L’EDITORIALE
di don Giorgio
5/ Tradizionalisti o progressisti?
Dopo aver tentato nell’articolo precedente di dire qualcosa sulla tradizione e sul tradizionalismo, tenterò ora di dire qualcosa sul progresso e progressismo, sempre nel campo ecclesiastico.
Già la parola “progresso” potrebbe illuminarci perché possiamo partire col piede giusto.
La parola “progresso” deriva dal latino “progressus”, composto di “pro”, avanti, e “gressus”, passo. Dunque, progresso significa: un cammino in avanti, lo stesso significato di procedere, dal latino “pro”, avanti, e “cedere”, andare.
Se la tradizione rimanda al passato o alle origini, il progresso riguarda un cammino in avanti, verso il futuro.
Senza allargare troppo il discorso per non perdere di vista il campo ecclesiale, il progresso lo possiamo anche definire in generale: «l’acquisizione da parte dell’umanità di forme di vita migliori e più complesse, specialmente in quanto associate all’ampliamento del sapere, delle libertà politiche e civili, del benessere economico e delle conoscenze tecniche».
Qui sarei quasi costretto a chiarire, parlando delle due visioni differenti del tempo: secondo il mondo antico greco il tempo era visto come circolare, mentre secondo il mondo ebraico e cattolico il tempo era ed è visto come lineare.
È chiaro che la concezione lineare del tempo, che parte da un punto iniziale per andare verso il punto finale (dall’alfa all’omega: prima e ultima lettera dell’alfabeto greco) suggerisce di più l’idea di progresso, mentre la visione circolare del tempo suggerisce un ritorno continuo, anche se andrebbe aggiunta la visione diciamo più allettante secondo GianBattista Vico, per il quale il tempo non sarebbe un puro ritorno al punto di partenza, ma un ritorno in salita, che l’immagine della spirale o dei tornanti di una montagna aiuta a capire meglio.
Se dovessi scegliere tra le due visuali del tempo, preferirei quella greca, completandola però con quel significato che suggerisce l’immagine della spirale.
Nulla di scontato o di puro ritorno, ma c’è sempre qualcosa di nuovo. Ma attenzione: la visuale del tempo come progresso, un procedere inarrestabile dall’alfa all’omega, suggerisce l’idea che si cammina obbligatoriamente verso un futuro migliore.
La storia ci dice il contrario. C’è un progresso positivo, e c’è un progresso negativo. Dipende anche dall’uso che facciamo delle conquiste scientifiche o tecnologiche. Se le prendiamo come armi di offesa è chiaro che il progresso servirà per distruggere l’umanità.
Facciamo ora qualche considerazione sul progressismo nel campo ecclesiale. Già dire “progressismo” sa di negativo. Dovremmo, in ogni caso, se vogliamo parlare in senso positivo, sostituire la parola con altri termini che richiamino quel cammino profondo, interiore, da cui nasce il vero cammino verso l’Uno divino.
Sì, ho una brutta sensazione, che è più che una sensazione. Quando oggi soprattutto si parla di tradizionalisti e di progressisti, tutto resta sul piano esteriore o carnale. Mi spiego con degli esempi, anche banali.
I tradizionalisti sarebbero coloro che sono amanti della talare, dei riti di una volta, dei pizzi, delle messe in latino, delle tradizioni religiose oggi cadute in disuso, dei catechismi alla pio X, ecc. ecc., mentre i progressisti sarebbero coloro che inventano cose nuove, aggrappandosi alle nuove tecnologie mediatiche.
Il tutto, e sempre, sul piano esteriore, carnale.
Difficilmente oggi noto una ricerca vera della verità, di un ritorno alle fonti per attingere l’acqua dissetante per la vita eterna.
Per me resta e resterà sempre un paradigma di armonia tra tradizione e innovazione il dialogo di Gesù con la donna di Samaria.
Il pozzo è quello, ma l’acqua è sempre più profonda. Più scendo nel pozzo, più scopro quel Divino verso cui procedo per quell’Unione mistica che si realizza già qui e ora nel mio essere più profondo.
Le cose accessorie, pur facendo parte del nostro essere corpo, contano e non contano. Ciò che essenzialmente conta è l’acqua o la grazia che attingo, scendendo nel Pozzo divino.
Pensa anche al fatto che ogni pozzo è circolare nel suo interno, non è solitamente quadrato, anzi forse non esiste neppure uno.
Si scende e si sale circolarmente, anche se il secchio scende e sale verticalmente.
Cristo stesso ha fatto notare, nel dialogo con la samaritana, che scendere nel pozzo richiede un certo distacco, ed è quello di scavare dentro di noi, man mano si scende nel pozzo. Si scende liberandoci da ogni impaccio carnale, e si sale con lo spirito purificato, che si disseta con la Grazia, che però richiede un vuoto assoluto per immergerci in se stessa.
Parlare oggi di progresso, soprattutto nel campo della fede, è assai equivoco, perciò è doveroso chiarire i termini, e spostare il piano da quello carnale a quello interiore.
Se dovessi scegliere, restando sul piano carnale, tra tradizionalisti e progressisti, forse parteggerei per i tradizionalisti, visto che essere progressisti ci porta in piena follia.
Ma man mano rientriamo in noi, allora mi fa più paura una Chiesa istituzionale, che ha fatto “tabula rasa” di quella Mistica che aveva scoperto il vero progresso o cammino verso la Verità infinita, già presente nel fondo della nostra anima.
Infine, perché dimenticare che il Cristianesimo fin all’inizio era chiamato Odòs o la Via? Via che cos’è? Non è un cammino? Verso dove?
(fine)
11/02/2023
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