che apre i sepolcri.
Il grido che estremo tra cielo e terra pronuncia l’ultima sentenza: Morte, io ti maledico!
Morte spietata che non ti lasci fermare da nessuna lacrima, da nessun gemito, da nessuna preghiera, io ti maledico! Morte vigliacca che assali alle spalle quando nessuno ti aspetta, io ti maledico! Morte stentata che quando sei invocata non arrivi mai e tormenti la vita con esasperante lentezza e rubi il respiro di ogni crocifisso a poco a poco, io ti maledico!
Morte bugiarda che ti imponi in modo così perentorio da insinuare l’impressione che tu sia mandata da Dio, bugiarda! Io ti maledico, il Padre mio non ti ha mai mandata, non ti ha mai voluta: io ti maledico! Il Padre mi ha mandato perché i suoi figli avessero la vita e non la morte. Morte, tu ci ferisci con ferite che sembrano irrimediabili: io ti maledico!
Morte prematura, tu lasci tra noi vuoti che ci sembrano incolmabili: io ti maledico! Morte improvvisa, che non consenti neppure un saluto, un’ultima parola, un’ultima carezza: io ti maledico!
2. Morte, io ti maledico e ti anniento!
Il grido estremo di Gesù maledice la morte e colui che della morte ha il potere e ne dichiara la sconfitta.
Io ti maledico e dichiaro che è annientato il tuo dominio incontrastato, il tuo regno: viene il Regno del Padre mio, è qui il Regno di Dio, venga il tuo Regno, Padre!
Il grido estremo dichiara la sconfitta della morte, apre i sepolcri. Inaugura la speranza invincibile! Secondo la testimonianza del discepolo che Gesù amava il grido ultimo dichiara il compimento della missione di Gesù “è compiuto!”. La morte è annientata, ai figli di Dio è data la vita, la vita eterna, la vita di Dio. I figli di Dio passando attraverso la morte del Figlio entrano nella vita del Figlio: io sono la via, la verità, la vita.
3. Il velo squarciato.
La maledizione della morte, la sconfitta della morte, il grido estremo di Gesù: il velo del tempio si squarciò. Così si rivela l’onnipotenza di Dio: la morte maledetta è vinta e l’onnipotenza di Dio si mostra in questo, trae anche dalle tenebre orrende della morte una nuova luce. Il grido che maledice la morte è nuova rivelazione. Lo sguardo di ogni figlio d’uomo può entrare fino nel Santo dei Santi.
Non è la morte che diventa rivelazione, ma la maledizione della morte che la costringe a spalancare le tombe, ad abbattere le porte degli inferi. Rivelazione della vita nuova.
Così avviene anche per noi che continuiamo a peregrinare sulla terra: possiamo fissare lo
sguardo fino al Santo dei Santi, fino nell’insondabile beatificante mistero di Dio.
E infatti questo ci è dato: il morire diventa rivelazione.
Tutti coloro che hanno conosciuto don Simone ne hanno ricevuto parole sapienti, sorrisi incoraggianti, testimonianza di intensa vita di preghiera. Il suo morire è rivelazione: ciascuno ora capisce meglio quella parola, torna alla memoria con inedita incisività quel momento vissuto insieme, quella prossimità gentile, quella fraternità semplice e intensa.
Proprio il suo morire incide più profondamente la sua testimonianza in coloro che l’hanno conosciuto.
Il morire diventa rivelazione. Don Simone ha svolto bene il suo ministero, è stato circondato da stima e apprezzamento da tutti coloro che l’hanno incontrato: a Masate, all’Università, in seminario, nelle esperienze della vita, nelle comunità dove ha svolto il suo ministero, particolarmente in questa comunità pastorale di Biassono, Macherio, Sovico. Ma adesso il suo morire dà una risonanza più ampia: anche coloro che non l’hanno incontrato ora, proprio per il suo morire, il suo morire così, ne sentono parlare, forse sono raggiunti da una parola, dal racconto di un amico, da una commozione incomprensibile. Così don Simone, proprio per il suo morire, può forse far giungere un invito, un messaggio di speranza anche a chi non lo ha mai incontrato o gli è passato vicino con indifferenza. Il velo si squarcia e la luce si fa più intensa.
Nessuno dica che Dio ha voluto la morte di don Simone, perché Dio maledice la morte e non c’entra nulla con la morte e colui che della morte ha il potere. Tutti, però, lasciamoci scuotere dal grido estremo del Figlio, il Verbo fatto carne, Colui che dona lo Spirito di vita. Il grido estremo è l’ultima rivelazione dell’onnipotenza di Dio: morte, io ti maledico.
Morte, io ti anniento! Ti dichiaro sconfitta e mostro la tua sconfitta nel seminare nel morire la nuova definitiva rivelazione.
… per ridurre all’impotenza mediante la morte colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo e liberare così quelli che per timore della morte erano soggetti a schiavitù per tutta la vita (Eb 2,14s).

3 Commenti

  1. luigi egidio ha detto:

    Caro Delpini non hai capito nulla della morte di Gesù. Il Crocifisso ha sperimentato il dileggio dei nemici, la fuga degli amici e l’abbandono di Dio. “Mio Dio, mio Dio perchè mi hai abbandonato …” L’esperienza del fallimento. Il suo regno non è venuto, la sua causa non si è realizzata e il silenzio di Dio. Come è stato possibile da questa esperienza aver avuto dei seguaci? La nuova esperienza nell’incontro con il Risorto, il dono dello Spirito. Don Giorgio ci invita attraverso la metanoiete a passare attraverso la morte “carnale” per rinascere a nuova vita “spirituale”. La morte può essere vista come il preludio di Bach che accompagna l’Ave Maria di Gounod.

  2. MaM ha detto:

    Mi impressiona quell’uso dell'”io” che si sente e si legge molto spesso nelle omelie del vescovo di Milano.
    Quell'”io” che è la propria volontà, la prima che dobbiamo abbandonare, dalla quale dobbiamo distaccarci, quella stessa volontà che Cristo ci insegna a lasciare, perché dev’essere fatta la volontà del Padre.

  3. simone ha detto:

    Conoscevo bene don Simone facendo parte della comunità che lo ha avuto come vicario. Nel suo oratorio, da quando è arrivato, si sono susseguite una serie ancora in corso di vocazioni. Negli ultimi 4 anni hanno sempre avuto una prima Messa. Hanno un diacono e altri 2 seminaristi in un paese non enorme. Dati incredibili per la media dei paesi della nostra diocesi. Sarà un caso. Non voglio cadere nell’elogio ma posso dire che era un bravo sacerdote.
    Le comunità sono distrutte (preti compresi). Ci si aspettavano parole di speranza; parole illuminate dal vescovo.
    Le persone sono smarrite e abbandonate.
    In ragione della mia fede avrei detto parole opposte a quelle del vescovo. Non riesco ad aggiungere altro.

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