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09 Marzo 2024
Il Papa all’Ucraina:
“Quando sei sconfitto, devi avere il coraggio
di alzare bandiera bianca e negoziare”
di Huffpost
Intervista alla RadioTv Svizzera, che verrà diffusa il 20 marzo. La Sala Stampa Vaticana corre ai ripari: “È una richiesta di tregua con il coraggio del negoziato”. Bergoglio interviene anche su Gaza: “La guerra di due irresponsabili“
Sono parole destinate a far discutere, quelle pronunciate da Papa Francesco in un’intervista alla Radiotelevisione svizzera. Interpellato sulla guerra in Ucraina, Bergoglio offre il suo consiglio – non richiesto – al governo di Kiev: avere “il coraggio” di alzare “bandiera bianca” e “negoziare”. “È più forte chi vede la situazione, chi pensa al popolo, chi ha il coraggio della bandiera bianca, di negoziare. Oggi si può negoziare con l’aiuto delle potenze internazionali. La parola negoziare è coraggiosa. Quando vedi che sei sconfitto, che le cose non vanno, occorre avere il coraggio di negoziare. Hai vergogna, ma con quante morti finirà? Negoziare in tempo, cercare qualche paese che faccia da mediatore. Nella guerra in Ucraina, ce ne sono tanti. La Turchia si è offerta. E altri. Non abbiate vergogna di negoziare prima che la situazione sia peggiore”.
Dichiarazioni così forti che è costretta a intervenire la Sala Stampa Vaticana, con Matteo Bruni che afferma che “il Papa usa il termine bandiera bianca, e risponde riprendendo l’immagine proposta dall’intervistatore, per indicare con essa la cessazione delle ostilità, la tregua raggiunta con il coraggio del negoziato. Altrove nell’intervista, parlando di un’altra situazione di conflitto, ma riferendosi a ogni situazione di guerra, il Papa ha affermato chiaramente: il negoziato non è mai una resa. L’auspicio del Papa – continua Bruni – resta quello sempre ripetuto in questi anni” con la supplica che “si ritrovi quel po’ di umanità che permetta di creare le condizioni di una soluzione diplomatica alla ricerca di una pace giusta e duratura”.
Nell’intervista il Papa parla anche della guerra a Gaza, con toni che certamente non faranno piacere alla comunità ebraica. “Tutti i giorni alle sette del pomeriggio chiamo la parrocchia di Gaza. Seicento persone vivono lì e raccontano cosa vedono: è una guerra. E la guerra la fanno due, non uno. Gli irresponsabili sono questi due che fanno la guerra. Poi non c’è solo la guerra militare, c’è la ‘guerra-guerrigliera’, diciamo così, di Hamas, un movimento che non è un esercito. È una brutta cosa”. Alla domanda se però non si debba perdere la speranza di provare a mediare, risponde: “Guardiamo la storia, le guerre che abbiamo vissuto, tutte finiscono con l’accordo”.
Alla domanda se lui stesso si sia proposto per negoziare negli attuali conflitti, il Papa risponde: “Io sono qui, punto. Ho inviato una lettera agli ebrei di Israele, per riflettere su questa situazione. Il negoziato non è mai una resa. È il coraggio per non portare il paese al suicidio. Gli ucraini, con la storia che hanno, poveretti, gli ucraini al tempo di Stalin quanto hanno sofferto….”.
Il Papa ripropone poi la sua filosofia sull’origine delle guerre: “dietro c’è sempre l’industria delle armi”. “È un peccato collettivo questo”, afferma Francesco. “Mi diceva l’economo, un mese fa, mi dava il rendiconto di come stavano le cose in Vaticano, sempre in deficit, lei sa dove oggi ci sono gli investimenti che danno più reddito? La fabbrica delle armi. Tu guadagni per uccidere. Più reddito: la fabbrica delle armi. Terribile la guerra”. “Io questo lo dico sempre”, aggiunge: “quando sono stato nel 2014 al Redipuglia ho pianto. Poi lo stesso mi è successo ad Anzio, poi tutti i 2 novembre vado a celebrare in un cimitero. L’ultima volta sono andato al cimitero britannico e guardavo l’età dei ragazzi. Questo l’ho detto già, ma lo ripeto: quando c’è stata la commemorazione dello sbarco in Normandia, tutti i capi di governo hanno celebrato quella data ma nessuno ha detto che su quella spiaggia sono rimasti ben 20mila ragazzi”.
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09 Marzo 2024
Bandiera bianca.
Il Papa dà il colpo di grazia alla martoriata Ucraina
di Michele Valensise
La Sala Stampa Vaticana si affanna a correggere il tiro di parole chiare pronunciate da Francesco, il quale osserva la sconfitta di Kiev, che esorta ad “aver il coraggio di negoziare”. Trascurando cause ed effetti. Evitando di marcare la distanza dalla tirannia del più forte. Allontanando, nei fatti, la pace
Dal Papa che viene da lontano è lecito aspettarsi che guardi lontano. Per i credenti vale la potenza del messaggio trascendente del capo della Chiesa, i non credenti ne rispettano la straordinaria autorità morale, consapevoli della capacità di irradiazione della sua parola nel mondo. L’attenzione è garantita, ancor più in una congiuntura di tensioni, incertezze, rischi e disorientamento diffuso. Per molti, oggi è ancora più necessario disporre di un punto di riferimento solido, confortante, portato di saggezza millenaria, tra le tante convulsioni che insieme al pianeta scuotono le coscienze.
Le anticipazioni odierne di quel che Papa Francesco ha dichiarato in un’intervista alla RadioTv svizzera purtroppo sembrano andare in un’altra direzione. Se è doveroso inchinarsi di fronte alla angoscia, ben condivisibile, del Santo Padre per il dilagare di violenze e guerre e all’impegno sofferto per la conquista della pace, colpisce anche il raggio ristretto della sua esortazione a senso unico, che trascura cause ed effetti e allontana, anziché, promuovere le possibilità che le armi vengano davvero deposte.
Il punto non è nuovo, la novità consiste piuttosto nella determinazione del Pontefice nel suo giudizio tagliente, doloroso per gli aggrediti, apparentemente inappellabile, su sviluppi e implicazioni della guerra in Ucraina. Alla domanda su cosa pensa di chi chiede agli ucraini “il coraggio della resa, della bandiera bianca”, Papa Francesco sceglie di rispondere senza giri di parole: “È più forte… chi pensa al popolo, chi ha il coraggio della bandiera bianca… Quando vedi che sei sconfitto, che le cose non vanno, occorre avere il coraggio di negoziare. Hai vergogna, ma con quanti morti finirà?”. Scompaiono, in questa aspirazione, le responsabilità di chi ha scatenato una guerra sciagurata, ha causato lutti, sofferenze e distruzioni immani, ha invaso un Paese sovrano di cui aveva garantito il pieno rispetto, ha stracciato il principio della inviolabilità delle frontiere sul quale il nostro continente aveva costruito ottanta anni di convivenza pacifica, anche nelle fasi più dure del confronto tra i blocchi.
Manca una parola di condanna per chi uccide e violenta in nome di una assurda “denazificazione” di un intero Paese. Non c’è un accenno a chi decide di non piegarsi alla tirannia del più forte, uno sforzo di comprensione per quanti vivono e si battono, come i martiri di una volta, nel culto della libertà, loro, dei loro figli e di qualcun altro in Europa. Manca tutto, incredibilmente e purtroppo parole così alte scoraggiano chi resiste proprio per negoziare senza la pistola puntata alla testa e galvanizzano chi protrae un’aggressione spietata, senza precedenti, senza giustificazioni, con il proposito dichiarato dell’annientamento dell’Ucraina.
Non è questo il modo per favorire la pace, non serve puntare il dito contro il complotto dei produttori mondiali di armi, se si dimenticano motivazioni profonde e sofferte e responsabilità di chi è obnubilato da un ottuso nazionalismo di cui pensavamo di esserci liberati per sempre dopo le tragedie del secolo scorso. Meglio assicurare solidarietà alle vittime, confidando nella loro autonoma capacità di discernimento, meglio sollevare la voce moralmente imperiosa della Chiesa di Roma contro chi potrebbe fermare la guerra oggi stesso, se solo lo volesse, e allentare la morsa autoritaria di un regime che quando non li uccide fa morire in carcere i suoi oppositori.
Certo, i moniti del Sommo Pontefice non possono essere letti alla stregua di quelli di un qualsiasi capo di Stato, toccano sfere diverse e più alte. In questo mondo rischiano tuttavia, se non ben calibrate, di essere strumentalizzate senza scrupoli da quanti confondono, spesso per inconfessabili interessi, la ricerca di una pace giusta con l’appello a una resa improponibile. Toccherà ora forse alle gerarchie vaticane, nei limiti loro consentiti, interpretare con precisione i propositi del Papa, rassicurando auspicabilmente sull’equilibrio del suo messaggio, meritevole di approfondimento anche nel punto in cui sembra equiparare sbrigativamente le responsabilità di Hamas a quelle di Israele.
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