Eleviamoci almeno a Natale!

EDITORIALE
di don Giorgio

Eleviamoci almeno a Natale!

Più leggo buoni libri, e mi riferisco anche e soprattutto a quelli che risalgono all’antichità greca, più imparo tante cose, e soprattutto ricevo impulsi o stimoli a cercare senza stancarmi quella Verità che, se è vero che è il Divino in noi, però richiede uno sforzo che si esercita eliminando quel superfluo o eccedente o quel di più che copre, quasi sterilizza ogni germe di Verità infinita.
Sì, il Divino è in noi ma potenzialmente, ovvero pronto a farsi presente in tutta la sua realtà infinita, ma si richiede da parte mia quel distacco che liberi il mio essere da ogni ostacolo che impedisce al Divino di farsi presente.
Giustino, filosofo e martire cristiano, II sec. d.C., considerava cristiani ante litteram i grandi del passato, quelli che avevano scoperto grandi verità. Sua è quella espressione che tornerà poi nei Documenti del Concilio Vaticano II: in greco “Logoi spermatikòi”, in latino “Semina Verbi”: Semi del Logos, Semi del Verbo.
Berthold Altaner, studioso di Patrologia, ha scritto: «Con la sua teoria del λόγος σπερματικός (logos spermatikòs) Giustino getta un ponte tra la filosofia antica e il Cristianesimo. In Cristo apparve, in tutta la sua pienezza, il Logos divino, ma ogni uomo possiede nella sua ragione un germe (σπέρμα) del Logos. Questa partecipazione al Logos, e conseguente disposizione a conoscere la Verità, fu in alcuni particolarmente grande; così nei Profeti del giudaismo e, fra i greci, in Eraclito e Socrate. Molti elementi della verità sono passati, così egli opina, nei poeti e nei filosofi greci dell’antica letteratura giudaica, poiché Mosè era ritenuto lo scrittore assolutamente più antico. Di conseguenza i filosofi, in quanto vissero e insegnarono conformemente alle regole della ragione, furono dei Cristiani, in un certo senso, prima della venuta di Cristo. Tuttavia solo dopo questa venuta i Cristiani sono entrati in possesso della verità totale e sicura, priva di ogni errore. Il pensiero teologico di San Giustino è fortemente influenzato dalla filosofia stoica e platonica».
Parlando di Natale, non possiamo non sentire il bisogno di rileggere quell’Inno, altamente lirico oltre che profondamente teologico e mistico, che è il Prologo del Quarto Vangelo: pagina che la Liturgia natalizia ci ripresenta più volte da meditare.
Vorrei far notare che quando la Messa era ancora in latino, al termine anche di ogni Messa feriale, il celebrante leggeva in ginocchio, prima di andare in sacrestia, il Prologo di Giovanni. Mi ricordo benissimo che sull’altare, davanti alla porticina del tabernacolo, c’era una tabella, di solito dentro una cornice talora artistica, detta “cartagloria”, che riportava il testo.
In questo Inno si parla di Logos, tradotto in latino con Verbum, in italiano con Parola. Il termine Logos è stata preso dalla filosofia greca, pensiamo a Eraclito, e probabilmente il quarto evangelista ha preso “logos” dal filosofo ebreo Filone di Alessandria (circa 30 a. C. – m. circa 45 d. C.).
Sarei tentato di spiegare in lungo e in largo il pensiero degli antichi filosofi, in particolare di Eraclito e il pensiero di Filone.
Dico solo che per Eraclito è necessario distinguere tra logos ragione individuale e logos universale: tutti gli uomini, partecipano a una “legge” o “ordine” universale”, se solo distolgono lo sguardo dalle cose terrene e caduche. Questo Logos universale è identificato anche con il “fuoco” divino, che vive dentro tutti gli uomini. Con Platone il “Logos” diventa la capacità di fare dei discorsi veri, in grado di resistere al fuoco confutatorio della dialettica. Lo spostamento del significato semantico del termine “logos” dal senso originario eracliteo (“fuoco divino” “ragione universale”) a quello platonico (“discorso vero”) è perfezionato da Aristotele che fonda la “logica” poiché scienza del pensiero e del linguaggio. Per Aristotele, sul piano spirituale, è invece fondamentale l’intelletto “attivo”, il “nous”, facoltà comune all’uomo e a Dio, che permette di pensare quel pensiero che Dio ha di se stesso (Etica Nicomachea). Per Plotino si deve distinguere tra la mera ragione “calcolante” (“loghismòs”) e la capacità di cogliere l’altro pensiero (logos) che determina l’impulso ascetico come cammino di progressivo distacco verso l’Uno, ma la facoltà capace d’identificarsi con l’Uno è l'”intelletto”, lo “spirito”, il “noùs”.
Fu comunque Filone d’Alessandria, ebreo ellenizzato, a elaborare le originarie concezioni giudaiche, identificando il “pneuma” (spirito) con il “noùs” (intelletto attivo aristotelico e del neoplatonismo). La ruah biblica fu quindi identificata con il “nòus” greco, ed ecco il perché della celeberrima espressione “All’inizio era il Verbo” del Prologo del Quarto Vangelo. Infatti, la Sapienza di Dio è identificata da Filone con il mondo delle idee platoniche o degli archetipi contenuti nella mente di Dio. Questi pensieri divini ed eterni sono contenuti dall’eternità (dall’inizio) nella mente di Dio, che egli chiama “Logos”, Ragione divina che governa il mondo (concetto per la verità anche stoico). All'”inizio era il Verbo” si riferisce proprio alla mente di Dio che contiene, prima della creazione stessa, gli archetipi eterni.
Per Filone l’uomo è composto di σῶμα, ψυχή e νοῦς, e solo il “nous” è immortale. Fatto a immagine di Dio, il νοῦς dell’uomo tende alla contemplazione (ϑεωρία) di Dio attraverso il distacco dal corpo e da ogni attività sensibile (ψυχή), ma non può giungere al suo fine se non è investito dallo spirito (πνεῦμα) di Dio (identico al logos) come da grazia: la contemplazione di Dio rende l’uomo suo strumento e profeta.
Vorrei aggiungere che la grande filosa francese Simone Weil ci dice come dobbiamo comportarci con le cose belle. Il possesso egoistico, il “mangiare”, le distrugge. Esse invece sono belle “in sé”, nella loro interezza, ed è questo che bisogna lasciare intatto. Il vizio le mangia e le distrugge. Saper solo “guardare” una cosa bella, lasciando la “distanza” significa anche accogliere la luce che viene da quello specchio, il desiderio di bene.
Bellezza e realtà sono identiche, bellezza è la Verità, è l’Amore, è l’Ordine del creato, è il Bene, il Giusto che noi avvertiamo come esigenza dentro di noi e che ci rimanda ad un qualcosa di più grande. La Bellezza provoca uno stato di benessere interiore, ci spinge a cercare le cose belle, è, dice ancora la Weil, “la trappola che usa Dio” per aprire l’anima, che naturalmente la ama, al soffio che viene dall’alto. È un modo per mettersi in contatto con il Bene Sommo.
Se almeno noi moderni ricuperassimo il concetto di “logos” come ordine universale, come sapienza divina che armonizza i particolari nel Tutto, se ricuperassimo il concetto di “logos” come particella del “Nous”, o Intelletto divino, se ricuperassimo il concetto di bellezza come emanazione del Bene Sommo.
Bellissima l’espressione di Simone Weil con cui definisce la bellezza come “trappola” con cui Dio ci cattura.
Fosse così: farci catturare dalla Bellezza come emanazione del Bene Assoluto! Ma la Bellezza è dentro di noi: nel nostro essere più puro, è il nostro essere illuminato dalla Grazia divina.
Dovrei ora parlare della Generazione del Logos in noi, secondo quella Mistica medievale che ha raggiunto qui il suo culmine più elevato. È il cuore della Mistica, di quella Mistica che la Chiesa istituzionale ha bloccato, condannandola con un oblio che tuttora resiste al tempo.
Ne ho già parlato, abbiamo scritto anche un libro: “Riscopriamo la Mistica medievale, nella dottrina essenziale di Meister Eckhart”.
In ogni caso, ci tornerò, visto che gerarchia ecclesiastica, clero, cristiani sono immersi in una carnalità tale da soffocare la realtà più bella, che è il nostro essere interiore che vive al contatto o meglio si unisce al Mistero divino che rinasce ogni giorno in noi.
10/12/2022
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