La scuola dei nonni. Non funziona un mondo in cui dietro la lavagna vanno i prof
da www.huffingtonpost.it
09 Giugno 2025
La scuola dei nonni.
Non funziona un mondo in cui
dietro la lavagna vanno i prof
di Vittorio Coletti
La scuola inferiore è diventata più un centro d’accoglienza che di formazione. Ma la pedagogia iperprotettiva infragilisce i giovani. Senza tornare alle orecchie d’asino, bisogna insegnare agli alunni che se sbagliano è anche colpa loro
È certo che la maestra, che, esasperata per dover “correggere… correzioni”, ha mortificato il bambino con un giudizio troppo severo e indispettito, ha esagerato, dimostrando scarsa professionalità. Ma siamo sicuri che i genitori abbiano fatto il bene del figlio reagendo come hanno reagito, invocando, con il rendere pubblica la cosa, l’indignazione popolare a conforto del pargolo offeso? Intanto, per stigmatizzare pubblicamente l’errore della maestra, hanno pubblicizzato quelli del figlio, per cui neppure chi si scandalizza della reazione dell’insegnante potrà mettere in dubbio l’impreparazione dell’allievo. E poi hanno di fatto insegnato al bambino che non c’è tanto il problema dei suoi errori di grammatica, quanto quello del metodo della maestra, con un gesto oggi comunissimo ma alquanto discutibile, che mostra come delle proprie lacune o colpe la responsabilità principale ce l’abbiano sempre e soprattutto gli altri.
I genitori hanno accusato l’insegnante di metodi da “scuola dei nonni”, dandone la descrizione più vulgata (le bacchettate sulle dita) e implicitamente rifiutandone la pedagogia che esigeva prima di tutto la responsabilità personale dello studente e riconosceva solo ai docenti il pieno diritto/dovere del giudizio. Ovviamente, legioni di pedagogisti o aspiranti tali si sono affrettati a dare ragione agli affranti genitori; non sia mai tornino nella scuola moderna gli schiaffoni di un tempo. Ma qualche onesta riflessione sul confronto tra i risultati della scuola che mandava dietro la lavagna chi sbagliava e quelli della scuola in cui (a giudizio dei parenti degli allievi) sbagliano solo gli insegnanti, c’è qualcuno che accetta di farla?
Da anni mi chiedo perché, con tutta l’ansia di protezione pedagogica che ha fatto della scuola inferiore più un centro di accoglienza che di formazione; con tutti i dati delle ripetute verifiche delle abilità conseguite a ogni livello scolastico e universitario (Invalsi, Anvur ecc.), non si sia mai misurata fino in fondo la forte differenza tra la preparazione di un licenziato, di un diplomato, di un laureato non dirò dell’età dei nonni, basta quella dei padri, e quella del suo corrispettivo attuale. So bene che oggi anche l’ultimo della classe ha un’attrezzatura tecnologica e un accesso alle conoscenze che lo mettono molto avanti al suo omologo di trenta o cinquanta anni fa. Ma nessuno ignora che le competenze basilari (lingua materna, cultura generale, matematica) sono molto diminuite o ritardate negli studenti di oggi. Né è lecito ignorare che i giovani odierni, coccolati da una pedagogia iperprotettiva, sono più fragili o maturano più tardi dei loro genitori e nonni sottoposti nella prima età alla famigerata mortificazione dei rimproveri e delle punizioni.
Non si tratta ovviamente di tornare indietro, senza prendere atto della realtà sociale e culturale del nostro tempo, riesumando il banco dell’asino e rilanciando lo stigma della bocciatura in bel rilievo rosso nel tabellone dei risultati. Si tratta però di misurare anche profitti e danni di una pedagogia che evita ai figli ogni anche minimo disagio e umiliazione, imputando la colpa dell’errore, quando è impossibile non riconoscerlo, agli altri, ai maestri, alla scuola, allo stato.
La scuola, specie quella elementare e media inferiore, forma cittadini e fornisce conoscenze: educazione e istruzione. I due obiettivi non sono separabili, vivono nella concreta e complicata unità di un bambino, di un ragazzo. Oggi sono stati artificiosamente disgiunti e tarati sull’ideologia dominante: l’educazione non deve (come vorrebbe il suo significato) “guidare” ma assecondare l’alunno e l’istruzione non deve turbare la sua educazione protettiva e assolutoria. Per questo, se l’istruzione è carente, se ne deve addebitare la responsabilità a chi l’ha impartita e non a chi non ce l’ha fatta ad averne una sufficiente pur dopo anni di scuola. A giudizio andrà la maestra.
Ritenuto trascurabile l’errore nelle competenze richieste, assolto a priori l’allievo che ne commetta tanti, il livello di istruzione si abbassa, come mostrano i deludenti risultati di innumerevoli test e statistiche. Fossero almeno diventati più buoni e maturi i pargoli allevati con le dovute maniere psicopedagogiche vigenti, ci si potrebbe anche accontentare. Ma la cronaca insegna che le cose, purtroppo, non vanno troppo bene neppure dal lato della formazione e che i giovani di oggi sembrano spesso più fragili e immaturi dei loro simili dell’età dei nonni, i cui genitori non li difendevano mai dai troppo severi maestri.
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dal Corriere della Sera
6 giugno 2025
Il giudizio della maestra:
«Se continui così, per me puoi stare a casa».
I genitori: «No alla scuola dei nonni
con bacchettate alle mani e seduti sui ceci,
cambieremo istituto»
di Alice D’Este
Treviso, la protesta dei genitori di un bambino della quinta elementare: «Nostro figlio ha dovuto saltare la ricreazione, la maestra lo ha minacciato, niente recita di fine anno se fai errori». Il dirigente: «Pensavamo fosse tutto risolto»
Dopo cinque anni di elementari qualcosa si è rotto. L’insegnante di un alunno di quinta di una scuola primaria paritaria in provincia di Treviso di fronte ad un errore grammaticale è sbottata con una nota inviperita sul quaderno: «Sinceramente sono stufa di correggere innumerevoli verifiche scritte con i piedi, piene zeppe di errori ortografici gravi e di inesattezze. Se la tua idea è di continuare così, per me puoi stare a casa!» ha scritto l’insegnante. Apriti cielo. I genitori hanno contattato l’istituto il giorno stesso (l’episodio risale a lunedì 12 maggio) che li ha ricevuti la mattina successiva.
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