Il Mussolini di Marinelli, dibattito sull’empatia e su una grande serie: «M»

Luca Marinelli è Mussolini in “M – Il figlio del secolo” – 2024 Sky Studios Ltd – Sky Italia srl – The Appartment srl
dal Corriere della Sera

Il Mussolini di Marinelli,

dibattito sull’empatia e su una grande serie: «M»

di Alessandro Trocino
Nella stagione ora in onda su Sky, il dittatore guarda dritto in camera gli spettatori. Lo sceneggiatore Serino: «Volevamo che all’inizio chi guarda si sentisse complice»
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«Mi avete adorato follemente per vent’anni come una divinità. E poi odiato follemente, perché mi amavate ancora. A cosa è servito quell’odio? Guardatevi attorno, siamo ancora tra voi».
Quando uscì «La Caduta», con Bruno Ganz che interpretava Adolf Hitler, ci furono reazioni di rigetto. Hanno umanizzato un dittatore, scrisse qualcuno, disturbato da un ritratto intimista, dove il protagonista era un uomo negli ultimi giorni della sua disgraziata vita. Nel 2007 il regista svizzero Dani Levy produsse la prima commedia su Hitler girata in Germania: si vedeva un dittatore depresso, impotente, incontinente, che si drogava e giocava a battaglia navale nella vasca da bagno. Umanizzare il mostro, normalizzare il male assoluto, per dirla con Elie Wiesel, è la strada giusta per raccontare il fascismo e Mussolini?
M – La Serie (su Sky da venerdì 10 gennaio) sceglie una strada diversa ma ugualmente rischiosa. Gira la camera verso lo spettatore, con Benito Mussolini (uno spettacolare Luca Marinelli) che guarda fisso in macchina. Assume il suo punto di vista (un po’ come nel romanzo di Jonathan Littel, «Le benevole», anche se il tono è opposto) e gioca con l’empatia. Ce lo spiega Davide Serino, sceneggiatore giovane ma già esperto («Esterno Notte», «1992«, «Bad Guy»), chiamato da Stefano Bises a scrivere con lui «M»: «Il libro di Antonio Scurati comincia e finisce in prima persona, noi abbiamo scelto di seguire sempre questa strada e di rompere la quarta parete». Un po’ come in «House of cards».
C’è una progressione, per chi vede le otto puntate. L’inizio è sconcertante, mette quasi a disagio: «È l’effetto che volevamo, affrontare di petto Mussolini, con un avvicinamento sconcio, di un’intimità devastante. È un registro quasi grottesco, che poi si attenua. Volevamo che lo spettatore si sentisse complice, che si divertisse, che abbassasse la guardia». Il Mussolini degli esordi nella serie ci respinge e ci affascina, è forte, coinvolgente. Un personaggio da commedia all’italiana, che parla con accento romagnolo (che più avanti si romanizzerà) ma anche un incantatore di serpenti, come in fondo ogni buon dittatore, ma persino ogni buon leader o politico, dev’essere (Silvio Berlusconi, al di là di ogni giudizio politico, era un conversatore irresistibile, voleva farsi amare da tutti e almeno per qualche minuto ci riusciva quasi sempre).
La serie va avanti e le cose cambiano: «Proprio perché lo spettatore è diventato complice del narratore – spiega Serino –, poi viene preso quasi a schiaffi da quello che succede. Anche se sappiamo cosa avvenne storicamente con il fascismo, il cambio di passo è violento. Provoca disagio. Ci fa cambiare idea, ci fa pensare che forse abbiamo sottovalutato quell’uomo. E forse è proprio quello che è avvenuto nella storia. Le scene su Matteotti sono tremende». Il meccanismo empatico si rompe, anche se qualcuno ne resterà comunque disturbato: «Abbiamo fiducia negli spettatori. Ci rivolgiamo a un pubblico molto alfabetizzato. Abbiamo fatto delle proiezioni in licei romani e c’era un silenzio sconvolgente. Guardando la serie, se qualcuno ha provato simpatia per il dittatore, poi se ne vergogna. Faccio fatica a pensare che la si possa leggere come apologia».
Il Mussolini della serie è diverso da quello del libro di Scurati, che non a caso all’inizio, e durante, ha espresso molte riserve: «Nel libro lui ha voluto evitare ogni tipo di empatia e la strada scelta gli sembrava pericolosa». Lo era in fondo, ma alla fine anche Scurati si è convinto ed è rimasto entusiasta.
Tra i cinefili si è già accesso un dibattito per nominare, o no, «M» come la migliore serie italiana mai scritta. Sicuramente per noi va sul podio delle migliori e il merito va anche al regista, che è inglese e non è un dettaglio. Perché Joe Wright (che ha diretto «Espiazione» e soprattutto «L’ora più buia») ha prima di tutto confezionato un prodotto esplosivo, per montaggio, luci, suoni, ambizione. La colonna sonora martellante è di Tom Rowlands, dei Chemical Brothers. La messinscena è incredibilmente moderna, come per l’uso dei led wall sul soffitto (vedi il fiammifero che si incendia e brucia l’immagine del Mussolini socialista).
Ne ha fatto un film espressionista, o se vogliamo, futurista. «Joe ha uno sguardo internazionale – racconta Serino – e questo si vede anche nel modo in cui affronta Mussolini. Non lo racconta solo come un personaggio storico chiuso in un recinto, ma come un modo di essere, uno stato dell’anima». Questo Mussolini è in fondo un archetipo dell’italiano, un arcitaliano, con tutti i difetti (portati all’estremo) che ci riconosciamo: opportunismo, ambiguità, ambizione, servilismo. Ma anche populismo e maschilismo, come ha esplicitamente detto Wright. «Joe ha parlato di mascolinità tossica e da un certo punto di vista lo capisco», dice Serino. Basti ricordare una frase di Alfredo Oriani, che Mussolini esaltò come anticipatore del fascismo: «Le donne amano solo gli uomini gagliardi capaci di violentarle». Serino spiega che «per Joe è sempre importante leggere in un personaggio qualcosa che va oltre. Fa spesso l’esempio dell’Ora più buia: per lui è un film sul dubbio più che su Churchill. Il suo Mussolini l’ha preso sul serio, come forse ha fatto prima di lui solo Bellocchio in “Vincere”. È un racconto universale eterno, che racconta la pulsione dell’animo umano sempre pronto ad affidarsi all’uomo forte».
«M» non è un racconto ideologico, né una caricatura del fascismo, ma qualcosa di più: «La nostra è stata una scrittura un po’ folle e ambiziosa. Abbiamo anche introdotto elementi di modernità, stranianti». Come il dito medio agli spettatori o il «Make Italy great again», elemento di raccordo con Donald Trump: «Sì, è una nostra intuizione. Abbiamo discusso molto se fosse il caso. È una strizzata d’occhio fuori luogo, un ammiccamento troppo forte, o una figata post moderna? Abbiamo scelto quest’ultima strada».
Dice Serino che gli autori non ne hanno voluto fare un’opera ideologica: «Non volevamo fare una tesina antifascista, anche se non si può non essere antifascisti. E neanche ridicolizzare il dittatore. Certo, in alcuni momenti usiamo l’arma del grottesco. Io, per esempio, ho adorato Jojo Rabbit, con quel tono assurdo». E in qualche momento non si può non pensare al Chaplin del Grande Dittatore. Lì faceva girare il mappamondo, qui Mussolini-Marinelli parla con la sua statua e le dice: «Vorrei essere come te, inscalfibile, perfetta, immutabile». Dice Serino: «Ho pensato che ci avrebbero detto a sinistra che non era una serie abbastanza antifascista e a destra che ridicolizzavamo la storia. E invece mi ha sorpreso un’accoglienza molto positiva».
Vero, anche se le critiche non sono mancate. Anche al dibattito-polverone che si è levato dopo le interviste a un Luca Marinelli affranto dal peso di dover interpretare il dittatore fascista. Estremizzazione ridicola del wokismo dei «sensitivity reader», attenti a che non vengano ferite delle sensibilità. In questo caso lo stesso attore, stranamente incapace di estraniarsi dal personaggio, si è in qualche modo sentito offeso da se stesso che recitava un dittatore sanguinario, come se temesse di rimanere contaminato dall’oggetto della sua recitazione.
Alessandro Gnocchi, dal Giornale, ha sparato a zero contro la serie dove, scrive, «non c’è il capo del fascismo, ma un villain, non un villain di Shakespeare ma un cattivo da serie Marvel, un Joker, un Pinguino. Un’astrazione che dimentica la storia, un prodotto commerciale per la cultura di massa». Critica che in qualche modo va a convergere con un articolo di Alberto Piccinini, sul manifesto, che divaga e procede ambiguamente lanciando molte frecciate alla «chiave cialtrona, militaresca, maschio tossica con sfumature romagnole e parodistiche» con cui è rappresentato Mussolini. Per poi concludere con uno sberleffo (immeritato e perfido) alle istanze autoriali: «”M” Non ha l’ambizione di raccontare veramente un mondo, è piuttosto vicina a un esperimento di crudeltà tipo Squid Game o Masterchef nel quale noi siamo il pubblico e i concorrenti. Se la cosa non fosse blasfema si potrebbe dire che come oggetto narrativo assomiglia al C’è ancora domani di Paola Cortellesi, un film-dibattito che vive del suo continuo slittamento temporale».
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venerdì 6 settembre 2024

La serie. In “M – Il figlio del secolo”

l’oscena, tragica seduzione del Duce

Alessandra De Luca
Presentata ieri in anteprima al Lido la produzione Sky tratta dal romanzo di Antonio Scurati. Mussolini è uno straordinario Marinelli, trascinante e ipercontemporanea la regia di Joe Wright
Un’opera pop e contemporanea sull’Italia fascista, dal 1919 al 1925, e su un uomo, Benito Mussolini, che ha chiesto al proprio Paese di arrendersi alla dittatura. Presentata in anteprima alla Mostra del Cinema di Venezia, la nuova serie Sky Original, M. – Il figlio del secolo, scritta da Stefano Bises e Davide Serino, parte dall’omonimo romanzo di Antonio Scurati e vede dietro la macchina da presa l’inglese Joe Wright, che da tempo nutre e un grande interesse per quel periodo storico. Davanti all’obiettivo troviamo uno straordinario Luca Marinelli nei panni del Duce, che nella messa in scena del regista guarda negli occhi lo spettatore, lo corteggia, lo seduce, lo inganna, lo tradisce, lo spaventa, lo minaccia chiedendogli appoggio e complicità finché i propri crimini non diventano talmente evidenti e oscuri da rendere impossibile qualunque intimità. Visivamente complesso, stratificato, trascinante grazie a un ritmo perfettamente calibrato sulle musiche di Tom Rowlands (parte del duo britannico di musica elettronica The Chemical Brothers) e sull’interpretazione di un cast di grandissimo livello che include anche Barbara Chichiarelli, Francesco Russo, Benedetta Cimatti, Lorenzo Zurzolo, Paolo Pierobon, Vincenzo Nemolato, Elena Lietti, M. – Il figlio del secolo ha tutte le qualità di una grande opera cinematografica di ampio respiro, ricca di invenzioni di regia e solida sulle gambe di una sceneggiatura articolatissima, costellata di dialoghi precisi come un meccanismo a orologeria.
«Sono cresciuto antifascista negli anni Settanta e Ottanta – dice Wright – e assistendo oggi alla continua crescita dell’estrema destra in tutto il mondo ho cercato di capire da dove provenisse questa tendenza. Volevo mostrare cosa significava vivere in quel periodo attraverso un’estetica molto contemporanea, all’incrocio tra L’uomo con la macchina da presa di Dziga Vertov, Scarface e la cultura rave degli anni Novanta. Ho realizzato un collage tra bianco e nero e colori acidi, estremi. La scelta della colonna sonora ha contribuito a definire le scelte stilistiche della serie per ottenere un ritmo che trasmettesse lo spirito, l’energia, la rivoluzione di quel periodo». E Marinelli commenta: «Sono antifascista, cresciuto in una famiglia di antifascisti. Quando mi è stato chiesto di prendere parte al progetto ho fatto i conti con molti pensieri, ma poi ho capito che interpretare Mussolini sarebbe stato un modo di prendersi una piccola responsabilità storica. Si tratta di un adattamento coraggioso ed ero sicuro che arrivasse il messaggio di cui avrei voluto far parte. Sospendere il giudizio sul mio personaggio per sette mesi è stata una delle cose più difficili e dolorose che mi siano capitate nella mia carriera. Ma in fondo raccontiamo degli esseri umani: definirli diavoli o pazzi è solo un modo per allontanarli da noi. Mi sono concentrato allora sul fatto che Mussolini fosse un criminale, autore di azioni orrende». «Ho sempre pensato – commenta Scurati – che il cinema fosse il naturale prolungamento del mio romanzo documentario, devoto e fedele ai fatti storici. Trattandosi del fascismo, era fondamentale raccontarlo con uno sguardo nuovo, ma sempre antifascista. Perché il romanzo, come il film, è democratico, in quanto forma d’arte popolare. C’erano rischi legati alla dimensione spettacolare, ma il film conserva la vocazione a rappresentare in forma nuova, coinvolgente e mobilitante le coscienze dei lettori e degli spettatori per far loro conoscere e capire quale seduzione potente ci fosse nel fascismo cento anni fa e suscitare ripulsione nei confronti di quello di oggi. Credo che lo spettro del fascismo si aggiri ancora per l’Europa, ma non sono stato io né Joe Wright a evocarlo, bensì altre forze storiche. Ciò che l’arte democratica e antifascista può fare non è resuscitare spettri, ma disperderli».
Sin dalle prime battute fino alla parola pronunciata alla fine dell’ottava puntata della serie (e che non vogliamo anticipare), Mussolini è il primo a non credere nei propri slogan, ma è consapevole che «c’è sempre un tempo in cui i popoli smarriti vanno verso idee semplici» e che «è con gli ultimi che si fa la Storia mettendolo loro in mano le rivoltelle». La serie rievoca dunque l’ascesa del Duce il complicato rapporto con D’Annunzio, i socialisti, la Chiesa, i picchiatori in camicia nera, la moglie e l’amante, Margherita Sarfatti, il suo braccio destro Cesare Rossi fino all’omicidio di Matteotti e al famigerato discorso in Parlamento nel 1925, quando sopraffazione, rabbia, arbitrio, caos e disprezzo definiranno il fascismo una volta per tutte.

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