Omelie 2022 di don Giorgio: SECONDA DOPO IL MARTIRIO DI S. GIOVANNI IL PRECURSORE

11 settembre 2022: SECONDA DOPO IL MARTIRIO DI S. GIOVANNI IL PRECURSORE
Is 5,1-7; Gal 2,15-20; Mt 21,28-32
Anzitutto vorrei dire una cosa, ovvero che i tre brani della Messa sono di tre generi letterari diversi: nel primo, più che una poesia, troviamo una provocante allegoria del profeta Isaia; nel secondo troviamo una riflessione teologica dell’apostolo Paolo; nel terzo una breve ma stimolante e sempre attuale parabola di Gesù.
Il primo brano qualcuno l’ha definito un canto d’amore del Signore per la vigna, ovvero per il popolo eletto.
«Ebbene c’è qualcuno, un amico, che conosce la storia dell’amore appassionato di Dio, di questo incantevole vignaiuolo, e lo canta quasi rapito, stupito. E così noi leggiamo parole tenerissime che cantano la bellezza di questa passione di Dio”» (così ha scritto don Angelo Casati).
Vediamo ora di fare ulteriori riflessioni.
Il termine “passione” riferito all’amore di Dio per il suo popolo e anche nei nostri riguardi ha bisogno di qualche specificazione.
Solitamente noi applichiamo a Dio termini nostri, il nostro linguaggio, i nostri sentimenti, anche i nostri pensieri, pur elevandoli al massimo, ma non sempre, come quando diciamo che il Signore si adira, si arrabbia, castiga, punisce.
Certo, è bello sentir dire o leggere che Dio ci ama infinitamente, ma anche il termine “amore” è stato così banalizzato che applicarlo a Dio può anche darci fastidio, anche se lo purifichiamo al massimo.
Io preferisco dire che Dio ci vuole Bene, perché vuole per noi il suo Bene, e filosofi antichi e mistici medievali parlavano di Dio, o meglio dicevano Divinità, come il Bene Assoluto, ovvero sciolto da ogni condizionamento.
Dovremmo anche tra di noi dire che ci vogliamo bene, ovvero, come nel caso dei mistici, vogliamo non il nostro bene che è sempre piccolo e gretto, ma ci vogliamo bene nel Bene divino. Forse sono riflessioni ancora lontane dalla mentalità di una società che ha fatto dell’amore una banalità tale da ridurlo tutto sul piano emotivo o carnale.
E vorrei dire di più. Usando pure il termine amore, dobbiamo dire che Dio non ama noi stessi, ma in noi stessi ama se stesso. Dio ama se stesso in noi. Se amasse noi stessi, che cosa amerebbe? Una ben misera cosa. Amando se stesso in noi, noi siamo trasformati dal suo amore. Ecco perché sarebbe meglio dire che Dio ci vuole Bene, nel senso che vuole non il nostro bene, che è misero, ma il suo bene, così che noi siamo elevati dal Bene Sommo, che è di Dio.
Come è più bello dirci: “ti voglio Bene”, e “non ti amo” che sa di così sdolcinato e carnale.
Ecco perché, quando parliamo di passione di Dio per l’uomo dobbiamo stare attenti. Dio per fortuna non ha i nostri stessi sentimenti, ma qualcosa di più, di oltre.
Leggere il primo brano della Messa richiederebbe pertanto una qualche dovuta purificazione dei termini usati. Certo, l’allegoria di per sé va oltre il senso letterale delle parole e dei gesti. L’immagine della vigna è bellissima, ma tale da esigere di andare oltre l’immagine. La vigna è bella quando è fiorente, ma diventa drammatica quando viene distrutta. Ecco perché la vigna prima rappresenta la fedeltà del popolo eletto, e poi la sua infedeltà, rappresentata dalla vigna distrutta e abbandonata alla sterilità.
Risentiamo le parole di Dio, per bocca del suo profeta: «Mentre attendevo che producesse uva, essa ha prodotto acini acerbi? Ora voglio farvi conoscere ciò che sto per fare alla mia vigna: toglierò la sua siepe e si trasformerà in pascolo; demolirò il suo muro di cinta e verrà calpestata. La renderò un deserto, non sarà potata né vangata e vi cresceranno rovi e pruni; alle nubi comanderò di non mandarvi la pioggia».
In queste parole leggo una attualità sconcertante. Improvvisamente (così sembra, in realtà tutto è stato preparato) si entra in una serie di emergenze da mettere in crisi anche la fede dei giusti. Tutto sembrava una bella vigna promettente, si viveva in pace, ed ecco una tempesta che distrugge tutto. Calamità cosiddette naturali, che però non del tutto naturali, e violenze di un potere omicida stanno mettendo a rischio la nostra sopravvivenza.
Risentiamo le parole del profeta di Dio: “Egli (Dio) si aspettava giustizia ed ecco spargimento di sangue, attendeva rettitudine ed ecco grida di oppressi».
Quando si leggono o si rileggono queste parole, come non sentir dentro una forte ribellione per quanto sta succedendo oggi?
Oggi l’11 settembre, una data da non dimenticare: ricordiamo gli attentati dell’11 settembre 2001, una serie di quattro attacchi suicidi coordinati compiuti contro obiettivi civili e militari degli Stati Uniti d’America da un gruppo di terroristi appartenenti all’organizzazione terroristica Al Qaida”.
Sembrava che tutto fosse finito, ma quest’anno assistiamo ad altri attentati alla democrazia da parte dell’impero russo, criminale e omicida. E la cosa è questa: in Italia soprattutto c’è questa perversione mentale prima di no vax, veri criminali, e ora putiniani, altri criminali. E così siamo entrati in un cerchio maledetto in cui il popolo è sedotto da una politica disfattista, ma populista: Berlusconi sta pensando di promettere a tutti gli italiani il pagamento delle spese per i loro prossimi funerali (la Destra al potere sta già preparando la tomba per un popolo che del resto se lo merita), ma Silvio si crede eterno.
“Egli (Dio) si aspettava giustizia ed ecco spargimento di sangue, attendeva rettitudine ed ecco grida di oppressi».
Mi sarebbe piaciuto anche commentare il brano del vangelo. La parabola dei due figli. Interessantissima. Sempre attuale. Anche nel nostro piccolo. Basterebbe porci qualche domanda. Guardare nelle nostre case, nei nostri paesi. Sul modo di comportarsi della gente e delle amministrazioni comunali, ma anche dei preti. Oggi c’è una mancanza di educazione: si scrive a una persona, e non risponde. Dicono di sì, e poi spariscono. Una mancanza di rispetto, la parola viene data e non è mantenuta. E così le relazioni umane e sociali si corrompono. È grave quando non si mantiene una promessa, tanto più se viene dall’alto. Non parlo solo del mondo politico, che è un disastro in fatto di promesse non mantenute. Si giura sull’impossibile, ma con inganno, e la gente viene continuamente tradita.
Io trovo grave questo comportamento, che è soprattutto di oggi e che si sta sempre più aumentando. Una volta non era così. Altri tempi. Bastava stringersi la mano. Oggi neppure firmando la garanzia si è sicuri che si mantenga la parola. Un imbroglio continuo. C’è troppa gente che dice di sì, e poi non mantiene la parola. Chi non è deluso? La parola è parola.

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