Omelie di don Giorgio: QUINTA DOPO PENTECOSTE

10 luglio 2022: QUINTA DOPO PENTECOSTE
Gen 18,1-2a.16-33; Rm 4,16-25; Lc 13,23-29
Anche nei tre brani della Messa di oggi possiamo trovare una parola che li collega, ed è “Abramo”. Tutti ci diciamo “figli di Abramo”. Lo riconoscono padre gli ebrei, i cristiani e i musulmani.
San Paolo nella lettera indirizzata ai cristiani di Roma sembra allargare la discendenza di Abramo, perché la lega non a una identità di razza o di religione, ma alla fede. Ed è questa la cosa più interessante, su cui soffermarci.
Anzitutto, non dimentichiamo la seconda parte del capitolo ottavo del quarto Vangelo, in cui si narra il durissimo contrasto tra Gesù e alcuni suoi simpatizzanti ebrei, i quali appena sentono le parole: “la verità vi farà liberi”, subito ribattono dicendo: “Noi siamo discendenti di Abramo e non siamo mai stati schiavi di nessuno”. Gesù risponde che non basta essere discendenti per razza, ma che occorre fare le opere di Abramo. Sappiamo poi come lo scontro sia degenerato fino a tal punto che quegli ebrei prendono le pietre per uccidere Gesù. Ed erano suoi simpatizzanti, ma ancora legati a una concezione razziale di discendenza. Cristo aveva cercato di farli ragionare, pensando a un Abramo capostipite sì ma di una fede purissima nel Dio dell’Alleanza. Una Alleanza da vedere dunque non nella carnalità di un patto giuridico, ma in un rapporto profondo di fede.
Ogniqualvolta noi poniamo il nostro credere sul piano razziale o giuridico, allora tutto diventa pericoloso e dannoso. Pensate a una religione che è legata a una struttura razziale o giuridica. A venir meno o a essere vincolato è lo spirito dell’essere interiore.
E allora la fede che cos’è stata per Abramo?
Prendo le parole di don Angelo Casati, il quale così commenta la fede di Abramo.
«Ciò che ci affascina di Abramo è quel suo affidarsi a Dio, alla voce di Dio. Un Dio che non sta con le cose morte. Motivo per cui Abramo non si arrende. Ecco, fede è “non arrendersi”. Nemmeno davanti a ciò che noi chiamiamo “evidenza”. Riascoltiamo queste bellissime parole di Paolo: “Egli non vacillò nella fede, pur vedendo già come morto il proprio corpo – aveva circa cento anni – e morto il seno di Sara. Di fronte alla promessa di Dio non esitò”».
Continua don Angelo: «Fede è non arrendersi, fidando nella promessa di Dio. Per questo la discendenza di Abramo travalica i confini. Rileggendo il brano della lettera di Paolo mi è venuto spontaneo pensare a tutte le donne e gli uomini che sulla terra e lungo i secoli non si sono arresi, discendenza di Abramo! Hanno resistito nella speranza, ancorché l’evidenza dei fatti parlasse di situazioni morte, irrimediabilmente morte, senza speranza. Ma mi è venuto anche spontaneo chiedermi se io, che mi definisco credente, ho la stoffa autentica della fede, se non mi arrendo alle forze del male, se resisto. Comunque».
Sappiamo anche che cosa l’apostolo Paolo pensasse della legge carnale, quella scritta, quella codificata, quella letterale. Paolo contrappone alla legge della carne la legge dello Spirito. La legge della carne è morta, la legge dello Spirito è vita. La legge dello Spirito è quella scritta nell’essere umano, e non su un pezzetto di carta.
Quanto sono pericolosi quei fondatori religiosi che dettano leggi da scrivere sulla carta. Sono leggi morte o che muoiono con il passare del tempo che consuma la carne, ma non lo spirito.
La Fede, come l’intendevano i Mistici medievali, è quella realtà purissima, che risale direttamente a Dio, come Spirito. Quando un leader o un guru o un presunto fondatore di religioni si presenta come l’intermediario tra l’essere umano e Dio è falso, pericoloso, da rifiutare.
Solo Dio sa trarre dalle cose morte la vita, mentre noi, con la nostra presunzione o il nostro orgoglio, sappiamo trasformare la vita in qualcosa di morto.
Passiamo al brano del Vangelo. A un tizio che gli aveva chiesto: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?», Gesù risponde: «Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno».
A Gesù dunque non interessa il numero di coloro che si salveranno, ma parla subito di “porta stretta”, il che fa pensare a quel distacco necessario e radicale per aderire al Mistero divino.
Le porte strette servono perché la gente prima di entrare in chiesa deve spogliarsi di tutto ciò che è carnale. Porta stretta dunque sta a significare distacco da tutto ciò che è inessenziale, e c’è gente che pensa di entrare in chiesa con un enorme carico di cose inutili perché Dio lo trasformi in un miracolo economico.
Don Angelo Casati ci invita a riflettere anche sul fatto che Abramo viene elogiato come l’uomo giusto, l’uomo della giustizia. Sinceramente all’inizio non capivo il senso da dare alla parola “giustizia”. Poi riflettendo sul fatto che i santi vengono definiti giusti, ho iniziato ad allargare il mio concetto diciamo giuridico di giustizia. E qui non ci siamo affatto con quella concezione popolare di giustizia che è in contrasto con la giustizia divina. Ho detto popolare, ma dovrei dire socio-politica. Nel campo socio-politico il concetto di giustizia è molto limitato, restrittivo, fuorviante. La politica fatica a credere che esista la giustizia divina, che è quella che fonda la vera giustizia, quella per cui io credo in un disegno divino che va al di là di concezioni di una società fondata su squilibri sociali, proprio perché il concetto di giustizia è molto limitativo, giuridico, carnale.
Allora possiamo anche dire che la porta stretta è la giustizia intesa come misura per cui valuto ciò che è nobile e ciò che non lo è. Non si tratta, come si pretende oggi, di allargare le porte, ovvero di allargare i diritti di una giustizia che non è fondata sul dovere dell’essere. L’essere è la misura di tutte le cose. Gli antichi pensatori dicevano che la misura di tutto è l’uomo, ma in che senso?
L’uomo in quanto essere umano, dunque in quanto “essere”, anzitutto. Misura significa che il criterio per valutare il mio agire è l’essere, ovvero lo spirito che entra in contatto con la misura divina, per cui il bene è un riflesso del Bene Assoluto e il male è assenza del Bene divino, a cui tendiamo perché ne possiamo almeno realizzare qualcosa di più, sempre in meglio.
Quando penso alla fede, penso a un mondo che mi sconvolge al solo pensiero di essere a contatto con il Mistero divino, che mi immerge in una realtà infinita, dove solo i giusti trovano posto, perché lo spirito si unisce allo Spirito divino.
Solo così le porte si apriranno, e tutti i popoli della terra potranno entrare nel regno di Dio.

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