Ci sarà ora un prete milanese che uscirà allo scoperto?
di don Giorgio De Capitani
Ancor prima che la nomina di Mario Delpini a vescovo di Milano uscisse ufficialmente sui giornali, il clero milanese era scettico sul nome del Vicario generale, braccio destro di Angelo Scola.
Forse nessun prete ambrosiano era d’accordo, ritenendo tale nomina per lo meno “inopportuna””, secondo alcuni del tutto “disastrosa”.
Le ragioni erano tante, così tante che sarebbe del tutto inutile elencarne. Già dire “tante” è più che sufficiente per dire che la nomina è stata del tutto sbagliata.
Ma chissà perché papa Bergoglio ha scelto Mario Delpini.
Facendo dietrologia, qualcuno pensa che ci siano state delle “oscure” mosse o spinte da parte di “strani” personaggi.
Qualcuno fa il nome dello stesso Angelo Scola, che avrebbe fatto di tutto per volere come suo successore uno più o meno della sua linea o, addirittura, più mediocre per non offuscare il suo “stagnante” ministero a Milano, o addirittura uno, e Delpini era la persona giusta, che avrebbe completato la distruzione della linea di Martini e di Tettamanzi.
Ma c’è di più. Un vescovo, venuto da fuori diocesi, avrebbe scoperto le “debolezze” (uso un eufemismo!) di una diocesi oramai allo sfacelo!
Sta di fatto che, nonostante che il clero fosse contrario (ma lo era anche nei riguardi di Angelo Scola, e ce lo siamo tenuti per più di 5 anni), ecco che papa Bergoglio che fa? Sceglie la persona meno “opportuna”, “la più mediocre sul mercato”: Mario Delpini.
Forse, e senza forse, Bergoglio non voleva rischiare troppo, scegliendo un altro Martini, e anche tenendo fede al suo principio: le diocesi più importanti vanno date a vescovi ortodossi, e possibilmente meno intelligenti, e anche meno mediatici di lui.
E così è stato!
Ora mi chiedo, vedendo i primi passi di un vescovo che non usa la testa, ma solo i piedi, facendo scelte pastorali del tutto scriteriate (vedi Sinodo minore!), vedendo che in diocesi i malumori tra il clero aumentano, vedendo la sua pochezza comunicativa pastorale (per non dire altro) e vedendo ciò che sta succedendo per il caso di don Mauro Galli (un vescovo che giura il falso!), mi chiedo se non sia giunto il momento che qualche prete milanese alzi la testa, e dica apertamente ciò che pensa del “suo” vescovo.
Qui in gioco è la diocesi milanese!
Questa diocesi sta finendo nel burrone!
Non c’è almeno un prete che abbia il coraggio di sostenermi apertamente, e di esporsi anche lui? Chissà! Uno, due, tre e poi la fila potrebbe allungarsi…
Ma non ci si rende conto che così non si può andare avanti, e che le cose peggioreranno, e che a pagarla sarà tutta la diocesi?
Non mi sento neppure di dire, anche se la tentazione l’avrei, che questa “disastrosa” situazione ce la meritiamo un po’ tutti quanti.
Purtroppo, la nostra diocesi ha sempre avuto un brutto vizio: quello di borbottare dietro le quinte, ma senza uscire allo scoperto. O, se qualcuno esce allo scoperto, lo fa per stupidità metodologiche o pastorali (liturgiche o educative), ma senza colpire il cuore del problema.
Oggi, ecco il cuore del problema: una diocesi (grande o piccola che sia) da dove deve partire per rendere il popolo di Dio più cosciente della sua realtà “spirituale”? Non sto qui a ripetere ciò che ritengo per “spirituale”, anche se una cosa la vorrei ridire: è la realtà dell’essere umano, nella sua realtà di “spirito interiore”!
Basta, dunque, fare, fare, fare… La diocesi milanese, in particolare, ha bisogno di riscoprire la sua realtà interiore. L’abbiamo constatato anche nelle ultime votazioni; il “nostro” (ma oramai non è più “nostro”!) popolo è diventato un agglomerato sensoriale di esigenze pancesche. Come rendere questo popolo-bue, ovvero di bufali impazziti, una comunità di spiriti pensanti, di esseri umani? Non si può “restare umani”, se non si cerca prima di “essere umani”.
Mi urta aprire il sito della Diocesi milanese, e trovare cose, cose, cose, iniziative, congressi, discussioni, e mai, dico mai, una parola sulla riscoperta di ciò che siamo.
L’avevo detto ai suoi tempi, in attesa della nomina del nuovo vescovo di Milano, che avrei sognato, desiderato, voluto, preteso un vescovo che puntasse alla riscoperta della realtà mistica.
Certo, è difficile parlare di alti valori dell’essere umano ai bifolchi, di cui sono piene le nostre comunità cristiane, ma se la gente è diventata bifolca è perché l’abbiamo educata male.
Bisogna partire, o ripartire dall’essere (che non ha connotati né politici né religiosi), se vogliamo ricostruire la Civiltà.
È insopportabile, inaccettabile, odiosa una Chiesa che continua nella strada dell’agire, del fare, del consenso popolare, accarezzando e pettinando i peli dei bufali.
A Milano ci è capitato un vescovo “piccolo, piccolo”, che si crede “grande grande” solo perché ha rimesso una nuova batteria in una macchina organizzativa che è senz’anima.
Chiediamo, sarebbe troppo?, un nuovo vescovo che rimettesse la carica nell’essere, e non nell’avere, o nel fare.
Se vogliamo trasformare il bestione in una comunità umana, non possiamo più accontentarlo, ma operare quella rivoluzione che punti all’essere, alla mente, al pensiero, all’intelletto, diciamo allo spirito.
C’è bisogno di trasparenza. Il clero milanese deve chiedere l’intervento del Nunzio in Italia per verificare in modo equilibrato la gestione del caso Galli e in generale l’operato della nostra curia. Altrimenti l’arcivescovo con tutti i suoi burattini continueranno a spalleggiarsi coprendo ogni cosa. Mi sembra il minimo.