11 dicembre 2022: QUINTA DI AVVENTO
Mi 5,1; Ml 3,1-5a.6-7b; Gal 3,23-28; Gv 1,6-8.15-18
Oggi, quinta domenica di Avvento. Vorrei sempre rimarcare che il tempo passa veloce, e che ogni tempo è un momento di Grazia da attendere, accogliere e vivere.
Avvento, ogni avvento, è sempre un’attesa, una accoglienza, un voler realizzare ogni opportunità divina, secondo quella gradualità di ritmi che tengono conto della precarietà o debolezza innata alla natura umana, ma nello stesso tempo spingono a vincere quella indifferenza o sedentarismo di chi preferisce vivacchiare o farsi trascinare dalle emozioni del momento.
Chiarisco. Si è indifferenti e sedentari, anche quando si è in un frenetico movimento esteriore. Anzi, più si è in movimento frenetico fuori, più si è sedentari dentro. Ci si agita fuori, mentre lo spirito dorme. Vivacchiare, seguire l’onda del conformismo è un po’ la caratteristica della società di oggi: potrebbe sembrare strano, paradossale, ma è così: sembra che anche le emergenze non ci stimolino più di tanto a uscire da una certa apatia interiore, per cui, finita l’emergenza che ci ha sì scombussolato ma solo nel nostro usuale ritmo giornaliero, tutto torna come prima, anzi peggio di prima, perché ci si lascia di nuovo vincere non solo dal ritmo frenetico alla ricerca di quel falso benessere messo in pericolo dalla emergenza, ma anche dalla voglia di ricuperare le cose inutili perse provvidenzialmente nelle emergenze. Questa è la vera tragedia della società di oggi. Ad ogni perdita del superfluo imposto da una emergenza anche provvidenziale segue una folle rincorsa al superfluo perduto, finita l’emergenza.
In poche parole, la gente vuole sempre tornare alla vita normale, ritmata dalle voglie di piacere e dalla voglia di evadere in quel mondo che ci toglie dal nostro mondo interiore.
In fondo, la politica segue quest’onda, altrimenti non avrebbe il consenso popolare. Una politica perciò che, ottenuto il consenso del popolo, lo soddisfa nelle sue esigenze carnali.
“Tutto è Grazia”, è stato scritto. Grazia è anche una inopportunità umana che si fa opportunità divina.
Bellissime le parole che troviamo nel terzo brano: sono presenti nel Prologo al quarto Vangelo, un inno al Logos eterno che si fa carne umana. “Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto: grazia su grazia”. Si parla di pienezza del Logos eterno così sovrabbondante da donare a tutti, indistintamente, senza privilegi individuali, “grazia su grazia”, ovvero una grazia che non cessa mai di riempire il nostro essere.
Sono sincero: da quando, qualche anno fa, ho scoperto la grande Mistica medievale, la parola “grazia” mi affascina ogniqualvolta la sento pronunciare. Una parola così carica di Mistero, quello divino, che affascina proprio per quella Gratuità che è la qualità migliore di Dio, Sommo Bene, eternamente gratuito.
Ma grazia dice gentilezza, bellezza, delicatezza, leggerezza, ovvero tutto quanto può toccare il nostro essere senza essere ferito.
Dio, nel Figlio suo, ci dona “grazia su grazia”, perché possiamo esserne inondati fino all’infinito. Noi esseri precari ci conosciamo nella nostra ingratitudine, indifferenza, apatia, e perciò Dio non si stanca di sfiorarci, di accarezzarci, anche di stimolarci con le sue Grazie, che però non sono molteplici, ma si tratta sempre dell’unica Grazia, tanto semplice quanto innovativa.
La Grazia semina nel mondo e negli animi umani i suoi germi, che si sviluppano fino a crescere per renderci uni nell’Uno divino.
Vorrei citare alcune riflessioni, che lo storico Marco Vannini ha raccolto nel suo piccolo, ma preziosissimo opuscolo “Sulla grazia”.
«La grazia è quella luce, quella bellezza, quella dolcezza, quella pace, che giunge all’anima, quando si è rinunciato a se stessi, ovvero si è abbandonata la volontà: il voler essere, voler avere, voler sapere; il legame all’“io” e al ”mio”».
Altra riflessione: «La grazia è quella “mirabile forza”, che trasforma il finito nell’infinito, il relativo nell’assoluto, ovvero che dà ad ogni istante il carattere luminoso e gioioso dell’eterno, di un miracolo che ad ogni istante si ripete, tanto antico e sempre nuovo. “Mirabile forza”, perché agisce senza forza, ovvero senza costrizione, senza violenza, con semplicità e dolcezza, come una luce che su tutto si effonde e pervade di sé chi la accoglie, trasformandolo nella luce stessa».
Ed ecco un’altra perla, quasi un gioco di parole: «Gratia quia gratis datur: infatti la grazia è “senza perché”. Non giunge per qualche fine: non ha un fine estraneo e diverso dal suo essere stesso grazia, bellezza e dolcezza. Giunge senza alcun merito, viene per così dire dall’esterno, non come frutto di uno sforzo di volontà personale».
Ancora: «La grazia viene dall’alto, ma non come qualcosa di estraneo, bensì come qualcosa di interiore, profondamente nostro, e non perché il nostro implichi una appropriazione, un possesso personale: anzi, la grazia appare come l’universale, ove non è più l’”io” e il “mio”. E viene non come una sensazione da provare o un pensiero da un pensare, ma come un nuovo essere, uno sguardo nuovo sul mondo, sulle cose, su se stesso e su Dio: è una nuova vita, nuova da vivere».
Spiegando il versetto di San Paolo (1Cor 15,10): “Gratia Dei sum id quod sum” (“per grazia di Dio sono quello che sono”), Meister Eckhart afferma che per grazia di Dio io sono, ovvero senza grazia non sono affatto.
Per la grazia e nella grazia noi siamo nell’essere, ovvero in Dio, liberi infine dall’alienante “regione della dis-somiglianza”: espressione di Agostino (presa da Platone e da Plotino), con cui, nelle Confessioni, si pentiva di essersi smarrito sui sentieri della lontananza dalla somiglianza divina.
Si comprende allora il significato della grazia quale estremo sfuggire dell’anima a se stessa, al suo ego, in un “divino” distacco. La grazia di per sé non dà nulla, non aggiunge nulla, è qualcosa che toglie: libera l’anima da se stessa, in quanto la grazia uccide completamente l’ego, l’amor sui, l’appropriazione, ovvero quel voler impossessarsi di qualcosa, dire “questo è mio”.
Dopo aver tentato di dire qualcosa anche sulla Grazia, proprio della Grazia avremmo dovuto tenere quel silenzio che la stessa Mistica richiede, ogniqualvolta abbiamo a che fare con parole che già pronunciarle incute rispetto. Dire Grazia è dire Spirito santo, è dire Mistero trinitario, è dire Fede, è dire Intelletto, è dire Distacco. Ma ha qualcosa in più, forse. Il nome suscita Stupore, Meraviglia, e forse non basta neppure pensare al Bene Sommo, a meno che non ci lasciamo prendere da quella Sorgente, da cui scaturisce un fiume di Gocce divine, o da un Pozzo da cui fuoriescono scintille di Luce.
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