11 agosto 2024: XII DOPO PENTECOSTE
Ger 25,1-13; Rm 11,25-32; Mt 10,5b-15
Il primo brano è tolto dal libro di Geremia. Quando si parla di Geremia, dovremmo quasi inchinarci davanti a uno dei più grandi profeti dell’Antico Testamento: un profeta che, contro la sua volontà e la sua natura di uomo sensibile, è stato chiamato da Dio a svolgere una missione durissima, quella di essere il messaggero e il testimone della rovina di Gerusalemme e del regno davidico di Giuda, rovina che si è consumata nel 586 a.C. sotto l’incombere delle armate babilonesi. La vicenda personale del profeta è testimoniata da una specie di diario intimo, che gli studiosi amano chiamare “le Confessioni” di Geremia, distribuito nei capitoli dal decimo al ventesimo del suo libro, l’opera più lunga dell’Antico Testamento. Anche il fedele segretario Baruc lascerà in questo libro pagine biografiche sull’amara sorte del suo maestro, inviato dal Signore ad annunciare la fine a un popolo che si cullava nelle illusioni nazionalistiche, che praticava una religiosità arida, che era governato da sovrani indegni. Certi oracoli del profeta Geremia sono veementi, spesso rivelano la sua sofferenza e la contraddizione della sua missione, che è di giudizio e di condanna, mentre egli vorrebbe che fosse di conversione e di salvezza. Tra parentesi. Vedo in Geremia in parte la figura di Paolo VI (morto il 6 agosto 1978), predisposto nel suo animo ad aprire porte, ma costretto a chiuderle.
Soffermiamoci sul brano della Messa, che sono i primi tredici versetti del capitolo 25. Prestiamo attenzione ad alcune parole. Anzitutto, Dio chiama “mio servo” Nabucodònosor, re dei babilonesi, così come successivamente chiamerà “mio eletto” Ciro il Grande, re di Persia, nemico dei babilonesi.
A una prima lettura ci sembra qualcosa di strabiliante: sia Nabucodonosor sia Ciro il Grande, re pagani, che nemmeno conoscevano il Dio degli ebrei, vengono chiamati “servi” o “eletti”, ovvero scelti per una determinata missione divina, a loro sconosciuta. A Dio non importa che siano tra loro nemici, in quel momento “opportuno” diventano suoi servitori, in quanto eseguono, a loro insaputa, ordini per punire l’infedeltà del suo popolo.
I piani divini sono inconoscibili ma volgono sempre a favore della Storia di Dio, che è anche la vera storia dei figli di Dio. Se Dio chiama il tizio o il caio, anche miscredenti o atei o perfino suoi nemici, è per il servizio in favore di un disegno imperscrutabile, che è proprio di Dio.
Lo stesso diavolo, satana, il nemico per eccellenza di Dio potrebbe diventare, quando Dio lo volesse, servo o eletto di Dio. Il diavolo crea le più disparate e ingannevoli occasioni di male perché Dio tragga dal male un bene migliore. Sì, tutto è al servizio di Dio, anche il male, e lo è stato anche il covid, e lo è anche Putin, anche l’attuale governo israeliano: certo, sul momento, leggendo affrettatamente gli eventi storici, ci riesce difficile capire il misterioso disegno di Dio che sa sempre, notate sempre, trarre dal male un bene migliore.
Noi preti ci stiamo lamentando: il covid ci ha svuotate le chiese, e allora chiediamoci il perché se vogliamo ripartire togliendo tutto quel ciarpame che aveva spento l’agire dello Spirito santo. Sì, ciarpame, che ogni dizionario definisce: roba vecchia, robaccia, rifiuti, scarti, carabattole, cianfrusaglie, chincaglieria, paccottiglia. Potremmo fare gli stessi ragionamenti per quanto sta succedendo in questi ultimi tempi. Guerre in corso, violenze, dittature, fascismi, neofascismi, populismi d’ogni genere… Un’ottima diciamo provvidenziale occasione per riflettere, ma seriamente, anche radicalmente, per rifare le strutture senza ricadere nel solito difetto di inventare altre strutture come se la struttura in sé fosse il cuore del problema. La struttura dipende dal pensiero o dall’intelletto che, rimesso nella logica di Dio, cambia la struttura riportandola ad essere un mezzo, solo un mezzo. Altrimenti avremo strutture nuove, ma solo di facciata, prive dello Spirito divino.
E poi, non dovremmo temere il male quando viene alla luce perché si scoperchiano certe pentole o pentoloni dove c’era tutto un miscuglio di bene e di male, invece dovremmo temere quando tutto all’esterno sembra una bonaccia, ma il male è nel fondo dell’oceano, e nessuno se ne accorge. Eppure Cristo ci ha avvertito: “I figli di questo mondo sono più scaltri dei figli della luce”, come a dire che i figli delle tenebre non dormono né di giorno né di notte per progettare il male, mentre i figli della lice dormono di giorno e di notte.
E qui vorrei agganciarmi a una seconda parola, quando Dio per mezzo del profeta Geremia minaccia: «Farò cessare in mezzo a loro (gli ebrei ribelli) i canti di gioia e di allegria, il canto dello sposo e della sposa, il rumore della mola e il lume della lampada».
Anzitutto, nelle punizioni divine c’è sempre un riferimento ai privilegi o ai doni che Dio ha concesso al popolo in quanto eletto. Siccome hai tradito l’Alleanza, allora sarai punito, diventando schiavo, con la perdita della terra, del lavoro e della felicità. Sembrerebbe il massimo di una punizione. Ma c’è di più. Dio faceva mancare la sua parola, che diventava rara, rarissima. Era successo così al tempo del profeta Eli. Come a dire: Perché parlare, se poi il mio popolo non mi ascolta? Forse tacendo, il popolo capirà.
Ecco allora le minacce: “Farò cessare in mezzo a loro… il lume (o luce) della lampada”. Noi sappiamo dai Salmi che la lampada simboleggia la Parola di Dio. In particolare il Salmo 118 (o 119), che è il più lungo di tutto il salterio e anche uno tra i più belli, e che è stato probabilmente scritto poco prima della deportazione a Babilonia, è un inno anche poetico alla legge di Dio: legge che è la stessa parola di Dio. Ecco le parole più famose: “Lampada per i miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino”.
E allora, senza la lampada, che è la scintilla divina che è in noi, che può spegnarsi anche per la lontananza da Dio, come possiamo camminare sulle strade giuste?
Ma, ecco la domanda: Dio può lasciarci senza la luce della sua parola? Certo, non inviandoci più i suoi profeti. Quando i profeti vengono a mancare, manca la luce di Dio.
Ma la cosa paradossale è questa: quando Dio manda la sua luce, noi che facciamo? Teniamo chiusi gli occhi, e quando essa ci viene a mancare accendiamo le luci artificiali, che ci fanno vedere le cose in modo falso. E una ragione c’è perché non riusciamo più a vedere la realtà: ci aiuta il brano del Vangelo di oggi. Gesù manda i suoi discepoli per una prima esperienza missionaria tra la gente, ma solo restando in Palestina. Si parte dalla località, anzitutto. Qui si fanno le prime esperienze pastorali. Ma come Gesù li manda? Poveri di beni materiali, ricchi solo di gratuità. Basterebbero queste parole di Gesù: “Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date”, per capire il segreto efficace della nostra evangelizzazione. La luce è luce in sé, nella sua purezza, senza altro che la possa offuscare: ogni cosa in più offusca la luce, che esige di agire da sola, in quanto pura luce.
Se almeno tentassimo di togliere il di più dal nostro agire, come credenti potremmo portare il dono della luce al mondo intero: se la luce è gratuità, perché sporcarla con i nostri più o meno piccoli interessi? Una frase da mettere bene in grande sui nostri ambienti parrocchiali: “gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date”.
Commenti Recenti