Vittorio Arrigoni, a cinque anni dalla morte

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di don Giorgio De Capitani
Cinque anni fa, esattamente il 15 aprile 2011, a Gaza veniva barbaramente ucciso Vittorio Arrigoni, giovane bulciaghese, impegnato come volontario a difendere i diritti dei più oppressi. 
Ricordarlo è un dovere, ma come?
Le parole oramai sembrano sprecate, quasi annoiano tanto sono ripetitive e talora formali.
Ma la memoria del cuore è un’altra cosa: preferisce fare a meno di parole inutili, lasciando parlare invece i sentimenti profondi, che riemergono ogniqualvolta il nome di Vittorio viene pronunciato.
Lasciar parlare i sentimenti non è poi così difficile, se il cuore è sincero e c’è profonda empatia, ovvero quella compartecipazione interiore che tocca la realtà dello spirito.
Forse, si sta abusando delle parole con cui Vittorio, quasi una firma, concludeva i suoi scritti: “RESTIAMO UMANI”. Gli slogan possono anche servire, ma possono anche essere strumentalizzati e strumentalizzabili, a piacere. 
“Restiamo Umani”: che cosa significa? Anzitutto, ci tengo a precisare che l’aggettivo “Umani” è scritto con la U maiuscola, e questo già fa capire quanto Vittorio pensasse a qualcosa di elevato o, meglio, di così profondo, da scavare nell’animo umano.
Qui non è una questione di credere o non credere in un certo dio, ma in quell’Armonia spirituale, questo sì, dove non ci sono barriere o classificazioni o etichette o ideologie o razze o credenze religiose, perché il Tutto è Uno, e l’Uno è il Tutto, senza frammentazioni.
Solo nell’”essere Umani” ci si sente fratelli o, meglio, si “è” fratelli, anche se ci separiamo, ci odiamo e ci scanniamo. Qui sta il vero dramma dell’Umanità: un dramma che diventa un crimine, quando individui segregati diventano folle sterminate o anche solo un piccolo popolo che vorrebbe una propria terra, con la stessa dignità di chi è riuscito a ottenere diritti umani, magari con la forza.
Parliamo tanto di pace, e in questa parola ci mettiamo di tutto: quasi quasi è l’unica in grado di affratellare carnefici e vittime, guerrafondai e pacifisti di ogni risma. Ognuno ne dà un significato completamente diverso, ma ciò che importa è che si tratta di una parola che va bene per tutte le scarpe.
Ma la pace che cos’è, se non quell’Armonia interiore che ci unisce come esseri Umani? Pace non è solo un pezzo di terra conquistato col sangue, ma sentirci o, meglio, essere parti di un Tutto. Non si tratta, allora, di qualcosa solo di nostro: dire nostro richiama già il possesso, e il possesso rompe il Tutto in frammenti di un egoismo irrefrenabile. Nessuno si accontenta di ciò che ha, poco o tanto che sia. L’avere è qualcosa che separa: non solo ciò che si ha, ma anche ciò che si desidera. Sui desideri di possesso bisognerebbe aprire una lunga parentesi. Qui siamo tutti coinvolti, come politici, sindacalisti ed educatori. Il desiderio del possesso genera forse più stress e fa più male allo spirito del possesso reale. Educare alla essenzialità è più facile con i ricchi che con i poveri, non perché i poveri non hanno magari neppure l’essenziale per vivere, ma perché devono già capire che ogni loro conquista non deve andare oltre l’eccesso, quell’eccesso che crea egoismo e individualismo. Ultimamente ho fatto una scoperta: a caratteri cubitali sul frontone del tempio di Apollo a Delfi, c’era scritto «Conosci te stesso», ma anche l’invito alla moderazione, espresso nel motto: «nulla di eccessivo».  
Che significa, allora, “Restiamo Umani”?
Non lo chiedo a Vittorio Arrigoni, ma a me stesso, a ogni essere umano che, per diventare Umano, deve compiere un lungo cammino in profondità. Più scendo nella interiorità, più trasformo i diritti in doveri. Sì, perché a “restare Umani” è un dovere, e non un diritto a se stante: un dovere fondato sulla stessa realtà costitutiva del nostro essere. Da qui, dal nostro “dovere” di esseri umani nascono i diritti ad avere un pezzo di terra, la casa, la salute, il lavoro, la cultura, la libertà religiosa, ecc.
“Restiamo Umani” è un dovere di tutti, perché ciascuno possa avere il diritto ad essere Umano.
Non interessa tanto sapere quale fosse per Vittorio il senso delle sue parole. Importa a noi, oggi, leggere queste parole che ci ha lasciato in eredità nel loro significato più profondo, anche perché, questo è certo, Vittorio ne ha fatto la propria testimonianza di vita. Come si può testimoniare uno slogan solo come slogan? Come si può essere pronti a morire solo per uno slogan?
E allora diciamolo chiaramente: “Restiamo Umani”, se per Vittorio era l’invito pressante per tornare in quel fondo di Umanità dove poter star bene tutti nel senso più reale di un ben-essere universale, per noi che lo rimpiangiamo e lo ricordiamo non può essere solo uno slogan da mettere su magliette o un adesivo, ma un invito-impegno per non far cadere nel vuoto chi ha dato il proprio sangue, non per caso o in circostanze misteriose, ma con la consapevolezza che ogni giorno poteva essere il gesto supremo oblativo.   
  
 

 

3 Commenti

  1. Luigi ha detto:

    A ricordo di Vittorio Arrigoni vorrei far conoscere un breve scritto di Etty Hillesum datato 12 ottobre 1941 e dal titolo “Attraverso me stessa”. “Questo rende talvolta la vita così pesante, e non solo per me, naturalmente – davvero, io non scrivo perché mi trovo così eccessivamente interessante, o forse sì? Lo faccio perché solo attraverso me stessa posso capire gli altri. Questo lasciarti sommergere dai sogni, questo immergerti in te stessa, questa volontà di vivere e di sentire da dentro gli altri e il mondo, e di sentire in te stessa un infinito amore e una forza, grazie ai quali tutto può essere compreso.” Vittorio trovandosi in terra palestinese deve aver “sentito da dentro” quella terra di Palestina. Vittorio era di Bulciago. Non lontano a S. Maria Hoè un altro figlio della Brianza, Fausto Tentorio ha dato la sua vita per un altro popolo sconosciuto ai più : i manobo. Si trova nelle Filippine. Di Fausto Tentorio cito una sua frase che ho preso dalla copertina di un libro a suo nome: “I vostri sogni sono i miei sogni, le vostre battaglie per la libertà, sono le mie battaglie per la libertà, voi ed io siamo compagni nella costruzione del Regno di Dio (che oso tradurre -per un mondo migliore-)”. Che il sogno di Vittorio di una Palestina libera possa realizzarsi è il miglior ricordo che può “sentire da dentro” chi lo ha amato.

  2. Giuseppe ha detto:

    Mi associo al dolore e al ricordo. D’istinto mi vengono in mente altre persone, poco conosciute e di cui i massmedia non hanno parlato, o se l’ahnno fatto è stato solo a livello locale, che avevano la stessa visione della vita di Vittorio e come lui non si limitavano a parlarne, ma si davano da fare in prima persona. E che, purtroppo, ci sono venute a mancare troppo presto.

  3. GIANNI ha detto:

    Forse, sarò pessimista, e non vorrei essere frainteso, ma mi pare di rendermi conto che l’uomo, per come è oggi, dovrebbe essere superato nell’oltre uomo.
    Andare oltre l’umano, per difendere quel tanto o poco, più probabilmente poco, che di positivo, nell’uomo è rimasto.
    E sempre che sia rimasto……

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