12 gennaio 2025: BATTESIMO DEL SIGNORE
Is 55,4-7; Ef 2,13-22; Lc 3,15-16.21-22
Non credo sia anche pastoralmente corretto prendere la festa di oggi come occasione per parlare del battesimo cristiano. Possiamo anche parlarne, ma indirettamente, ovvero dopo aver compreso il senso del Battesimo di Gesù. Allarghiamo allora la nostra visuale, riflettendo sui brani della Messa, che la Liturgia ci propone anche quest’anno.
Primo brano. Siamo all’invito finale della seconda parte del libro di Isaia: autore è un anonimo profeta che gli studiosi chiamano secondo Isaia.
Il brano scelto dalla Liturgia tralascia i primi tre versetti, che vorrei invece presentarveli. Eccoli: «O voi tutti che avete sete, venite alle acque; anche chi non ha denaro, venga! Comperate e mangiate, senza denaro e senza spesa, vino e latte. Perché spendete denaro per ciò che non è pane e vi affaticate per ciò che non vi sazia? Ascoltate e mangerete cose buone, gusterete cibi succulenti. Tendete l’orecchio e venite a me, ascoltate e vivrete. Stringerò con voi un’alleanza eterna, i benefici assicurati a Davide e mantenuti».
Il profeta, dunque rappresenta un banchetto che è per certi versi quello che la Sapienza aveva imbandito al centro di Gerusalemme (Proverbi 9,5-6). I cibi sono offerti gratuitamente e sono gli elementi fondamentali della vita (acqua e pane) e quelli dell’abbondanza e della festa (latte, vino e cibi succulenti). Il Signore vuole con questo banchetto generoso rinnovare quell’alleanza che aveva stipulato con Davide e la sua discendenza. È ora un’“alleanza eterna”, destinata a non infrangersi come era accaduto in passato. La nuova alleanza sarà aperta ad altri popoli che accorreranno ad essa per essere accolti sotto il suo manto.
Il brano di oggi è un invito a “cercare il Signore, mentre si fa trovare, a invocarlo, mentre è vicino”. Come non ricordare le parole di Sant’Agostino: “Temo il Signore che passa”?
Anche noi dovremmo pregare: «E io, Signore, non voglio che tu passi senza che io me ne accorga. Non voglio che tu passi mentre in qualche modo sfuggo il colloquio che Tu vuoi avere con me. Non voglio che tu passi mentre ricerco il benessere e la felicità presente. Non voglio che Tu passi mentre dimentico la povertà, il dolore, la fatica di coloro che vivono con me. Non voglio guardare dall’altra parte, mentre Tu mi passi vicino. Aiutami, o Dio, a vederti e riscoprirti, a guardarti ed ascoltarti, ad incamminarmi con te e a seguirti, ma soprattutto, aiutami a riconoscerti. Troppo spesso e troppa superficialità nel mio cuore impedisce di riconoscere il Tuo volto, la Tua mano e la Tua presenza. L’odio, la violenza, la sopraffazione di un mondo corrotto e allo sfascio, mi suggeriscono vie che non sono le Tue e strade che Tu non percorri. Aiutami a riconoscerle: la via della fede, piena del dubbio e incertezza; quella della speranza, piena di gente nello scoraggiamento e nello smarrimento; quella della carità, piena di gente nel dolore e nella necessità. Indicami le tue strade, Signore, da percorrere non da solo, mai da solo, ma con Te e con i miei compagni di viaggio».
Nella parte finale del capitolo 55 troviamo una profonda riflessione sul mistero di Dio e sulla sua prossimità. Verrebbe da dire, come Margherita Porete, ritenuta eretica dalla Chiesa istituzionale che l’ha condannata al rogo, era il 1° giugno 1310, nel cuore di Parigi. Nel suo capolavoro anche dal punto di vista letterario, Specchio delle anime semplici, troviamo questa espressione: Dio vicino/lontano. Come a dire: Dio è oltre il cielo e dentro tutte le creature, alto e più intimo di me stesso.
Secondo l’anonimo profeta, dunque, Dio rimane il Signore glorioso e trascendente che non può essere giudicato secondo i nostri piccoli schemi e le nostre vie. Nei versetti 8 e 9, leggiamo: «Infatti i miei pensieri non sono i vostri pensieri, né le vostre vie sono le mie vie, dice il Signore. Come i cieli sono alti al di sopra della terra, così sono le mie vie più alte delle vostre vie, e i miei pensieri più alti dei vostri pensieri».
Qui, ogni religione ha le sue grosse colpe: ridurre Dio ad essere un idolo manufatto, in funzione della stessa religione. Il Mistero di Dio è al di sopra di ogni religione: non si fa legare dalla religione (etimologicamente la parola “religione” significa “legame”). Dobbiamo distaccarci da ogni immagine che ci facciamo di Dio. Non possiamo dire che Dio è “nostro”. E ogni religione fa “suo” un certo dio. D’altro lato, la parola di Dio è come una pioggia che penetra nella terra screpolata per l’aridità e la fa rifiorire in modo rigoglioso così che dia vita anche all’uomo. L’efficacia della parola divina, che entra e trasforma la storia, ha la sua manifestazione proprio nell’esodo che, come dice il profeta, Israele sta ora per compiere, abbandonando Babilonia per recarsi nella terra dei padri a ricostruire Gerusalemme. Il profeta immagina che la marcia degli esuli attraverso il deserto, riedizione di quella del primo esodo in mezzo al Mar Rosso, avvenga in una natura rigenerata e festosa. Sarà un segno indimenticabile del Bene Sommo che Dio vuole al suo popolo, e al nuovo popolo che è l’umanità.
Come dicevo all’inizio, parliamo pure anche del battesimo cristiano, che è il primo dei sette istituiti da Cristo stesso, come dice la Chiesa. Ma dobbiamo inserirlo nel contesto biblico. E qui il discorso si farebbe lungo. Dovremmo parlare di un esilio di schiavitù, di un cammino di rientro a casa, di un passaggio attraverso una purificazione, a meno di non ritenere il battesimo come un semplice rito di appartenenza a una chiesa istituzionale, ma non credo che questo fosse il pensiero originario di Cristo.
Del resto, basterebbe leggere attentamente il terzo brano della messa di oggi, quando lo stesso Giovanni Battista riconosce pubblicamente: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco».
Il battesimo con acqua di Giovanni era solo un rito penitenziale, in vista del pentimento dei peccati. Quello di Gesù sarà un vero battesimo, ma “in Spirito santo e fuoco”. Ci chiediamo: come sarà questo battesimo? In che senso impegnerà lo Spirito santo e che cosa comporterà la presenza del fuoco?
Non dimentichiamo che lo Spirito santo è sempre legato al fuoco, inteso nel suo aspetto purificatorio: i Mistici medievali parlerebbero di distacco da tutto ciò che è carnale.
E non dimentichiamo le parole di Gesù ai suoi discepoli: «Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso! Ho un battesimo nel quale sarò battezzato, e come sono angosciato finché non sia compiuto! Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione». Divisione significa distacco, separazione da tutto ciò che è carnale. Gesù è venuto per dividere il bene dal male, la giustizia dall’ingiustizia. Colui che è cristiano – non basta il rito del battesimo per dirci seguaci di Cristo – non ama la pace da intendere come un insieme di compromessi, di concordati, di negoziati: Cristo non ama quel facile pacifismo che dà ragione al prepotente pur di arrivare a un certo quieto vivere. Bene è bene, male è male. Gli equilibristi non fanno parte del nuovo regno di Dio.
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