Omelie 2024 di don Giorgio: NOSTRO SIGNORE GESÙ CRISTO RE DELL’UNIVERSO
10 novembre 2024: NOSTRO SIGNORE GESÙ CRISTO RE DELL’UNIVERSO
Is 49,1-7; Fil 2,5-11; Lc 23,36-43
Anche oggi partirei dalla prima lettura della Messa, perché anche questo brano merita una particolare attenzione, ed è di stimolo per qualche opportuna anche doverosa riflessione.
Non fa male ripeterlo, anzi. Quando leggiamo un brano o una pagina della Bibbia, dobbiamo sempre tener conto che si tratta di libri ispirati dallo Spirito santo, il che comporta che ogni parola contiene un senso che va oltre la lettera, ovvero le parole scritte: c’è in profondità quel senso che gli studiosi chiamano “pieno”, che al momento neppure gli autori sacri, e neppure i profeti avevano compreso del tutto. E così anche oggi siamo giustamente impegnati a scoprirne almeno qualcosa in più, perché il senso “pieno”, che è quello “spirituale”, ovvero opera dello Spirito santo, si chiarisce man mano, si rivela nel senso che lo stesso Spirito ci aiuta a togliere qualche velo.
Parlare di simbolismi, di allegorie, di miti, non basta: certo, anche i Padri della Chiesa interpretavano la Sacra Scrittura in modo allegorico, simbolico, mitico. Ma c’è qualcosa ancora di più. Una cosa chiara da dire è comunque questa: attenzione al fondamentalismo, ovvero a coloro che interpretano la Bibbia in senso puramente letterale, che uccide il senso “pieno” dello lo Spirto santo. Le conseguenze negative e drammatiche le conosciamo, e tuttora ne paghiamo le conseguenze, anche perché i fondamentalisti o tradizionalisti più gretti tuttora non mancano, sempre pronti a chiudere lo Spirito entro gli schemi di una lettura puramente carnale.
Vediamo ora di dire qualcosa di più, anche per leggere con maggior intelligenza il tempo attuale, che non si ferma al passato, leggendo con gli occhi della fede ciò che ha scritto l’autore del brano, che gli studiosi chiamano Secondo Isaia.
Dio dice, tramite la voce del profeta: «Mio servo tu sei, Israele, sul quale manifesterò la mia gloria». Possiamo dire che la speranza d’Israele poggia sulla onnipotenza di Jahvè e sulla sua fedeltà, che non potrà mai venir meno, proprio perché è il vero Dio, ma l’intervento di Dio è posto sulle spalle di quei suoi “servi” che sono stati mandati: fedeli, coraggiosi, tenaci, consapevoli di ubbidire a Dio e di vivere nella sua volontà poiché questo è stato il progetto della loro vita: “Dal seno di mia madre mi hai chiamato”; e servi di Dio sono stati Mosè, Samuele, Davide, i profeti e i molti che si sono messi a servizio del Signore. Ecco il senso giusto da dare alla parola “servo”, che non significa dunque “schiavo”, ma uno che si mette liberamente al servizio del Dio dell’Alleanza, obbedendo al suo volere, magari all’inizio inconsciamente, poi man mano in modo sempre più consapevole.
Tra i profeti dell’Antico Testamento e il loro Dio c’era anche dialettica: discutevano, magari litigavano, anche in un primo momento rifiutavano di obbedire a un preciso comando, troppo esigente. Sono convinto che, oltre ai profeti che troviamo nell’Antico Testamento, Dio abbia scelto altri, che non hanno accettato la chiamata di Dio. Del resto basterebbe leggere anche i Vangeli: è scritto che alcuni, pensate a quel giovane ricco che se ne va, non hanno accettato l’invito di Cristo a seguirlo.
Ora vi chiedo più attenzione: leggendo con gli occhi dello spirito il brano di oggi, cerchiamo di scoprirne almeno qualcosa in più che riguarda il senso “pieno”.
Il profeta anonimo (tra parentesi, il fatto che è anonimo, senza un nome, pur inquadrato in un contesto storico, ci dice che più che il nome e la persona in sé ci interessa ciò che ha scritto in nome dello Spirito, che non è anonimo), dunque ciò che gli studiosi chiamano il Secondo Isaia introduce un personaggio “misterioso”, detto “Servo di Javhè, a cui ha consegnato una parola forte, coraggiosa, tagliente, scelto da Dio per raggiungere futuri obiettivi di vita e di gloria, passando tramite una dura sofferenza, una ostinata incomprensione umana, diciamo di casa.
Lo stesso Cristo, come scrive Giovanni nel Prologo del suo Vangelo, “venne tra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto”. Ed è di Cristo la citazione del proverbio, riferendosi ai suoi compaesani di Nazaret: “nessuno è profeta in patria”.
Perché non ricordarci ancora oggi del trattamento subito da Cristo, rifiutato dai “suoi”? I profeti, gli spiriti liberi sono sempre stati emarginati dalla stessa Chiesa istituzionale.
Perché dimenticare che il Messia tanto atteso, quando è venuto, è stato messo su una croce dal popolo eletto, ovvero dagli gli ebrei?
Tutti i profeti hanno subìto la stessa sorte del Maestro: prima maltrattati, uccisi, e poi messi sugli altari da venerare. Quanta ipocrisia!
Ma c’è di più. Le stesse visioni profetiche dei servi di Dio sono state male interpretate, anche perché, lo ripeto, gli stessi profeti non avevano del tutto capito il senso “pieno” delle loro profezie, dando adito a interpretazioni sbagliate da parte di un popolo che sa vedere solo, anche nelle profezie, il lato più strettamente carnale.
Diciamo che il popolo ha sempre una visuale corta, che non va oltre un certo immediato, e in questa visuale prevalgono aspetti del tutto pragmatici, carnali, per nulla spirituali.
Mi fanno arrabbiare quando prendono anche i profeti di oggi, pensate a don Mazzolari e don Milani, e li tirano da ogni parte, da parte di cattolici e di laicisti, di destra e di sinistra, facendone una bandiera della loro faziosità religiosa o partitica. I profeti sono di tutti e di nessuno in particolare: sono voce di una coscienza che è universale, di quel Tutto divino che noi, abilmente, oscenamente, anche in modo blasfemo, frantumiamo secondo le nostre bocche o i nostri ventri sempre affamati di potere o di qualche tornaconto personale.
E succedeva che il personaggio “misterioso” della profezia veniva subito identificato in un personaggio storico del momento, a iniziare dallo stesso profeta, che non capiva il senso profondo della sua profezia, senza dunque uscire dalla immediatezza storica.
Ma ci dovrebbero essere anche dei “segni” per comprendere almeno qualcosa del senso “pieno” delle profezie divine: non è certo quel populismo, tipico anche nel campo ecclesiastico, che traduce subito anche il mondo dello Spirito in una banalità in vista di un consenso popolare, pur sapendo che la verità è verità, e per ciò stesso divide, e non accomuna tutti in una accoglienza opportunistica. Ci scandalizziamo, quando leggiamo che Cristo non è stato accolto dai suoi. Più che naturale che lo fosse. Se fosse stato accolto, avrebbe tradito se stesso, ovvero la verità.
Tra gli ebrei tutti aspettavano, invocavano la venuta del messia, ma a modo loro, secondo visuali carnali: si aspettavano un messia che avrebbe liberato il popolo dalle schiavitù politiche. E quando è venuto, lo hanno messo su una croce. E dalla croce non è sceso per dimostrare di essere Figlio di Dio, ma è rimasto fino alla morte, perché solo così, morendo ucciso dal popolo, Cristo ci ha dato la vera salvezza, donandoci proprio sulla Croce il suo stesso Spirito.
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