La Chiesa, l’amore e l’eucaristia

eucaristia risposati
di don Giorgio De Capitani
Vi offro da leggere l’articolo riportato sotto, anche per farvi capire come la Chiesa proceda nell’affrontare le problematiche più scottanti di oggi: scottanti dal punto di vista pastorale e morale. 
Ancora oggi la Chiesa procede a zig zag, con la solita prudenza che l’ha sempre caratterizzata, tra un dire e un non dire, tra una certa apertura e la paura di dover fare un passo troppo azzardato. E questo anche per opportunismo, per evitare scismi all’interno della Chiesa stessa, sempre divisa tra ortodossi di ferro e dissidenti.
Leggendo l’articolo, la prima impressione che ho avuto è che ci troviamo di fronte alla solita ipocrisia. Per me, il problema di fondo non è toccato, ed è l’amore, che fa sì che un matrimonio sia valido o non valido, e non la fede nel sacramento. Non penso che sia una scoperta dell’attuale papa l’aver capito che una stragrande maggioranza dei matrimoni celebrati in chiesa difetti della fede necessaria perché ci sia il sacramento. Ma questo che cosa significa? Forse che il matrimonio non sia valido? Intendo il matrimonio come unione d’amore tra due esseri umani, indipendentemente se sono credenti o non credenti. Senza la fede, l’amore è di per sé fasullo? Ma che cosa stiamo dicendo? Certo, la fede dà validità al sacramento della Chiesa, ma non per questo il matrimonio umano è nullo. Casomai il problema è un altro: che cosa s’intende per amore? I giovani d’oggi come intendono l’amore? Solo una infatuazione, o c’è qualcosa di più? E se l’amore finisce perché probabilmente l’amore era solo una infatuazione, come si può dire che quel matrimonio sia ancora valido?
Quando due giovani finalmente si vogliono bene, a che serve discutere se il primo matrimonio è ancora valido oppure no? Quando due giovani si vogliono veramente bene, il passato m’interessa relativamente. Gioisco per loro per il fatto che oggi si vogliono bene.
La fede, dunque, è indispensabile per ricevere il sacramento in chiesa. E sono d’accordo, ma non da ora, che numerosissimi matrimoni celebrati in chiesa non abbiano nulla a che fare con il sacramento. D’altronde, si preferirà sempre la chiesa, per tanti motivi, tra cui la maggiore suggestione del rito.
Entrando nella questione dei sacramenti (in particolare la Confessione e l’Eucaristia) da concedere o non concedere ai divorziati risposati o ai conviventi o a coloro che sono sposati solo civilmente, le cose si complicano, perché qui si entra nel campo specifico e autonomo della dottrina della Chiesa, la quale detta le sue norme. Lo può fare, se vuole.
Certo, i sacramenti sono legati alla fede, e senza la fede non è possibile ricevere i sacramenti. Ma la Chiesa stabilisce anche le norme perché si possa parlare di fede o di non fede. La fede cristiana richiede una certa condotta di vita, una morale più o meno rigida: una morale che, secondo la Chiesa, è insita nella stesso essere umano. E qui sobbalzo. Secondo la Chiesa, la morale che essa insegna e propone e impone è di diritto naturale. Come si può dire questo a priori, senza tener conto che, lungo i secoli, la Chiesa stessa ha cambiato tante norme, prima giudicate di diritto naturale? Ogni religione ha la sua morale, e non tutte vanno d’accordo sui valori cosiddetti etici.
Ripeto, la Chiesa ha il potere di stabilire le proprie norme a riguardo della recezione dei sacramenti. Faccia come crede. Ma non dica che queste norme coinvolgano lo stesso essere umano e i valori umani. Intendo dire: al di là di ogni religione, ciò che conta è l’essere umano, dove, se possiamo parlare di sacralità, non è certo da intendere nel senso di religiosità.
La religione non ha, dunque, il potere di stabilire che cosa sia o non sia l’amore umano, e perciò non può assolutamente stabilire che, se due giovani non si sposano in chiesa, non si amano sul serio e che il loro matrimonio civile non sia un vero matrimonio. Ciò che avviene in chiesa è un’altra cosa: un di più di tipo sacramentale o religioso. Anche il matrimonio civile è sacro, anche se non è religioso. 
da Vatican Insider
8/05/2014

«Ecco gli argomenti per la comunione

ai divorziati risposati»

Intervista di Kasper con «Commonweal»: «Il Papa mi ha detto di credere che il cinquanta per cento dei matrimoni non siano validi»
ANDREA TORNIELLI
CITTÀ DEL VATICANO
«Ci sono quelli che credono che la Chiesa è per i puri. Ci si dimentica che la Chiesa è una Chiesa di peccatori. Siamo tutti peccatori. E sono felice che sia così, perché se non lo fosse allora io non vi apparterrei. È una questione di umiltà… Ho l’impressione che questo sia molto importante per Papa Francesco. Non gli piace la gente che sta nella Chiesa solo per condannare gli altri». Sono parole del cardinale tedesco Walter Kasper, autore della relazione sui problemi della famiglia al concistoro dello scorso febbraio. Continua dunque la discussione su quello che si preannuncia come l’argomento più spinoso del Sinodo straordinario sulla famiglia in programma per il prossimo ottobre: i sacramenti per i divorziati che si sono risposati civilmente. Kasper ha risposto ad alcune delle obiezioni dei suoi critici con una lunga intervista sulla rivista americana «Commonweal».
Parlando della relazione tenuta al concistoro e della possibilità di riammettere ai sacramenti quei divorziati risposati che conducano una vita cristiana e abbiano compiuto un cammino penitenziale, Kasper ha detto: «Non riesco a pensare ad una situazione in cui un essere umano è caduto in un buco e non c’è via d’uscita. Spesso egli non può tornare al primo matrimonio. Se questo è possibile, ci dovrebbe essere una riconciliazione con la moglie o con il marito, ma spesso questo non è possibile».
«Nel Credo – ha aggiunto il porporato – diciamo di credere nel perdono dei peccati. Se ci fosse questa mancanza, e ci si è pentiti, l’assoluzione non è possibile? La mia domanda passa attraverso il sacramento della penitenza, attraverso il quale abbiamo accesso alla santa comunione. Ma la penitenza è la cosa più importante: il pentimento per ciò che è andato storto, e un nuovo orientamento di vita. La nuova quasi-famiglia o la nuova partnership devono essere solidi, e bisogna vivere in modo cristiano. Un tempo di nuovo orientamento – metanoia – sarebbe necessario. Non per punire le persone, ma per un nuovo orientamento di vita, perché il divorzio è sempre una tragedia».
Kasper si è quindi chiesto: «La mia domanda – non è una soluzione, ma un quesito – è questa: l’assoluzione non è possibile in questo caso? E se c’è l’assoluzione ci può essere poi anche la santa comunione? Ci sono molti argomenti della nostra tradizione cattolica che potrebbe consentire a questo modo di procedere».
Il cardinale ha quindi risposto a una domanda sull’insegnamento della Chiesa, che prescrive, ai divorziati risposati che vogliano ottenere l’assoluzione e la comunione, di astenersi dall’avere rapporti sessuali, vivendo dunque come «fratello e sorella». «Vivere insieme come fratello e sorella? Naturalmente ho grande rispetto per coloro che stanno facendo questo – ha detto Kasper – Ma è un atto eroico, e l’eroismo non è per il cristiano medio. E potrebbe anche creare nuove tensioni. L’adulterio non è solo il comportamento sessuale sbagliato. È lasciare una “Familiaris consortio”, una comunione, e per stabilirne una nuova. Ma normalmente ci sono anche i rapporti sessuali in una tale comunione, quindi non posso dire se vi sia un adulterio in corso. Quindi risponderei di sì, che l’assoluzione è possibile. Misericordia significa che Dio dà a tutti coloro che si convertono e si pentono una nuova possibilità».
«Vorrei dire – spiega ancora il porporato tedesco – che le persone devono fare ciò che è possibile nella loro situazione. Non siamo in grado, come esseri umani, di raggiungere sempre l’ideale, la cosa migliore. Dobbiamo fare il meglio possibile in una determinata situazione. Una posizione, questa, che sta tra il rigorismo e il lassismo. Il lassismo non è possibile, naturalmente, perché sarebbe contrario alla chiamata alla santità di Gesù. Ma anche il rigorismo non appartiene alla tradizione della Chiesa».
«Alfonso Maria de’ Liguori – spiega Kasper – era un rigorista all’inizio. Poi ha lavorato con la gente semplice a Napoli e ha scoperto che non è possibile essere rigoristi. Era un confessore». Il cardinale fa quindi un riferimento al cosiddetto «equiprobabilismo», tesi sorta sul terreno della casistica gesuitica e fatto proprio dal santo napoletano e dalla sua congregazione. Il principio fondamentale consiste nell’affermazione che una regola morale è realmente incerta – e dunque non vincolante – soltanto nel caso in cui le opinioni a essa favorevoli e quelle a essa contrarie siano egualmente fornite di un pari grado di probabilità.
«Sono molto d’accordo con questo. E, ovviamente, dato che Alfonso Maria de’ Liguori è il patrono della teologia morale, non siamo in cattiva compagnia se ci basiamo su di lui. Tommaso d’Aquino ha scritto sulla virtù della prudenza, che non contesta la regola comune, ma che va applicata al concreto e a una situazione spesso molto complessa. Quindi penso che ci siano argomenti della tradizione».
Kasper, dopo aver spiegato che la prima unione, l’unica sacramentalmente valida, deve essere davvero fallita senza più alcuna possibilità di recupero, ha quindi fatto un esempio della colpa nella quale incorrerebbe un coniuge lasciando la nuova unione civile, appunto «la rottura della seconda famiglia. Se ci sono bambini, non si può fare. Se tu si sei impegnato con un nuovo partner, se hai dato la tua parola, non è possibile».
Quindi il cardinale ha affrontato il tema della mancanza di fede al momento del matrimonio religioso. «Questo è un vero problema. Ho parlato con il Papa su questo, e mi ha detto di credere che il cinquanta per cento dei matrimoni non siano validi. Il matrimonio è un sacramento. Un sacramento presuppone la fede. E se la coppia desidera solo una cerimonia borghese in una chiesa perché è più bello, più romantico rispetto a una cerimonia civile, ci si deve chiedere se ci fosse la fede, e se sono state realmente accettate tutte le condizioni per la validità sacramentale del matrimonio» che sono l’unità degli sposi, l’esclusività del loro rapporto e la sua indissolubilità.
«Molti canonisti – ha continuato Kasper – mi dicono che oggi, nella nostra situazione pluralistica non possiamo presupporre che le coppie diano veramente il loro assenso a ciò che la Chiesa richiede. Spesso c’è anche l’ignoranza. Pertanto è necessario sottolineare e rafforzare la catechesi prematrimoniale. Spesso la si fa in un modo molto burocratico. Invece dobbiamo fare catechesi… Dobbiamo fare molto di più nella catechesi prematrimoniale perché non possiamo presupporre che quanti sono formalmente cristiani abbiano anche la fede. Non sarebbe realistico».
Kasper ha quindi risposto direttamente alle critiche che gli sono arrivate dall’arcivescovo di Bologna, il cardinale Carlo Caffarra, il quale aveva rivolto al confratello tedesco questa domanda: «Che cosa ne è del primo matrimonio?». «Il primo matrimonio è indissolubile – risponde Kasper – perché il matrimonio non è solo una promessa tra le due parti; è anche la promessa di Dio, e ciò che Dio fa è fatto per ogni tempo. Pertanto, il vincolo del matrimonio rimane. Naturalmente, i cristiani che lasciano il loro primo matrimonio hanno fallito. Questo è chiaro. Il problema è quando non c’è modo di uscire da una tale situazione. Se guardiamo all’azione di Dio nella storia della salvezza, vediamo che Dio dà al suo popolo una nuova possibilità. Questa è la misericordia. L’amore di Dio non si esaurisce perché un essere umano ha fallito, se si pente. Dio offre una nuova possibilità, senza annullare le esigenze della giustizia: Dio non giustifica il peccato. Ma giustifica il peccatore. Molti dei miei critici non capiscono questa distinzione. Pensano: così noi vogliamo giustificare il peccato. No, nessuno vuole questo. Ma Dio giustifica il peccatore che si converte. Questa distinzione appare già in Agostino».
«Non nego – spiega ancora il cardinale tedesco – che il vincolo del matrimonio rimanga. Ma i Padri della Chiesa avevano una splendida immagine: se c’è un naufragio, tu non ottieni una nuova nave per salvarti, ma ottieni una zattera che ti permetta di sopravvivere. Questa è la misericordia di Dio, il darci una zattera che ci permetta di sopravvivere. Questo è il mio approccio al problema. Io rispetto chi ha una posizione diversa, ma d’altra parte, bisogna guardare qual è la situazione concreta di oggi. Come possiamo aiutare le persone che lottano in queste situazioni? So che queste persone, spesso donne, sono molto impegnate nella vita parrocchiale; fanno tutto il possibile per i loro figli. Conosco una donna che preparava la figlia per la prima comunione. Il parroco ha detto che la ragazza può andare a ricevere la santa comunione, ma non la mamma. Ho parlato al Papa di questo, e lui ha detto: “No, questo è impossibile”».
Quanto alle seconde nozze celebrate solo civilmente, Kasper afferma: «Il secondo matrimonio, naturalmente, non è un matrimonio nel nostro senso cristiano. E io sarei contrario a celebrarlo in chiesa. Ma ci sono alcuni elementi del matrimonio. Vorrei paragonare questa situazione con il modo con cui la Chiesa cattolica vede altre Chiese. La Chiesa cattolica è la vera chiesa di Cristo, ma ci sono altre chiese che hanno elementi della vera Chiesa, e noi riconosciamo questi elementi. In modo simile, possiamo dire: il vero matrimonio è il matrimonio sacramentale; il secondo non è un matrimonio nello stesso senso, ma ci sono degli elementi di esso: i partner si prendono cura uno dell’altro, sono vincolati esclusivamente uno all’altro, c’è l’intenzione di permanere in questo vincolo, si prendono cura dei bambini, conducono una vita di preghiera, e così via. Non è la situazione migliore. È la migliore situazione possibile».
«In nessun modo – chiarisce Kasper nell’intervista – posso negare l’indissolubilità del matrimonio sacramentale. Sarebbe stupido. Dobbiamo farla rispettare, e aiutare le persone a capirla e a viverla. Questo è un compito per la Chiesa. Ma dobbiamo riconoscere che i cristiani possono fallire, e quindi dobbiamo aiutarli. A coloro che dicono: “Beh, sono in una situazione di peccato”, risponderei: Papa Benedetto XVI ha già detto che questi cattolici possono ricevere la comunione spirituale. Comunione spirituale significa essere unito con Cristo. Ma se io sono unito con Cristo, non posso essere in una situazione di peccato grave. Quindi, se possono ricevere la comunione spirituale, perché non posso ricevere anche la comunione sacramentale? Penso dunque che ci siano problemi anche nella posizione tradizionale, e Papa Benedetto ha riflettuto molto su questo: mi ha detto che queste persone devono avere mezzi di salvezza e di comunione spirituale. Ma la comunione spirituale va molto lontano: è essere uniti con Cristo. Perché queste persone dovrebbero essere escluse dall’altra comunione? Essere in comunione spirituale con Cristo significa che Dio ha perdonato questa persona. Così anche la Chiesa – conclude il cardinale – attraverso il sacramento del perdono, dovrebbe essere in grado di perdonare se Dio lo fa. Altrimenti c’è un’opposizione fra Dio e la Chiesa, e questo sarebbe un grande problema».

5 Commenti

  1. PietroM ha detto:

    La complessa casistica di cui la materia si occupa, dovrebbe includersi nella strategia della salvezza.
    Una coppia di cattolici divorziati non può essere considerata già condannata dalla chiesa: perdere delle anime è fare un favore alla controparte, un lusso. Ognuno ha il diritto alla speranza per la salvezza. L’Eucarestia è il suo alimento.
    Il divorzio è un trauma che sconvolge coniugi e, quando ci sono, anche figli; richiede una totale riorganizzazione della propria vita, sia sul piano pratico che umano e spirituale.
    Nel l’unione matrimoniale si diventa “una sola cosa”, ma le anime sono sempre due e, quindi la visione assume un carattere che riporta inevitabilmente all’individuo.
    Questa distinzione, a mio modesto parere, mi sembra fondamentale per dirimere diversi dubbi sul tema della salvezza.

  2. GIANNI ha detto:

    Mi domando: su molte questioni, perchè complicarle, quando già tutto è semplice e chiaro?
    Chi diviene sacerdote, poi magari vescovo…cardinale…
    ecc, purtroppo non sempre ha la stessa formazione, anche giuridica, sottolinerei sopratutto giuridica, di altri ecclesiastici, altrimenti sarebbero tutti consapevoli che determinate questioni sono già risolte ab origine.
    Il problema di fondo, per Kaspar, è come affrontare le conseguenze dell’indissolubilità di un matrimonio, ma non si sottolinea mai abbastanza (forse anche per ignorantia legis) che l’indissolibilità non va riferita, in quanto tale, al matrimonio celebrato in chiesa, bensì al matrimonio valido.
    In tutti gli ordinamenti giuridici esistono normative sulla nullità di determinati negozi, proprio a partire dal matrimonio.
    Non sempre quello che è celebrato è valido.
    Se, quindi, come argutamente osservato da Bergoglio, esiste una riserva mentale, che ben può estrinsecarsi, come dice il canone 1101, capoverso, ad esempio nel ricorrere al divorzio da parte anche solo di uno dei coniugi (chiaro segno di riserva mentale sull’indissolubilità del matrimonio stesso), per ciò stesso non esiste matrimonio.
    Quindi, per chi proprio volesse far rispettare tale principio, pur senza particolari mezzi economici, sarebbe agevole ricorrere ad uno degli avvocati canonisti che prestano talora anche gratuitamente i propri servizi, in particolare in materia rotale.
    Se problemi esistono, è perchè si pensa che ci sia un’eccessiva estensione del matrimonio canonico o concordatario che, invece, come argutamente osservato da papa Francesco, è probabilmente in molti casi affetto da nullità, molto di più di quanto si pensi.
    Ed il matrimonio che vincola, ad esempio nel senso di divieto di concedere l’eucaristia, è quello valido, non certo nullo.
    Affrontando, invece, il tema sotto un profilo filosofico, se uno era in una situazione di riserva mentale, tale da fargli celebrare il matrimonio, nella cui sacramentalità non ebbe a credere, dove sta il problema?
    Se tanto per costui era una semplice festa da celebrare, riserva aveva verso aspetti e natura sacramentale del medesimo, e coerententemente non dovrebbe dispiacersi se la chiesa gli impedisce qualcosa.
    Se tanto nella natura sacramentale dell’atto non credeva…
    Se poi proprio ci tenesse all’eucaristia, gli consiglierei di farsi dare qualche indirizzo di avvocato, come sopra indicato, e dovrebbe disfarsi di un matrimonio, comunque nullo, e tale dichiarato, in cui già prima non credeva.
    Anche se lo trovo incoerente: se uno non crede agli aspetti sacramentali del matrimonio, perchè invece farsi condizionare in materia eucaristica?

  3. Giuseppe ha detto:

    L’altro giorno parlavamo di “spettacolo”… ebbene ho l’impressione che il matrimonio in chiesa, spesso lo sia. Con questo non sto giudicando chi sceglie di farlo, e neanche affermando se sia giusto o sbagliato, ma semplicemente che chi sceglie di farlo sia più propenso a valorizzarne l’allestimento e il colpo d’occhio, piuttosto che per seguire una convinzione religiosa. Del resto è umanamente comprensibile che quello sarà ricordato come il giorno più bello della vita, abbia un contorno quanto più piacevole possibile. Riguardo a ciò che il matrimonio rappresenta nella nostra società, credo sia opportuno non dimenticare che la maggior parte delle volte si va a nozze in giovane età , perché l’intenzione è quella di costruire insieme un avvenire comune e una famiglia. Questo aspetto della giovane età, potrebbe però diventare un limite non da poco riguardo alla piena consapevolezza dei coniugi al momento della sua celebrazione, sul tipo di impegno -duraturo nel tempo- che essi assumono. Cerco di spiegarmi meglio, se ci riesco. I sentimenti e in genere i rapporti affettivi tra le persone non sono immutabili, ma soggetti ad alti e bassi e può capitare che ciò che era valido ieri non lo sia più oggi o domani. Spesso oltretutto possono variare, anche a prescindere dalla nostra volontà, perché si devono confrontare col passare del tempo, col mutamento delle condizioni di spirito e di vita, con le vicende personali di ciascuno e con situazioni o circostanze che non è possibile preventivare. Vorrei tanto non sbagliare, ma ho la netta impressione che l’espressione “per tutta la vita” sia alquanto azzardata, e molto più spesso di quanto si creda non risponda a verità. Non credo di dire una sciocchezza affermando che di solito l’amore umano non sia eterno, ma abbia piuttosto una durata limitata nel tempo, anche perché a volte viene scambiato “in piena buona fede” con qualcosa che amore non è. Va tenuto presente inoltre che un matrimonio potrebbe fallire solo perché uno dei coniugi decida di farla finita, in quel caso perché si dovrebbe penalizzare chi è stato lasciato, se volesse accostarsi ai sacramenti? Concluderei dicendo che chi si sposa, non può certo sapere con assoluta certezza se la spinta vigorosa che anima i suoi sentimenti sarà sempre così viva e appagante, ma certamente con la maturità e l’esperienza dovrebbe essere in grado di capire che la vita in comune oltre a mettere a nudo i difetti -magari anche fastidiosi- dell’altro, ci può consentire di apprezzare altri suoi aspetti che l’entusiasmo, la bellezza e l’incoscienza della gioventù faceva passare in secondo piano.

  4. don ha detto:

    Ci sarebbe anche da discutere su una certa prassi, nel dare la Comunione. Conosco persone divorziate senza propria colpa e risposate che hanno sincero amore per l’Eucaristia, una vera devozione eucaristica e non possono accostarsi a ricevere la Comunione. Mentre, nella Messa della notte di Natale persone, pur regolarmente coniugate, entrano casualmente in chiesa soltanto percHé è Natale e si usa così, e vanno alla comunione come a ricevere un dolce natalizio! Altro che “sapere e pensare” chi si va a ricevere! Eppure, in certi insegnamenti sembra che l’unica preoccupazione è che chi si accosta all’Eucaristia sia regolarmente sposato: mi sembra davvero un discorso banale. Spero che il Sinodo porti ad una revisione di questa prassi

    • giuseppe casiraghi ha detto:

      Mi scusi, lei pensa che tutti questi divorziati risposati che soffrono perché non possono fare la comunione abbiano fatto tutto il possibile per far riconoscere nullo il loro matrimonio da un tribunale ecclesiastico? Perché qui non c’é niente da discutere: é la procedura che un cattolico coerente deve seguire per regolarizzare la sua posizione in armonia con i suoi principi. Non si capisce perché uno voglia fare la Comunione se della coerenza non gliene frega niente. Semmai, la Chiesa dovrebbe intervenire perché la procedura di annullamento sia accessibile a tutti: lo stesso Bergoglio ha detto che non é tanto semplice seguire questa strada nei paesi in cui il tribunale ecclesiastico é distante centinaia di chilometri. Comunque mi ha lasciato perplesso il fatto che nell’intervista al cardinale Kasper non si sia fatto cenno alla prassi dell’annullamento se non di striscio, facendo intendere la questione del cinquanta per cento dei matrimoni non validi perché contratti senza piena coscienza. Però, non parlandone, continua a essere considerato un ‘oggetto misterioso’ o un’esclusiva di rampolli blasonati e sovrani da operetta.

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