
da www.huffingtonpost.it
11 Febbraio 2024
Milei già al mea culpa.
Il motosega bacia la pantofola
di quel “diavolo” del Papa
di Emiliano Guanella
Lo ha insultato e considerato un nemico. Diventato presidente ha capito che non si può permettere una guerra con “l’argentino più importante al mondo”, parole sue, con buona pace di Leo Messi. Non è l’unico caso di impietoso confronto del “motosega” con la realtà dei fatti
Niente di meglio della solennità del Vaticano per iniziare a costruire la pace tra il Pontefice venuto dal sud e il presidente argentino. Papa Francesco e Javier Milei hanno avuto un primo incontro in occasione della canonizzazione di “Mama Antula”, al secolo Maria Antonia de Paz y Figueroa, laica consacrata al servizio dei gesuiti nel diciannovesimo secolo ed attiva nella provincia di Santiago dell’Estero, che è diventata così la prima santa argentina.
L’incontro ufficiale tra i due sarà lunedì, il clima è disteso dopo le scintille durante la campagna elettorale che ha portato l’economista libertario e ultraliberista alla conquista della Casa Rosada. Milei non è un personaggio facile da decifrare, il suo stile dirompente è stato il motore della sua fulminea carriera politica, fino a sei mesi fa insultava ripetutamente Bergoglio e lo definiva “l’emissario del diavolo”, un nemico dichiarato, mentre tra i suoi collaboratori c’era chi invocava addirittura la rottura delle relazioni diplomatiche con la Santa Sede. Diventato presidente, però, ha capito che non si può permettere una guerra con “l’argentino più importante al mondo”, come lo ha chiamato, con buona pace di Lionel Andrés Messi.
Lo stesso ragionamento, in fondo, lo si può fare dall’altra parte. Il papa gesuita avrebbe voluto assistere al trionfo del peronista Sergio Massa ma si è dovuto rassegnare e sono iniziate così le manovre di avvicinamento. Ragion di Stato, ma anche la volontà personale di Francesco, anziano e cagionevole, di visitare dopo undici anni e probabilmente per l’ultima volta la sua amata Buenos Aires. Il papa gesuita sa che per realizzare questo viaggio bisogna per forza andare d’accordo con il presidente di turno.
Di pace, del resto, Milei ne ha davvero bisogno. Arriva a Roma dopo una tappa in Israele dove ha ribadito la sua assoluta sintonia con il governo di Benjamin Netanyahu; lo appoggia totalmente per quanto riguarda il conflitto a Gaza e ha già detto che intende spostare l’ambasciata argentina a Gerusalemme.
Ma mentre lui si trova a cavallo tra ebraismo e cristianità, a casa sua sta succedendo di tutto e non si può dire che le cose si stiano mettendo per il verso il giusto. La grande battaglia riguarda il progetto di riforma dello Stato mandata al vaglio del Parlamento. Non è un decreto qualsiasi ma una vera propria rivoluzione, che lo stesso Milei ha voluto pomposamente chiamare “Legge di base e partenza per la libertà degli argentini”. Il testo iniziale prevedeva più di 600 articoli che andavano a toccare praticamente tutto, dalle leggi sul lavoro alle pensioni, dal sistema fiscale all’organizzazione di ministeri, redditi di cittadinanza, dimensioni delle imprese pubbliche e dispostivi di controllo sull’attività economica e la concorrenza. Una vera proprio accetta privatizzatrice e liberista per ridurre lo Stato e rilanciare l’economia di un Paese praticamente fallito.
La montagna, però, ha partorito un topolino o poco più. Il partito di Milei è minoritario in Parlamento; per ottenere l’appoggio dei deputati di centro il megaprogetto è stato stralciato delle parti più polemiche, come la concessione di poteri speciali per tre anni al presidente o la riforma del sistema di imposte federali. Nonostante questo lavoro di sudata mediazione il testo è stato rispedito proprio questa settimana in commissione e ora si rischia che tutto crolli. Milei è andato su tutte le furie accusando alcuni politici di centro di essere traditori e delinquenti e minacciando il ricorso a misure straordinarie come la convocazione di un referendum per chiedere direttamente al popolo il placet alla sua maxi riforma.
Vive sulle corse, con la tentazione dell’uomo solo al comando e la consegna messianica del “make Argentina great again”, un po’ Trump, un po’ Savonarola, messianico e tumultuoso, quando i tempi indicherebbero cautela e mediazione. Mentre l’opposizione dei sindacati e dei diversi gruppi peronisti si fa sentire nelle piazze, nella testa del presidente scorrono immagini di complotti e rese dei conti ed ogni volta che prende in mano il cellulare per postare sui social i suoi collaboratori tremano. Gli argentini assistono un po’ attoniti all’ennesima guerra politica, chi ha votato Milei si divide tra l’alzata in armi e lo sbigottimento, perché un conto è liberarsi del consociativismo e della corruzione peronista e un altro è cambiare interamente un Paese che ha fatto del Welfare una sua storica bandiera per molti anni.
La visita a Roma potrà servire non solo per il disgelo con il Papa ma anche per sigillare un’alleanza con Giorgia Meloni; un passo importante perché si tratta delle premier di una nazione del G7 ma anche perché può servire come testa di ponte verso la destra sovranista europea in vista delle prossime elezioni europee. Con un debito estero impagabile, un’inflazione che galoppa al 20% al mese e il 40% delle famiglie povere Buenos Aires ha bisogno di nuovi partner. Senza stabilità è difficile catturare investimenti, ma oggi in pochi sono disposti a scommettere sulla ripresa di un Paese letteralmente alla frutta. Milei può andare alla guerra da solo o trasformarsi in un leader di consenso, anche da questo dipenderà l’esito della sua avventura. Nei palazzi romani, avvezzi da sempre alle trame più ardite, saprà forse trovare dei buoni consigli.
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da www.huffingtonpost.it
11 Febbraio 2024
Per loro non c’è “afuera!”.
Milei prova a convincere gli imprenditori italiani
di Andrea Pira

Il presidente argentino arriva in Italia accompagnato dai nomi grossi dell’industria nazionale. Nella delegazione tanta automotive. E mercoledì cena d’onore con i top manager italiani: dall’agribusiness all’energia
Lo sfondo sarà Villa Madama, il complesso cinquecentesco alle pendici di Monte Mario ,dove trascorse un periodo Margherita d’Austria, figlia dell’imperatore Carlo V e sposa prima di Alessandro de’ Medici e poi di Ottavio Farnese. Oggi è la sede di rappresentanza del ministero degli Esteri e della Presidenza del Consiglio. Lì, sotto la loggia progettata da Raffaello, il ministro Antonio Tajani e la premier Giorgia Meloni terranno una cena in onore del presidente dell’Argentina, Javier Milei. L’appuntamento è per mercoledì sera. Il capo di Stato argentino arriva ammantato da un misto di quasi venerazione e disprezzo. La differenza la fa la parte politica da cui lo si guarda. Per i critici è El Loco, il matto, eletto su un programma economico marcatamente liberista, che non ha fatto mancare posizioni revisioniste sulla dittatura dei generali degli anni Settanta del secolo scorso che ha chiamato i suoi cani Milton, Murray, Robert e Conan. I primi tre in onore ai pensatori ultra-libertari Friedman, Rothbard e Lucas. L’ultimo riferito a Conan il barbaro. Un populista che si dice abbia studiato lo stile comunicativo di Beppe Grillo e per i quale i socialismo è il male e si annida in molte tendenze della sinistra moderna.
In Italia è comunque riuscito a coinvolgere un ampio spettro di simpatizzanti. Il discorso tenuto da palco del World Economic Forum di Davos è diventato per loro un must. Martedì 6 febbraio ad esempio Confedilizia ha ospitato un convegno cui hanno preso parte il capogruppo di Fratelli d’Italia in Senato, Lucio Malan, il deputato di Forza Italia Alessandro Catteneo, Francesco Giubilei, già consigliere del ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano e sostenitore dall’ambiente culturale di destra. Fin qui tutto in regola. A parlare è stato invitato anche il deputato di Italia Viva, Luigi Marattin, già consigliere di Matteo Renzi a Palazzo Chigi e prima della scissione iscritto al Partito democratico, che pur non condividendo tutte le posizioni di Milei guarda soprattutto alla comunicazione elettorale dell’economista, riuscito a ottenere ovazioni popolari al grido di “non ci sono più soldi pubblici per voi”. Ampio parterre.
La cena d’onore a Villa Madama sarà l’occasione di parlare d’affari. Il controverso economista arriva nella penisola anche per presentare il vasto programma di liberalizzazioni, di lotta all’inflazione e di netta riduzione della spesa pubblica che lo ha portato alla Casa Rosada, lanciato al grido di “Afuera!” e brandendo una motosega, simbolo dei tagli da fare. Una manna per gli estimatori nel campo del centro-destra e del centro liberale, un babau dalle posizioni estremiste visto dalla sinistra.
Con lui, nella delegazione argentina, secondo quanto risulta ad HuffPost, viaggerà un ampio stuolo di imprenditori. Ben rappresentata sarà l’automotive. Tra i partecipanti saranno presenti Cristiano Ratazzi di Modena Auto Sport, Mauricio Canineo di Pirelli, Jones Doncel di Iveco, Martin Zuppi di Stellantis (società della holding Exor che controlla anche questo giornale). Assieme a loro Marcos Bulgheroni di Pan America Energy; Natalio Grisman della Camera di commercio argentina; Alejandro Elstein di Irsa, società attiva nell’immobiliare; il presidente della borsa di Buenos Aires, Adelmo Gabbi; Hugo Sigman, ceo della conglomerata Insud, che spazia dalla farmaceutica all’agribusiness, passando per il cinema.
Lato italiano si conoscono quanto meno i settori in cui operano gli ospiti: energia, agroindustria, edilizia e banche. L’attenzione sul Paese è alta. Secondo quanto riportata da Bloomberg, ad esempio, Enel intenderebbe scommettere sulla deregolamentazione promessa, tanto che, dopo l’incontro di gennaio tra Milei e l’ad Flavio Cattaneo, il gruppo dell’energia controllato dal Mef starebbe riconsiderando l’opzione di cedere la sua azienda di distribuzione dell’elettricità, Edesur.
Milei sarà in Italia da domenica 11 febbraio. presenzierà alla canonizzazione di Mama Antula, prima santa argentina, icona dei poveri e protettrice dei gesuiti. L’agenda è fitta. Lunedì sarà in udienza da papa Francesco, cui in passato non ha risparmiato invettive arrivando a definirlo “il rappresentante del maligno in terra” e successivamente incontrerà il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella e la premier Giorgia Meloni.
“Si tratta del primo incontro del presidente Milei con un leader europeo. È un segnale molto importante. Sia dell’Italia verso l’Argentina sia viceversa. Come tutti sanno in Argentina oltre il 50% della popolazione è di origine italiana. È un segnale politico ed economico. Non dobbiamo dimenticare gli importanti investimenti italiani nel Paese dove sta prendendo avvio un periodo di apertura economica che vedrà partecipi le aziende italiane”, spiega ad HuffPost il senatore Mario Alejandro Borghese, medico italo-argentino eletto nelle circoscrizione estera dell’America meridionale con il Movimento associativo italiani all’estero (Maie)
Con Milei, aggiunge, ci sarà una delegazione di imprese che assieme fanno il 70% del prodotto interno lordo argentino. “Sarà un’occasione di confronto con il mondo imprenditoriale italiano. Non soltanto con Confindustria, Cassa Depositi e Prestiti, Sace, Simest, Enel. La volontà è rilanciare il commercio tra i due Paesi. Nonostante gli stretti rapporti storici i due Paesi non sono partner commerciali importanti l’uno per l’altro e questo è un peccato”.
Sullo sfondo c’è l’ampio piano di privatizzazioni. Una lista di 41 aziende che potranno andare sul mercato. L’elenco comprende la compagnia aerea Aerolineas Argentinas, AySA (l’ente statale per la distribuzione idrica), la banca Nacion, la Casa de la Moneda, la compagnia petrolífera YPF, Ferrocarriles Argentinos, l’agenzia di stampa statale Telam, Correo argentino e Fabricaciones militares. Al momento il piano si è arenato sul mancato consenso sulle dismissioni e sulle questioni legate alla sicurezza. Il presidente ha scelto quindi di ritirare la legge cosiddetta Omnibus che includeva il pacchetto economico, di cui facevano parte anche interventi fiscali, deroghe e moratorie.
“L’Argentina è un sistema presidenziale, perciò il capo dello stato ha diversi modi per far passare i provvedimenti sia tramite decreto sia attraverso provvedimenti che devono passare per il Parlamento. Non appena Millei tornerà in Argentina valuterà quali proposte del decreto omnibus potranno essere attuate con suoi atti, dopo un confronto con le categorie, e quali dovranno passare attraverso i parlamentari”, aggiunge Borghese, “Non dobbiamo dimenticare che la discussione sui 350 articoli era già stata avviata. I primi quattro avevano anche già ricevuto il via libera. Le discussioni si sono impantanati sul quinto quello in tema di privatizzazioni, dove ancora non c’è accordo su cosa debba essere ceduto”.
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da www.repubblica.it
11 FEBBRAIO 2024
Da “imbecille”
a “l’argentino più importante della storia”:
Milei in Vaticano cerca il sostegno del Papa
di Iacopo Scaramuzzi

Il presidente ultraliberista saluta Bergoglio prima della canonizzazione della prima santa argentina e assiste alla celebrazione a San Pietro. In patria la contestata riforma sociale. Francesco ricorda che anche oggi i poveri sono emarginati e condanna le “lebbre dell’anima”
Parabole del potere. Javier Milei ha finalmente incontrato papa Francesco, che solo pochi mesi fa aveva definito “imbecille” e oggi considera “l’argentino più importante della storia”.
La santa degli scartati
Il presidente ultraliberista argentino ha partecipato nella basilica di San Pietro alla canonizzazione di “Mama Antula” presieduta dal Pontefice, la prima santa dell’Argentina, religiosa vicina agli ultimi della società. Seduto con le altre autorità in seconda fila, subito dietro il Papa, abbandonata la consueta giacca di pelle per un classico completo grigio con cravatta, Milei è stato accolto da strette di mano e richieste di un selfie. Prima dell’inizio della messa ha salutato Francesco nella sacrestia della basilica vaticana, lo incontrerà nuovamente domani mattina per un udienza ufficiale. A fine messa, prima di lasciare la basilica vaticana, Bergoglio si è avvicinato in sedia a rotelle al presidente argentino che lo ha abbracciato con slancio. In patria la sua draconiana riforma economica è contestata, Milei cerca una sponda in Jorge Mario Bergoglio.
“Imbecille”, “pifferaio magico”
Il loro rapporto a distanza, in passato, è stato a dir poco polemico. Durante la campagna elettorale Milei, “anarco-capitalista”, aveva apostrofato Bergoglio come un “gesuita che promuove il comunismo” accusandolo di essere il “rappresentante del Male nella Casa di Dio”, una “persona nefasta” o, più semplicemente, un “imbecille”. Francesco era sembrato rispondere, indirettamente, quando, intervistato dall’agenzia stampa argentina Telam a pochi giorni dal voto, aveva messo in guardia gli argentini dal seguire i “pifferai magici” e i “pagliacci del messianesimo”.
Scordiamoci il passato
Uno scambio di accuse rapidamente archiviato prima ancora che il presidente si insediasse nella Casa Rosada di Buenos Aires. Il Papa gli ha subito telefonato, facendogli “auguri di coraggio e saggezza”. Quello che si dice in campagna elettorale, ha chiosato Francesco, “cade da solo”. Ancor prima del voto Milei si era detto dispiaciuto degli insulti indirizzati al Papa, e nelle settimane successive all’elezione ha invitato Bergoglio a visitare l’Argentina. Ora è a Roma per parlargli faccia a faccia.
“Dialogo fruttuoso”
Francesco “è l’argentino più importante della storia”, ha dichiarato da Roma a Radio Mitre, “spero che avremo la possibilità che la salute di Sua Santità sia in condizioni che gli consentano di venire a visitare gli argentini”. Il presidente argentino è fiducioso che “avremo un dialogo molto fruttuoso, proprio come quello che abbiamo avuto al telefono”.
La riforma e la Chiesa
Al presidente argentino, alle prese con una manovra lacrime e sangue che rischia – è l’allarme di ampi settori della Chiesa argentina – di lasciare indietro i più poveri del paese, servirebbe un sostegno del Papa. “La nostra economia è in uno stato critico e devono essere adottate misure urgenti per evitare una catastrofe sociale con conseguenze dolorose”, scrisse nella lettera di invito inviata al Papa a inizio gennaio: “Nelle mie prime settimane di mandato ho provveduto a proporre una serie di misure governative volte a trasformare la situazione in cui versa la Repubblica Argentina da decenni. Siamo consapevoli che queste decisioni possono aggravare le disuguaglianze. Pertanto la nostra massima priorità è proteggere i nostri connazionali più vulnerabili, ringraziando la collaborazione della Chiesa cattolica, la cui azione in campo sociale è preziosa”. Una visita del Papa, in particolare, “porterà frutti di pacificazione e di fraternità tra tutti gli argentini, desiderosi di superare le nostre divisioni e i nostri scontri”.
Il fantasma di un viaggio
Papa Francesco, 87 anni, non ha ancora sciolto le riserve su un possibile rientro in patria. Vuole aprire un canale di dialogo con un uomo politico distante da lui sotto molti aspetti. Ma non manca di sottolineare la sua preoccupazione per la sorte dei poveri.
Le lebbre dell’anima
L’occasione è la figura di “Mama Antula”, María Antonia de Paz y Figueroa, la “gesuitessa” che ha voluto canonizzare oggi in San Pietro. E che, ha detto, “toccata da Gesù grazie agli esercizi spirituali, in un contesto di miseria materiale e morale, si è spesa in prima persona, tra mille difficoltà, perché tanti altri potessero vivere la sua stessa esperienza”. Nella sua omelia, Francesco ha commentato il brano del Vangelo nel quale Gesù tocca e guarisce un lebbroso, per parlare delle “lebbre dell’anima” che ci sono ancora oggi nel mondo. “Paura, pregiudizio e falsa religiosità: ecco tre cause di una grande ingiustizia, tre lebbre dell’anima che fanno soffrire un debole, scartandolo come un rifiuto”, ha scandito Bergoglio. “Fratelli, sorelle, non pensiamo che siano solo cose del passato. Quante persone sofferenti incontriamo sui marciapiedi delle nostre città! E quante paure, pregiudizi e incoerenze, pure tra chi crede e si professa cristiano, contribuiscono a ferirle ulteriormente! Anche nel nostro tempo c’è tanta emarginazione, ci sono barriere da abbattere, lebbre da curare”. Tra le preghiere dei fedeli durante la messa, l’invocazione a Dio, “amante della pace”, affiché “ispiri ai nostri governanti la saggezza del dialogo e la volontà di cooperare al bene comune, superando ciò che divide e ricercando ciò che unisce”.
Il virus dell’individualismo radicale
Non bisogna prendere le distanze dagli altri “per pensare a noi stessi”, ha insistito il Papa, ridurre il mondo “alle mura del nostro star bene”, credere che il problema “siano sempre e solo gli altri… In questi casi stiamo attenti – ha proseguito il Papa – perché la diagnosi è chiara, è lebbra dell’anima: malattia che ci rende insensibili all’amore, alla compassione, che ci distrugge attraverso le cancrene dell’egoismo, del preconcetto, dell’indifferenza e dell’intolleranza”. Concetti simili a quelli che aveva illustrato pochi giorni fa ricevendo un gruppo di pellegrini argentini giunti a Roma per la canonizzazione di Mama Antula, il cui servizio ai più bisognosi è tanto più attuale, ha detto, in mezzo a questa società che corre il rischio di dimenticare che “l’individualismo radicale è il virus più difficile da sconfiggere. Un virus che inganna. Ci fa credere che tutto consiste nel dare briglia sciolta alle proprie ambizioni. In questa beata troviamo un esempio e un’ispirazione che ravviva l’opzione per gli ultimi, per quelli che la società scarta e getta via”, ha detto ancora il Papa. Messaggio per la Chiesa universale, ma anche per il suo connazionale presidente ultraliberista.
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