10 aprile 2022: DOMENICA DELLE PALME
Is 52,13-53,12; Eb 12,1b-3; Gv 11,55-12,11
Questa domenica, che introduce la Settimana santa, ha un duplice volto: è detta di Passione, ed è anche popolarmente conosciuta come la domenica delle Palme, o ancor più popolarmente detta dell’ulivo.
Dunque, una domenica che nella sua liturgia, ricca anche di forti emozioni, ci invita già a meditare sulla Passione di Cristo, e una domenica che già anticipa la Risurrezione, come a dire: attenzione!, pasqua significa passaggio dalla morte alla vita, tutto è in vista della risurrezione.
Se nei brani di oggi il tema della passione e della morte è molto spiccato, e se il tema della vita sembra solo accennato, per un cristiano non ha senso celebrare la passione di Cristo senza essere già nella Risurrezione.
È nella risurrezione di Cristo che la nostra fede affonda le sue profonde radici. Che senso avrebbe credere in Cristo, se non avessimo già la fede nella Risurrezione?
Sì, celebriamo la passione e la morte di Cristo con la fede nella risurrezione.
Il Mistero pasquale è un unico mistero, che si conclude però già nella risurrezione. Non possiamo soffermarci prima sulla passione e sulla morte, e poi sulla risurrezione. Non si tratta più di tre atti distinti: passione, morte e risurrezione.
È chiaro che la liturgia distingue i diversi momenti, ma non dobbiamo celebrarli separatamente. Il Mistero pasquale è un unico mistero che si risolve nella risurrezione.
Possiamo anche dire che i Vangeli non avrebbero alcun senso, se non fossero nel loro insieme la Buona Novella, ovvero la Notizia o l’Annuncio di Cristo già risorto.
Gli esegeti ci invitano a rileggere i Vangeli non dall’inizio, così come sono stati scritti dagli evangelisti, ma partendo dalla fine, ovvero dall’evento della Risurrezione. E allora tutto diventa chiaro, nella luce del Cristo risorto.
Così la Buona Novella è stata meditata e ri-meditata, a lungo, per anni e anni, dalle prime comunità cristiane.
Dunque, attenzione; vi è un grosso equivoco, ed è di soffermarsi eccessivamente sulla passione di Cristo come se, facendo così, cogliessimo l’aspetto più autentico di Cristo, il quale avrebbe sofferto l’indicibile perché solo così ci avrebbe voluto bene, come se nella sofferenza più atroce ci fosse la prova o la testimonianza di un amore intenso di Dio.
È quanto anche noi pensiamo e diciamo: più soffriamo per una persona, più dimostriamo verso di lei un grande amore.
Forse dovremmo ribaltare tutto il modo di vedere il nostro amore e l’amore di Dio.
Non basta soffrire per provare che io voglio bene a una persona. È il Bene che conta, più che la sofferenza in sé: se nella sofferenza non c’è il Bene, la mia sofferenza conta relativamente.
Sento dire anche da parte di alcuni santi che, più si mette in evidenza la sofferenza di Cristo, calcando anche eccessivamente la mano (pensate anche ai pittori che raffigurano un Cristo tutto sanguinante), più mi rendo conto dell’amore di Dio verso di noi.
Ci presentano un Cristo disperato, umiliato, represso, tutto dolore e ribrezzo: è un modo sbagliato di presentare il Mistero pasquale.
È il Bene che rende valido il soffrire. Proprio perché ci ha voluto bene, Cristo ha sofferto, ma la sofferenza di per sé conta relativamente, se non c’è dietro il Bene divino.
E allora dobbiamo forse dire che Cristo, essendo ora il Risorto e perciò non soffrendo più, non ci voglia più bene? Ma Dio è infinitamente purissimo spirito, e allora come può soffrire per noi? Dio ci vuole un Bene infinito, senza soffrire.
Il Bene divino è assoluto, sciolto da ogni condizionamento carnale, anche di sofferenza.
Forse che il nostro spirito/intelletto possa soffrire? La cosiddetta psiche o l’anima può soffrire, ma non lo spirito in quanto tale.
E se il corpo soffre, ma solo in quanto corpo, a che servirebbe?
È lo spirito che dà valore alla sofferenza del corpo: lo spirito è divino, e in quanto divino contiene quel Bene assoluto, che è l’unico bene di cui ha bisogno ogni creatura.
Vorrei dilungarmi su quanto sto dicendo: la religione, ogni religione, da sempre ha presentato la sofferenza come una redenzione necessaria per una purificazione.
Non vorrei pensare a quanto la Chiesa ci diceva a proposito del dolore, talora quasi cercato, pensate a certi santi e sante: una deformazione della realtà di Dio, visto come uno che gode della nostra sofferenza.
Passiamo alla domanda: che significa vivere il Mistero pasquale?
La Liturgia ci invita a rivivere con fede la Settimana santa: santa perché si celebrano misteri santi. Come celebrarli, riviverli nella fede? Solo come giorni di passione?
Nel mio ministero pastorale, ho sempre visto tanta gente, di qualsiasi fede, anche non più praticante, partecipare con commozione al rito del bacio del crocifisso il pomeriggio del venerdì santo, dopo la celebrazione della morte di Cristo.
Magari poca gente durante la Messa del Giovedì santo, e il sabato santo sera, durante la solenne celebrazione con l’annuncio della Risurrezione.
Comprendo che la gente si senta partecipe della passione e della morte di Cristo, ma non capisco che tutto si limiti a questa compartecipazione direi umana o solidale.
Ma se Cristo non fosse risorto, direbbe ancora san Paolo, a che servirebbe la nostra fede, ma anche a che servirebbe sentirci compartecipi della sofferenza di Cristo?
Non vorrei essere frainteso: abbiamo più bisogno del Risorto che del Cristo sofferente.
Pensate a un mondo immerso nelle tenebre. Di che cosa abbiamo bisogno? Della Luce!
Pensate a un mondo immerso nella morte, che significa violenza e guerra. Di che cosa abbiamo bisogno? Della Vita.
Limitarci alla passione e alla morte di Cristo non avrebbe alcun senso. Bisogna andare oltre, e l’oltre è la Risurrezione di Cristo.
Ho voluto insistere per invitarvi a entrare nella Settimana santa con lo spirito giusto, che è quello di rivivere i Misteri pasquali nel loro insieme, tenendo sempre presente che Cristo è già Risorto.
Già nella passione di Cristo è presente la risurrezione. E non dimentichiamo che Cristo, mentre muore, dona già il suo Spirito.
Ogni via crucis, quella di Cristo e la nostra, è accompagnata da un fascio potente di Luce, che è già Risurrezione.
E non dimentichiamo le parole di Gesù a Marta, sorella di Maria e di Lazzaro: “Io sono la risurrezione e la vita”.
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