Scola, che cosa intendi per nuovo umanesimo?

di don Giorgio De Capitani

A me non piace criticare le parole di Angelo Scola, senza offrirvi nello stesso tempo il testo integrale dell’omelia.
 In occasione della Festa della Natività di Maria che, come voi sapete, è la Festa del Duomo di Milano, che è dedicato a Maria Nascente, ogni anno il cardinale presenta il suo nuovo piano pastorale, il cui tema scelto per quest’anno è: “Il campo è il mondo. Vie da percorrere incontro all’umano”. Già la parola “umano” allarga il cuore. Che bello!, mi detto. Finalmente l’Umanità entra nella nostra Chiesa! Il sito poi della Diocesi di Milano titola così la presentazione della nuova lettera pastorale: “La Chiesa ambrosiana per un nuovo umanesimo”. Altra meraviglia: che sta succedendo? Una improvvisa conversione sulla via di Damasco? Sono andato a leggere l’omelia che Scola ha tenuto durante la Messa pontificale nella festa della Natività. Man mano leggevo, mi chiedevo: dove sta l’umano? Ulteriore delusione. Ma, ecco la sorpresa: la parte finale! Quasi svenivo. Ha detto il cardinale: «Non più bastioni da difendere, ma strade da percorrere incontro all’umano, ci siamo ripetuti in questi mesi. In questa nuova epoca che si presenta carica di contraddizioni, ma che possiede anche l’affascinante carattere di una nuova avventura, la Chiesa ambrosiana intende mettersi al lavoro in tutti gli ambiti dell’umana esistenza, per edificare, con tutti gli uomini, a partire da una rinnovata vita di fede, un nuovo umanesimo generatore di pace e di vita buona. Per il bene della nostra amata città e non solo». Che intende Scola per nuovo umanesimo? Chi mi sa rispondere?
Ho l’impressione che giochiamo sulle parole, e ho la netta impressione che qualcuno stia barando sull’equivoco. Nuovo umanesimo? Ma vi rendete conto che sarebbe veramente grave se si equivocasse su una delle più sconvolgenti parole, umanesimo, usandola poi come fendente per colpire chi fa dell’umanesimo la forza della propria fede in quel Dio che si è incarnato, ma non per chiudersi e chiuderci in una struttura, nuova ma sempre struttura, ma per aprire il mondo a quella meraviglia che è l’Universo, e qui vivere con tutto il proprio essere, senza soffocarlo, senza reprimerlo, senza farne l’oggetto di un potere dis-Umano? Scola, che intendi per nuovo umanesimo? Riverniciare la facciata del cristianesimo, per coprire il vuoto che c’è dentro la casa? Non me la dai da bere! Oramai ho imparato dalla vita tante cose: una fra queste è di non farmi più fregare dalle belle parole. La Chiesa in questo batte tutti: parlare bene, e poi razzolare male! Ma il problema non è neppure saper parlare bene: il problema è ciò che sta dietro le belle parole, ovvero una concezione della religione paurosamente vecchia. Scola, sei prigioniero della tua supponente cultura per nulla “intelligente”.

 ARCIDIOCESI DI MILANO

SOLENNITÀ DELLA NATIVITÀ DELLA BEATA VERGINE MARIA

INIZIO DELL’ANNO PASTORALE
RITO DI AMMISSIONE DEI CANDIDATI AL DIACONATO E AL PRESBITERATO

DUOMO DI MILANO
9 SETTEMBRE 2013
Ct 6, 9d-10; Sir 24, 18-20; Sal 86; Rm 8,3-11; Mt 1,18-23

OMELIA DI S.E.R. CARD. ANGELO SCOLA, ARCIVESCOVO DI MILANO

1. «Io sono la madre del bell’amore e del timore, della conoscenza e della santa speranza; in me ogni dono di vita e di verità, in me ogni speranza di vita e ogni virtù» (Lettura, Sir 24,18). Lungo i secoli la tradizione della Chiesa ha sempre ravvisato in questo versetto del Siracide la descrizione del mistero di Maria santissima e, nello stesso tempo, del mistero della Chiesa.
Maria è veramente la madre del bell’amore, personificato in Gesù; è la fonte inesauribile di speranza per il cammino di ogni giorno. E la Chiesa, popolo santo convocato da Dio, pellegrina sulle strade della storia insieme a tutti i fratelli uomini, è la casa, la dimora della santa speranza, di ogni speranza di vita e di virtù. Abituarci a pensare la Chiesa a partire da Maria è, sempre più, nel mondo di oggi una necessità. Ci aiuta a pensare la Chiesa in termini personali. Chi è la Chiesa? è la domanda che ci libera dalla prevalenza, spesso ottundente, del “fare” sul “contemplare”, entrambe dimensioni necessarie all’esistenza cristiana.
 Se il rapporto con la Chiesa non passa attraverso una convinta assunzione personale sarà impossibile – lo dico oggi in special modo per voi carissimi che sarete ammessi quali candidati al diaconato e al presbiterato – «lavorare con entusiasmo per la salvezza dei fratelli a gloria del tuo nome» (Orazione dopo la preghiera universale). Senza questo entusiasmo (con buona probabilità l’etimologia della parola entusiasmo – aver un Dio dentro – è riconducibile all’idea di essere ispirato da Dio) infatti non si testimonia che la Chiesa, mai estranea, mai nemica, è espressione del bell’amore offerto a tutto l’uomo e a tutti gli uomini.
In questa Solennità della Natività della Beata Vergine Maria, la Chiesa ambrosiana dà inizio al nuovo anno pastorale, riconoscendo così in Maria, che dona suo Figlio al mondo, la sua autentica fisionomia.

2. Come aprire sempre di più l’azione ecclesiale della nostra Diocesi alla santa speranza? Questa domanda vale per noi e per i nostri fratelli uomini.
A partire dall’autunno dello scorso anno ha preso forma la proposta pastorale: “Il campo è il mondo. Vie da percorrere incontro all’umano”. Vorremmo, nonostante i nostri limiti, dare testimonianza che la Chiesa non ha altra ragion d’essere se non l’annunciare a tutti gli uomini Gesù come l’Evangelo dell’umano, cioè come la buona notizia per tutto l’uomo e per tutti gli uomini.
Infatti «non c’è niente e nessuno che possa o debba essere estraneo ai seguaci di Cristo. Tutto e tutti possiamo incontrare, a tutto e a tutti siamo inviati. E questo perché ciascuno di noi, in quanto segnato dalle situazioni della vita comune, è nel mondo. Siamo, ci ha ricordato Papa Francesco, chiamati a promuovere la cultura dell’incontro” (Rio de Janeiro, 27 luglio 2013). Non dobbiamo pertanto costruirci dei recinti separati in cui essere cristiani. È Cristo stesso a porre la sua Chiesa ed i figli del Regno nel campo reale delle circostanze comuni a tutti gli uomini e a tutte le donne» (Il campo è il mondo 4,a).
Di fronte all’ampiezza e alla complessità del campo che è il mondo talora siamo colti da tremore e, non di rado, la tentazione di ritirarci ci assale.
Ci soccorre in proposito la docilità di fede di Giuseppe, il giusto, come abbiamo ascoltato nel Vangelo (cf. Vangelo, Mt 1,18-23). In questa ottica la pochezza della nostra fede, lungi dall’essere un’obiezione alla nostra apertura a 360°, è condizione della sua verità. Non cerchiamo infatti la nostra gloria. Vogliamo, come dice il salmo, dare gloria al Suo nome, al nome di Colui che, “preso a servizio” dal Padre, ha trovato la sua gloria nell’impotente ignominia della croce.
Questa consapevolezza, che accompagna la vita di ogni fedele, deve caratterizzare ancora più acutamente gli “ammittendi”, che saranno chiamati a svolgere il ministero ordinato a servizio di tutto il popolo di Dio.
L’apostolo Paolo nella Lettera ai Romani ci indica la strada per superare la sproporzione tra la missione del cristiano e le nostre povere forze. Egli, riferendosi all’origine della nuova creatura che non cammina più secondo la carne (cf. Epistola, Rm 8,4), ripete per ben tre volte in soli due versetti questa espressione: «Lo Spirito che abita in voi» (Epistola, Rm 8,9-11).
Solo lo Spirito del Signore Risorto, che ci è stato gratuitamente donato nel santo Battesimo, che accompagna ciascuno di noi per tutto l’arco dell’esistenza e che, lungo i secoli regge, sorregge e corregge la comunità cristiana, è garanzia della santa speranza che abita nella Chiesa a favore della famiglia umana. Non abbiamo, infatti, da condividere con i nostri fratelli uomini se non quello che, gratuitamente e immeritatamente, abbiamo ricevuto: Gesù, colui che «salverà il suo popolo dai suoi peccati» (Vangelo, Mt 1,23).

3. Carissimi, all’inizio di quest’anno pastorale, vogliamo fare nostra, con rinnovata consapevolezza, la preghiera sui doni che tra poco reciteremo: «Ci soccorra, o Dio, l’umanità del tuo Unigenito» (Sui doni).
È l’umanità del Figlio di Dio che risplende sul volto dei testimoni e ridà speranza e fiducia ai nostri fratelli uomini. «Dio ha voluto entrare nella storia come uno di noi e cambiare la vita degli uomini attraverso una trama di relazioni nata dall’incontro con Lui. Dopo l’incontro con Gesù di Nàzaret nulla fu più come prima nella vita dei discepoli. Mentre lo ascoltavano, camminavano con Lui per le strade di Galilea, lo vedevano abbracciare i peccatori e guarire gli ammalati, condividevano le loro giornate con Lui… insomma dalla convivenza con Gesù ebbe inizio una storia ininterrotta di rapporti umani, che ha raggiunto anche noi, in cui Dio stesso si comunica da Libertà a libertà» (Il campo è il mondo 3, b).
Con questo spirito tutti i fedeli e tutti gli uomini di “buona volontà” sono invitati a fare propria la proposta pastorale Il campo è il mondo. La Lettera pastorale, che oggi viene resa pubblica, vuole essere un semplice strumento per approfondire anzitutto le numerose esperienze di nuova evangelizzazione già in atto nella nostra diocesi. Per questo, come si è giustamente detto nella recente Assemblea dei Decani, essa va letta personalmente e comunitariamente con l’intento di lasciarsi fecondare. E questo anche in considerazione del fatto che la Lettera pastorale è un atto di insegnamento da parte del vescovo e richiede, pertanto, disponibilità ad imparare. Non è inutile sottolineare che una lettera è tramite di un rapporto che va da persona a persona. In questo caso essa esprime il desiderio dell’Arcivescovo di rivolgersi ad ogni singolo. Sono certo che vorrete farvi carico di questo desiderio. Lo dico anche ai tanti giovani qui convenuti. Sarà poi importante far interagire la Lettera con la pastorale ordinaria, mediante un paragone costante e “critico” con gli ambiti della vita quotidiana propri di tutte le donne e di tutti gli uomini: gli affetti, il lavoro, il riposo, attraversati da quelli della fragilità, della tradizione e della giustizia.

4. Non più bastioni da difendere, ma strade da percorrere incontro all’umano, ci siamo ripetuti in questi mesi.
In questa nuova epoca che si presenta carica di contraddizioni, ma che possiede anche l’affascinante carattere di una nuova avventura, la Chiesa ambrosiana intende mettersi al lavoro in tutti gli ambiti dell’umana esistenza, per edificare, con tutti gli uomini, a partire da una rinnovata vita di fede, un nuovo umanesimo generatore di pace e di vita buona. Per il bene della nostra amata città e non solo.
A Maria nascente, «creatura tutta santa [in cui] rifiorisce il Cielo» (Canto all’ingresso), affidiamo le nostre persone, la nostra Chiesa e la metropoli tutta di Milano. Amen.

 

7 Commenti

  1. Patrizia 1 ha detto:

    Possiamo ben dire che all’ultimo conclave, l’abbiamo scampata bella, se ci penso mi vengono i brividi.

  2. pierluigi ha detto:

    Evviva l’incontro che vuole Francesco, ma questo proposto da questa omelia è un escludendo, è una continua ripetizione omofobica, tranne la Madonna tutte le altre donne sono escluse, da come ha scritto; inoltre per incontrarsi e unirsi è necessario magari, mettersi anche in discussione, per esempio il dogma sulla Madonna non è digeribile per alcune frange dello stesso movimento cristiano. Eminenza Milano ha la necessità di aperture non delle chiusure di CL e della Lega.

  3. Giuseppe ha detto:

    Ho sempre diffidato di chi non parla con semplicità. Con il linguaggio, volendo, si possono fare tanti giri di parole ricercate che sembrerebbero lasciar intendere chissà quali profondità di pensiero, ma che venendo al dunque restano solo uno sfoggio di finta erudizione fine a se stesso. Del resto è risaputo che chi vuol nascondere le proprie opinioni o, peggio ancora, non ha niente da dire cerca di confondere gli altri ricorrendo a perifrasi, circonlocuzioni e frasi ad effetto, mentre il parlare diretto usando termini comprensibili a tutti è caratteristico di chi, avendo un idea precisa, desidera esprimerla con chiarezza.

  4. bruno vergani ha detto:

    L’impressione di fondo è che Scola – e per i disastri procurati da derive e esaltazioni cielline (paraberlusconismo; formigonismo; vicende giudiziarie con ciellini pesantemente coinvolti); e per l’umanesimo detto e testimoniato da papa Francesco, manifesti l’intenzione – ritengo sincera – di un cambiamento di rotta tendente a prendere distanza da una visione gerarchica autoreferenziale per aprirsi maggiormente all’umano.
    Permane, tuttavia, nell’omelia un passaggio che avverto ambiguo e insidioso:

    «Dio ha voluto entrare nella storia come uno di noi e cambiare la vita degli uomini attraverso una trama di relazioni nata dall’incontro con Lui.»

    “Trama di relazioni” che per come esposta così interpreto: Iddio entra nella storia e presceglie alcuni. Proprio loro. Solo loro. Lì Dio prende casa e attraverso l’espansione dei prescelti si fa presenza all’umanità tutta, fino agli estremi confini della terra. L’umanesimo è tutt’altra cosa.

  5. GIANNI ha detto:

    Non è un caso, a mio avviso, che si tratti del rito di ammissione ai candidati diaconi e presbiteri, coloro che vanno incontro agli altri anche con funzione di evangelizzazione.
    Quest’ultima parola spiega tutto o quasi, nell’omelia di Scola.
    Il senso dell’umanesimo può infatti essere compreso considerando l’origine del cristianesimo, come elemento comune alle divere confessioni e concezioni cristiane, e poi le diversità che sono nate.
    Cristo andava incontro agli uomini per comunicare qualcosa.
    Ecco l’origine comune, e la funzione di evangelizzzazione.
    Sin qui, direi che tutti i cristiani, cattolici e non, partono da una base comune.
    E’ il cosa si comunica che pone la differenza.
    Il cosiddetto cristianesimo integrale ritiene che vada evengelizzata la parola originaria di Cristo, senza costruzioni aggiuntive, basate su quanto oggetto del magistero.
    Invece, il cattolicesimo ritiene sempre che vada insegnata la parola di Cristo, ma visto peraltro che Cristo non ci ha detto tutto espressamente, questa parola originaria va interpretata e spesso anche integrata secondo il magistero indicato da specifiche autorità ecclesistiche.
    Questo dimostra che spesso gli stessi termini indicano parte elementi in comune, e parte diversità.
    In entrambi i casi possiamo parlare di umanesimo, nel senso di evangelizzare gli uomini e valorizzarli alla luce della parola di Dio.
    MA secondo il cristianesimo integrale questa parola non passa da uno specifico magistero gerarchico, mentre secondo il cattolicesimo si.
    Ne consegue anche una diversità di fede e di morale.
    Per il cristianesimo integrale inoltre la parola di Cristo sarà in accordo con taluni fondamentali elementi, considerati diritti umani universali e in accordo con l’umanità intesa anche come insieme di pulsioni e di istanze, mentre il cattolicesimo, sempre attraverso il magistero, si fa arbitro di quali passioni, quali diritti e quali pulsioni definire in accordo o meno con Dio.
    Quelli non in accordo vanno repressi.
    Pensiamo, ad esempio, alla differenza di impostazione teologica in materia di sessualità.
    Il cattolicesimo, in altri termini, a differenza del cristianesimo integrale, va incontro all’uomo per dirgli come deve essere.
    Non c’è quindi ipocrisia, in questa omelia, ma un diverso significato di umanesimo.
    E’ vero, questo non è esplicitamente espresso, ma spesso i testi si disvelano nel loro significato più autentico, più per quello che non dicono, che per quello che dicono.
    Ne deriva che secondo il cristianesimo integrale, si va incontro all’uomo con le poche cose insegnate da Cristo, mentre per il cattolicesimo si va incontro all’uomo con tutto quel bagaglio sia dogmatico che magisteriale, che la tradizione millenaria della chiesa ha lasciato, e che quasi mai viene accolto nel cristianesimo integrale.

    Del resto, si pensi a papa Francesco.
    Anche qui taluni hanno equivocato.
    Certo, papa Francesco va incontro all’uomo, sopratutto gli ultimi, ma, come ha riconfermato anche in diverse occasioni, anche incontri con i giornalisti, non rinnega certo il magistero.
    Quindi, potremmo forse dire: non umanesimo, ma umanesimi?
    Come forse potremmo dire, invece di confessioni cristiane, cristianesimi?
    Spesso termini uguali assumono solo in parte significati comuni, per poi divergere in molteplici aspetti, e questo sopratutto al di fuori delle discipline scientifiche o tecniche, per loro natura abituate a definizioni convenzionali ed universalmente valide di certi termini.
    L’ambito di maggior applicazione di una liguistica a significati variati è invece tipica del contesto delle discipline umanistiche, come la filosofia o la religione.

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