C’è ben altro, oggi, nella diocesi milanese!

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di don Giorgio De Capitani
Anzitutto, mi piacerebbe entrare nella testa di Angelo Scola, e capire almeno qualcosa degli ingranaggi dei suoi schemi mentali. Per me sarà, comunque, difficile riuscirci, per il semplice fatto che, appena mi avvicino, sento qualcosa che mi ritrae. Ed è per questo che sono sempre in atteggiamento difensivo, quando ascolto le sue omelie o i suoi interventi.
Ultimamente ho letto l’intervista che Scola ha rilasciato al Quotidiano cattolico “Avvenire”, in cui il cardinale rispondeva a domande anche in riferimento all’Expo 2014, in particolare sui recenti fatti di corruzione. Mi ha particolarmente colpito la risposta secca dell’eminenza alla prima domanda degli intervistatori: “A vent’anni da Mani Pulite, si aspettava tutti questi episodi di corruzione e arresti legati all’Expo?”. “Tutto ciò, quando provato, è gravemente sconcertante e mortificante. Oltre alle responsabilità personali che la magistratura indaga, dobbiamo riconoscere – sul piano storico – la nostra scarsa educazione civica. Non dimentichiamo che la lotta urgente per la legalità riguarda ciascuno di noi, in ogni nostra azione”.
Un giorno o due giorni dopo l’apparizione dell’intervista su “Avvenire”, ecco la notizia-bomba: anche la curia veneziana, quando era patriarca Angelo Scola, avrebbe ricevuto dei soldi provenienti dalla intricata vicenda Mose.
Vera o non vera, vorrei che il cardinale chiarisse la vicenda. È evidente che, quando si ricevono dei contributi o delle sovvenzioni da parte di enti pubblici o privati, non si può sempre conoscere la loro provenienza. Ci si fida. Si pensa che i soldi siano onesti. D’altronde, se i contributi si rifiutassero a priori, quante organizzazioni o associazioni starebbero in piedi? Nessuna! I soldi ci vogliono. Senza soldi non si fa nulla. Questo lo sapevano anche i santi che, pur confidando nella divina provvidenza, non erano così ingenui da prendere la provvidenza come la lunga mano di Dio stesso che moltiplica i pani per i suoi figli poveri. Dio si serve della generosità dei ricchi per sfamare i poveri. Ma i ricchi come hanno fatto tanti soldi? Siccome li hanno fatti in modo disonesto, allora che li usino anche per opere buone! Ma… è lecito prendere i soldi, che sono il frutto di angherie o di sangue, e usarli per le opere caritative? Forse sì, forse no!
Se parto sempre dal principio che i soldi, in qualsiasi caso, servono a fare del bene, allora perché non ci auguriamo che i ricchi sfruttino ancor più i poveri, per poi chiedere a loro maggiori elargizioni per risanare le ferite dei poveri sfruttati?
La Chiesa, nelle sue strutture, è sempre stata sostenuta da grandi o da piccoli faccendieri. Noi li abbiamo sempre chiamati benefattori o mecenati. E ancora oggi li ringraziamo. Senza di loro la Chiesa sarebbe in mutande! E gli spedali? E le scuole? E le opere caritative? Forse nulla di tutto questo.
Non dimentichiamo poi che, tra le penitenze imposte ai grandi peccatori, c’era la richiesta di una offerta da donare alle opere della Chiesa. Cristo stesso aveva ottenuto da Zaccheo pentito la restituzione di ciò che aveva rubato imponendo al popolo tasse troppo esose, ma forse dimentichiamo che la restituzione quadruplicata faceva parte del sistema sociale di quei tempi. Cristo non ha fatto che restituire la coscienza al ladro Zaccheo. Il resto faceva parte della legge. Ma non penso che Cristo si sia tenuto una certa percentuale, e l’abbia messa nella cassa apostolica.
Perché noi preti siamo stati sempre accusati di essere amici dei ricchi? Le ragioni sono diverse, ma una tra le tante potrebbe essere questa: per sostenere le spese e le attività della parrocchia. Ma non è lo stesso ragionamento che fanno certi politici quando dicono che loro i soldi non li hanno tenuti per sé, ma per la causa del partito? Conosco sindaci che non si pongono tanti problemi di onestà quando si tratta di dare un certo sviluppo al loro paese. Che cos’è quella facilità con cui si danno permessi edilizi? Da una parte si rovina l’ambiente, ma si pensa che ciò sia indispensabile per dare servizi migliori al paese. Una contraddizione? Certo. Ma riesci tu a far ragionare certe amministrazioni che il bene comune non può essere frutto di queste vergognose contraddizioni?
Lo so che le cose s’intrecciano, e che non è facile con l’onestà amministrare un paese con tanti problemi da risolvere, così come non è facile da parte di un prete rinunciare a somme di denaro piovute dal cielo. Non è necessario avere collegamenti con qualche politico di Roma: basta andare a cena con qualche signorotto del paese.
E poi, forse qui entra il caso di Scola, perché si sostengono politici nelle elezioni amministrative o politiche? Non certo per ideologia, ma perché c’è quel “do ut des” che va al di là della propria fede religiosa o politica. Tutto, è chiaro, a fin di bene!
So di fare esempi un po’ discutibili, magari. Se mi trovo davanti un poveraccio che sta morendo di fame, non vado tanto per il sottile per aiutarlo. Se trovo per terra una moneta, non mi pongo il problema se la devo o no restituire. La uso. È un’emergenza. Quando parlo con i missionari che vivono nelle zone più povere del mondo, mi dicono che loro non si pongono tanti problemi sulla provenienza dei soldi. Anzi, sanno che spesso provengono da gente di malaffare. E li usano. È emergenza.
Ma, per le attività culturali o educative, come non porsi il problema della provenienza dei contributi? Non penso che si tratti di emergenze, ma talora e spesso di alternative per occupare spazi per evitare che, secondo certi cattolici fondamentalisti, gli enti pubblici facciano danni. È il caso di certi Movimenti integralisti ecclesiali, tra cui in particolare Comunione e liberazione, che ha creato ad hoc la Compagnia delle Opere che, in teoria, dovrebbe gestire attività socio-culturali e caritative, ma che, per mantenerle, ha dovuto buttarsi in politica, anche per creare quelle alleanze di potere onde portare a casa soldi e poi ancora soldi. Nell’Expo 2014, che Scola lo riconosca o non lo riconosca, c’è lo zampino di Cl, in quanto Cdo.
Non serve fare alti discorsi sul tema dell’Expo, mettendone sotto accusa l’anima tecnocratica. Ma la curia di Milano pensa al vero bene comune? Sì, perché Scola è Scola, e tutti sappiamo chi è, ma se può muoversi ancora è perché dietro c’è una pur misera troupe di esecutori e anche di ispiratori, che vorrebbero a tutti i costi tenere in piedi uno scheletro, che non si chiama solo Angelo Scola, ma una buona parte dell’intero apparato diocesano. E se si salva qualcosa, è ancora per quel buon senso ambrosiano che è sempre riuscito a tenere a galla una Diocesi alle prese con una gerarchia non sempre illuminata, e con una curia praticona e megalomane, immobile e autoritaria, tradizionalista e alla moda, benpensante ma per nulla pensante, maledettamente vecchia e maledettamente chiusa alla Profezia.  
da AVVENIRE

Scola: ma a Milano prevale il bene

Davide Parozzi e Lorenzo Rosoli
7 giugno 2014
«Nutrire il pianeta, energia per la vita». È un tema «popolare, genialmente scelto», quello dell’Expo 2015 di Milano. Da non lasciare ai tecnocrati. Né a corrotti e corruttori. Perciò serve un «grandissimo sforzo pedagogico» e di «amicizia civica» perché Milano, grazie all’Expo, possa «chiamare l’Italia e l’Europa» ad un «nuovo umanesimo». Muove fra cronaca e scenari lo sguardo dell’arcivescovo di Milano, cardinale Angelo Scola.
A vent’anni da Mani Pulite, si aspettava tutti questi episodi di corruzione e arresti legati all’Expo?
Tutto ciò, quando provato, è gravemente sconcertante e mortificante. Oltre alle responsabilità personali che la magistratura indaga, dobbiamo riconoscere – sul piano storico – la nostra scarsa educazione civica. Non dimentichiamo che la lotta urgente per la legalità riguarda ciascuno di noi, in ogni nostra azione.
Come reagire a questa situazione?
Anzitutto non riducendo Milano e l’Expo a questi gravi aspetti negativi. Ci sono molti imponenti fatti di bene che io tocco con mano, visitando le parrocchie o altri ambiti di vita della gente: penso all’enorme, capillare azione di condivisione del bisogno svolta da centinaia e centinaia di associazioni cristiane e laiche, o alla vitalità e all’intelligenza delle tante opere educative portate avanti nonostante le crescenti difficoltà. Non mancano affatto consistenti segnali che devono farci guardare al futuro di Milano con speranza. Occorre circondare il male da ogni parte con il bene per superarlo. Ma questo “assedio” deve diventare più visibile ed essere valorizzato.
L’Expo ha un tema affascinante e decisivo, «Nutrire il pianeta, energia per la vita», che lei ha affrontato nell’ultimo Discorso alla città per Sant’Ambrogio. Come farne emergere la cruciale importanza?
C’è un rischio grave per l’Expo: delegare ai tecnici e alla tecnoscienza l’interpretazione del tema. Una scelta che allontana il popolo e diventa un ostacolo per la crescita antropologica, sociale, ecologica dell’Italia e dell’Europa. Nutrire il pianeta, energia per la vita è un argomento che chiede un grande sforzo pedagogico. Come cercherà di fare la Santa Sede col padiglione realizzato in collaborazione con la Cei e la diocesi di Milano, dove, tra l’altro, vogliamo portare i più di 300mila ragazzi dei nostri oratori estivi. Tutti siamo chiamati a convergere in una amicizia civica per proporre una visione antropologica integrale, cui si connettono i temi dell’ecologia umana, dell’ecologia ambientale, della condivisione del cibo che implica una riflessione critica sul sistema economico e sulla finanza. Passasse almeno l’idea che la fame nel mondo non è una tragica fatalità, ma l’inaccettabile conseguenza di mancate scelte politiche… Di questo si occuperà Caritas Internationalis, presente all’Expo. Sarà l’occasione per rilanciare il tema della povertà affrontandolo secondo la visione integrale che papa Francesco ha evidenziato nella Evangelii gaudium.
Come trasmettere messaggi così alti?
Un aiuto, come ci dice il Papa, potrà venire dall’eloquenza dei gesti. Penso al Refettorio ambrosiano. Su iniziativa di alcuni chefs e uomini di cultura, si realizzerà in periferia una mensa da cento posti per i poveri, utilizzando le eccedenze alimentari dei padiglioni Expo. Un’esperienza che poi diverrà permanente.
Papa Francesco è stato invitato all’Expo…
Ed è importante che l’iniziativa sia venuta dai responsabili dell’esposizione. Il Papa può essere l’interprete autorevole di una proposta sul tema decisivo dell’alimentazione che vada oltre Milano per raggiungere tutta la famiglia umana.
L’Expo può aiutarci ad affrontare la crisi economica che ha colpito così duramente anche Milano e il Paese?
L’Expo è un fatto assai rilevante, ma è solo un mezzo. La questione di fondo resta la seguente: Milano vuol decidersi ad essere – finalmente – metropoli? Per questo ha bisogno di trovare l’anima per il suo futuro. Ha bisogno, cioè, di un fattore unificante, capace di generare quel nuovo umanesimo che è un’urgenza improcrastinabile anche per il Paese e per l’intera Europa – come dimostra l’antieuropeismo emerso con le ultime elezioni. Questo umanesimo va radicato, da un lato, nella domanda di senso dell’uomo d’oggi, dall’altro nella capacità di valorizzare quel molteplice – la varietà di culture, lingue, storie, religioni … – che l’Europa ha sempre dimostrato di saper custodire. Non dimentichiamo che tra qualche anno una grossa percentuale dei nostri giovani parlerà almeno tre lingue e si muoverà all’interno del continente, come noi a mala pena ci muovevamo all’interno della regione. Insomma, davanti all’Europa di oggi (ma forse si dovrebbe incominciare a parlare di Eurasia) sta la sfida del grande meticciamento in atto. Su tutto questo i cristiani, con la loro bimillenaria storia capace di fare unità valorizzando la pluriformità, hanno molto da dire. O, meglio, da narrare dentro un confronto appassionato.
Immigrazione e meticciato significano anche pluralismo religioso. A Milano, come in molte città italiane, quando si parla di aprire moschee, si alza la temperatura…
Il meticciato di culture e civiltà non è un fine da perseguire, ma un processo in atto. Non possiamo impedirlo, ma possiamo orientarlo. La paura è sempre cattiva consigliera: dobbiamo aiutarci tutti, con pazienza, perché chi arriva da noi, nella sua diversità, possa essere un fattore di ricchezza. Sulle moschee: non c’è vera libertà religiosa se non c’è libertà di culto. Ma non basta affermarla in astratto: bisogna partire dai bisogni reali delle comunità musulmane. Chiedendo a tutti il rispetto delle regole della convivenza democratica occidentale e, nel nostro Paese, il rispetto della tradizione cristiana e cattolica.
All’ultima assemblea della Cei, papa Francesco ha additato tre «luoghi» che non possiamo «disertare»: oltre all’immigrazione, la famiglia e i disoccupati. Quale “mandato” ha lasciato alla Chiesa di Milano l’Incontro mondiale delle famiglie del 2012 con Benedetto XVI?
Nell’attuale clima androgino, che riduce l’insuperabile differenza sessuale alla pura cultura del gender, l’impegno ad approfondire la riflessione sul «mistero nuziale» e la questione educativa, nella consapevolezza che il matrimonio e la famiglia sono il luogo che unifica le due differenze fondamentali: la differenza dei sessi e la differenza tra le generazioni.
Milano ha affrontato la sfida della disoccupazione col Fondo famiglia lavoro, voluto dal cardinale Tettamanzi e da lei rilanciato con una «fase due» orientata non solo all’assistenza ma anche alla promozione di nuove chances occupazionali. E ora?
Il lavoro sta cambiando in profondità: perciò serve una nuova cultura del lavoro. Ecco un’altra urgenza educativa. I cristiani, illuminati dalla dottrina sociale, possono e devono fare molto di più. Questo è un ambito di fondamentale importanza per i fedeli laici, che ha effetti decisivi anche sulla politica e sul rapporto fra produzione e finanza nella prospettiva di una finanza autenticamente etica. I cattolici milanesi sono portatori di una grande tradizione in proposito. Occorre rivivificarla.
Il prossimo 19 ottobre Paolo VI verrà beatificato: si tratta del terzo arcivescovo della Milano del ’900 – dopo Ferrari e Schuster – proclamato beato…
Un grande dono per la Chiesa ambrosiana, nei tempi nostri che – come ha espressamente ricordato l’Evangelii Nuntiandi – ascolta più volentieri i testimoni dei maestri, a meno che i maestri non siano anche testimoni. Paolo VI lo fu. Col suo straordinario insegnamento, la sua figura di profeta lucido rilevò, fin dagli anni ’30 – è un passo che ho citato nella mia omelia d’ingresso a Milano – una delle sfide del nostro tempo: l’assenza di Cristo dalla cultura contemporanea, la fede che non si fa più cultura. Anche a questo proposito, per i cristiani ambrosiani si apre un affascinante campo di lavoro.
dal sito Affariitaliani.it

“I soldi a Orsoni? Girati alla Curia”.

E il Consorzio votò Pd e non Brunetta

SCANDALO MOSE/ Prende corpo la pista giudiziaria sul sindaco Orsoni. “I 450 mila euro di Mazzacurati sono stati girati alla Curia”, sostengono i pm. “Al candidato sindaco serviva il voto cattolico”. Baita: “Visto l’appoggio di Scola a Orsoni abbiamo cambiato linea. All’inizio volevamo contattare Brunetta”. E spunta anche una mazzetta destinata a Tremonti…
Lunedì, 9 giugno 2014 – 08:36:00
Prende corpo la pista giudiziaria sul sindaco Orsoni. “I 450 mila euro di Mazzacurati sono stati girati alla Curia”, sostengono i pm. “Al candidato sindaco serviva il voto cattolico”. E così il consorzio cambiò campo prima delle elezioni. Baita: “Visto l’appoggio di Scola a Orsoni abbiamo cambiato linea e scaricammo Brunetta”. E spunta anche una mazzetta destinata a Tremonti…
La teoria degli investigatori pare prendere corpo: i fondi neri che Mazzacurati dice di aver elargito al sindaco di Venezia, Giorgio Orsoni, sarebbero poi stati dirottati alla Curia. Il motivo? Al candidato sindaco del Pd serviva conquistarsi il voto cattolico. I soldi in questione sono i 450 mila euro che l’allora presidente del Consorzio Venezia Nuova, operativo sugli appalti del Mose, dice di aver dato a Orsoni.
Il primo cittadino di Venezia nega qualsiasi addebito e racconta, dai domiciliari, di aver ricevuto solo i finanziamenti registrati, vale a dire 110 mila euro. Ma la testimonianza di Baita, allora a capo della Mantovani spa, va contro di lui. E’ proprio Baita a dare corpo al filone nato intorno ai finanziamenti girati alla chiesa cattolica veneziana.
L’ipotesi dei pm è che il denaro di Mazzacurati destinato a Orsoni sia finito poi a rimpinguare le casse della curia, che a quel punto avrebbe scelto di sostenere la sua candidatura a scapito di quella di Brunetta. Nel 2010, dicono gli inquirenti, Orsoni partiva nettamente sfavorito e per ribaltare la situazione aveva bisogno di una campagna aggressiva, con molto denaro a disposizione.
Baita racconta che all’inizio il consorzio era dell’idea, infatti, di avvicinare Brunetta. Poi il cambio di linea. “Quando abbiamo saputo che il Patriarcato aveva fatto una scelta di campo, quella di Orsoni, abbiamo cambiato linea”. E il sostegno del Patriarcato, secondo i pm, sarebbe stato ottenuto proprio con quel denaro.
E allora non ci si può scordare dell’elemento raccontato negli scorsi giorni, vale a dire quell’appunto, riportato qui sotto, con la lista dei pagamenti della coop Coveco, operante nel Consorzio Venezia Nuova, a uomini politici e, appunto, alla Curia. Centomila euro infatti sarebbero finiti nelle casse della Fondazione Marcianum, fondata dall’allora patriarca di Venezia Angelo Scola. Una Fondazione nel cui consiglio siedevano proprio Mazzacurati e Orsoni.
IL NOME DI TREMONTI – Nel frattempo nelle carte dell’inchiesta meriterebbe una citazione anche l’ex ministro dell’Economia Giulio Tremonti. Tremonti, che non risulta indagato, sarebbe stato il destinatario di una mazzetta da 500 mila euro, non si sa se poi finita altrove. E’ indagato invece il braccio destro di Tremonti, Marco Milanese.
da Il Fatto Quotidiano

Mose,

soldi della coop Coveco anche a fondazione Scola:

‘Regolari soci sostenitori’

La cooperativa di Venezia che gestiva gli appalti per la costruzione del sistema di acque mobili ha versato per due volte 100mila euro. L’istituzione: “Contributi contabilizzati, acquisiti in modo trasparente e finalizzati a scopi istituzionali”
di Alice D’Este | 10 giugno 2014
Non uno, ma due finanziamenti. Entrambi da 100 mila euro. Nel 2009 e nel 2010 la Co.ve.Co, coop di Venezia che gestiva gli appalti per la costruzione del Mose e coinvolta nello scandalo tangenti, ha versato soldi alla fondazione Marcianum, fondata dall’allora patriarca Angelo Scola. Nel pizzino sequestrato ad una dipendente è scritta la contabilità delle elargizioni della cooperativa fino al 2011 e a fianco di Davide Zoggia (ex presidente Pd) e Lia Sartori (ex europarlamentare di Forza Italia), c’è anche la fondazione.
“Si tratta”, specificano dalla dirigenza, “di contributi contabilizzati, acquisiti in modo trasparente e finalizzati esclusivamente a scopi istituzionali”. E nel dare spiegazioni, l’istituzione specifica che per due volte (non una sola volta come compariva nel foglio sequestrato) ha ricevuto i fondi, entrambi in qualità di «socio sostenitore». La volontà è quella di chiarire che, in quei finanziamenti, non ci sarebbe nulla di illegittimo.
Co.Ve.Co, impresa che fa parte dell’Ati di Mantovani, avrebbe fatto richiesta formale di adesione in qualità di socio sostenitore alla Fondazione Marcianum il 3 ottobre 2008, divenendone poi parte integrante con una decisione ratificata dal Consiglio della Fondazione in data 5 giugno 2009. E infatti i due finanziamenti di 100 sono posteriori. «Ha contribuito come da previsione statutaria per 100mila euro nel 2009 e per 100mila nel 2010 – spiegano dalla Fondazione- il tutto è debitamente registrato nei libri contabili della Fondazione». La fondazione, fondata dall’allora Patriarca Angelo Scola, oggi arcivescovo di Milano, vede tra i soci fondatori il Consorzio Venezia Nuova, e tra i soci sostenitori la Mantovani. In Cda, invece, tra i consiglieri figura lo stesso Giorgio Orsoni, e come amministratore delegato c’è Marco Agostini, direttore generale del Comune.
«Nella propria gestione la Fondazione, in coerenza con il profilo dei propri soci e dei propri organi, si è sempre attenuta a rigorosi principi di correttezza e trasparenza – scrive la Fondazione – tutti i contributi sono sempre stati regolarmente contabilizzati, acquisiti in modo trasparente sulla base di disposizioni degli enti erogatori e dei competenti organi della Fondazione, tutte le spese sono state finalizzate esclusivamente al perseguimento dei propri scopi istituzionali. Il fatto che la Fondazione Marcianum sia stata impropriamente chiamata in causa nell’ambito dell’inchiesta sugli appalti per il Mose impone la scontata precisazione che nessuna utilità è stata riversata a terzi al di fuori delle attività proprie». Ma in passato alcuni finanziamenti avevano già fatto discutere, a partire da quello di Giancarlo Galan, che fece rinascere la fondazione nel 2004 con 50 milioni per ristrutturare il seminario patriarcale della salute. Un finanziamento che ha consentito (come si legge sul sito della Regione Veneto) di restaurare anche i marmi della facciata settentrionale della Basilica di San Marco, e la realizzazione del polo culturale alla Salute.

 

3 Commenti

  1. Edoardo ha detto:

    Non vedo il problema. Se i soldi venissero dati regolarmente tramite bonifici bancari e chi li riceve li contabilizzasse regolarmente in un bilancio aperto a tutti, allora io penso che il problema della corruzione si ridimensionerebbe.

  2. GIANNI ha detto:

    E’ vero, i soldi sono necessari.
    Ma credo che quanto meno enti ed associazioni dovrebbero attenersi a principi di controllo più rigidi.
    Certo, pecunia non olet, ma questo principio non può valere come alibi.
    E, se è vero che talora la conoscenza dei soldi non si conosce, altre volte ho l’impressione che si faccia solo finta di non vedere e conoscere certi fatti.
    Come si dice, una mano lava l’altra….

  3. pierluigi ha detto:

    Il ragionamento di Don Giorgio non fa una grinza. Purtroppo l’intermediario “denaro” è la origine di tutti i mali; se gli esseri umani avessero continuato con il baratto non esisterebbe tutta questa disonestà e, forse non si sarebbero verificate le crisi economiche.Quello invece che mi ha colpito sulle risposte del Cardinal Scola è la partecipazione alla beatificazione di Paolo VI, accomunato alla figura del Cardinal Ferrari che operò per il proprio gregge, e a quella del Cardinal Schuster che a mio parere fu un immobile o quasi, forse la partecipazione è data dall’assenso alla formazione di G S da parte di don Giussani?

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