Omelie 2022 di don Giorgio: SS. Trinità

12 giugno 2022: SS. Trinità
Gen 18,1-10a; 1Cor 12,2-6; Gv 14,21-26
Quando ogni anno la Liturgia ci presenta da celebrare una festa in onore della SS. Trinità mi verrebbe da sorridere, pensando come si possa celebrare una festa in onore di un Mistero che andrebbe invece contemplato in quella Fede che non ha bisogno di celebrazioni rituali, ma di una interiorità così profonda da lasciare spazio al Silenzio più passivo.
Come si può, dunque, celebrare con riti il Mistero trinitario? La stessa Chiesa all’inizio non è stata favorevole al culto pubblico della Ss. Trinità. Leggo infatti che la solennità dedicata alla SS. Trinità venne inserita tardi nell’Anno liturgico, solo a partire dal 1334 per volere di Giovanni XXII. Precedentemente c’erano sì Messe votive, non prima comunque dell’VIII secolo, ma erano come fatti privati, devozioni personali.
Certo, tutto è occasione per parlare e riflettere sul Mistero della nostra fede cristiana, tanto più che il Mistero trinitario è tipico, unico del Cristianesimo. Nell’Antico Testamento tutto era così monolitico che parlare di un mistero trinitario nel monoteismo più rigido sarebbe stato una bestemmia da condannare e punire con la morte.
Il Mistero trinitario è una tipica rivelazione di Cristo, e dunque una caratteristica originale del Cristianesimo. Cristo, in quanto Figlio di Dio incarnato, parlava spesso del Padre e parlava spesso dello Spirito. Cristo sarebbe del tutto incomprensibile, al di fuori del Mistero trinitario. Un Mistero, quello trinitario, che ha sempre fatto impazzire teologi e filosofi, tranne i Mistici che hanno saputo cogliere il cuore del Mistero nella sua semplicità e essenzialità, che è lo Spirito o Intelletto.
Per i Mistici medievali il Mistero trinitario non va spiegato, è un Mistero!, ma va contemplato nella Fede più pura, dunque senza celebrazioni rituali o feste o altro.
Cercare di capire il Mistero trinitario sarebbe come pretendere che tutto l’oceano stesse in una piccola ciotola o nel palmo della propria mano. Non dimentichiamo ciò che è capitato a San Agostino. È una leggenda, ma molto significativa. Si narra che un giorno, sant’Agostino in riva al mare meditava sul mistero della Trinità, volendolo comprendere con la forza della ragione. S’avvide allora di un bambino che con una conchiglia versava l’acqua del mare in una buca. Incuriosito dall’operazione ripetuta più e più volte, Agostino interrogò il bambino chiedendogli: «Che fai?». La risposta del fanciullo lo sorprese: «Voglio travasare il mare in questa mia buca». Sorridendo Sant’Agostino spiegò pazientemente l’impossibilità dell’intento ma, il bambino fattosi serio, replicò: «Anche a te è impossibile scandagliare con la piccolezza della tua mente l’immensità del Mistero trinitario». E detto questo sparì. L’attribuzione dell’episodio a Sant’Agostino reca la data 1263 e si fonda su una lettera apocrifa a Cirillo dove Agostino ricorda una rivelazione divina con queste parole: “Augustine, Augustine, quid quaeris ? Putasne brevi immittere vasculo mare totum?” Cioè: «Agostino, Agostino che cosa cerchi? Pensi forse di poter mettere tutto il mare nella tua nave?».
Vorrei sempre insistere. Gesù ha sì rivelato in un certo senso il Mistero trinitario, ma lo ha fatto alla luce dello Spirito, ovvero è nello Spirito santo che possiamo vivere di Fede il Mistero trinitario.
Noi parliamo solitamente di Dio Padre o semplicemente di Dio così come ce lo insegna la religione, e parliamo anche di Cristo, ma nella sua veste storica o carnale, ma difficilmente parliamo dello Spirito santo. Lo Spirito sfugge ad ogni presa istituzionale, per cui chi vive di Spirito è libero da ogni istituzione.
Anticamente avevano diviso la storia umana in tre ere: prima l’era del Padre, Antico Testamento, poi l’era del Figlio, Nuovo Testamento, e ora l’era dello Spirito santo. Sull’inizio dell’era dello Spirito ciascuno diceva la sua.
Credo che fosse sbagliato dividere la storia in tre ere separate, però dobbiamo anche riconoscere ciò che ha detto Gesù: Egli ci ha mandato, o, meglio, ci ha donato sulla Croce il suo stesso Spirito.
L’apostolo Paolo, nel secondo brano della Messa, dice: «Nessuno può dire: “Gesù è Signore!”, se non sotto l’azione dello Spirito Santo. Ovvero non possiamo invocare Gesù, se non nello Spirito santo. Non possiamo capire chi è Gesù, se non nello Spirito santo. Non possiamo invocare Dio in genere, se non nello Spirito.
E nessuno deve vantarsi di avere numerosi carismi, numerose doti, poiché, dice ancora san Paolo, “uno solo è il Signore”. Ogni carisma è in funzione dell’unità divina.
Quando parliamo di unità e di trinità divina, entriamo subito in crisi, o meglio la nostra ragione entra in crisi. Ci è più facile parlare di unità divina, o di monoteismo, ma quando parliamo di trinità, allora la ragione umana si auto-sospende.
Quanti tentativi di spiegare il Mistero trinitario! Lo dimostrano i libri scritti dai Padri della Chiesa sulla Trinità, tra cui quello famoso di sant’Agostino, e poi, che cosa chiariscono? Talora elucubrazioni mentali che lasciano il tempo che trovano.
Se già Dio in sé è un mistero ineffabile, indicibile, incomprensibile: immaginate se dovessimo pretendere di spiegare il Mistero trinitario.
Perché non lasciarci guidare dallo Spirito santo, il quale ci condurrà nel Mistero, senza che noi pretendiamo di comprenderlo?
Nel brano del Vangelo di oggi troviamo queste parole di Gesù: “Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto».
E c’è un’altra affermazione di Gesù: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui».
Chi tende al Bene Sommo, ecco che cosa significa amare Dio, sarà abitato da Dio, ovvero Dio dimorerà in lui. Dio dimora in noi, a noi spetta sapere che Dio dimora in noi, senza farci tante domande e senza porci tanti problemi.
Dio dimora in noi, non ci interessa sapere se come Padre o come Figlio o come Spirito santo, anche se in noi c’è lo spirito, è la realtà più profonda del nostro essere, ed è nello Spirito che noi ci uniamo a Dio.
In noi c’è la dimora di Dio, ma il nostro spirito deve essere puro, non contaminato dalle cose, perché lo Spirito richiede uno spazio tutto libero per lui.
Torna quel distacco di cui parlavano i grandi mistici medievali: amare Dio significa dare spazio a lui, senza sentimentalismi, senza opere, senza riti che tolgono a Dio tutta la sua libertà di prendere dimora in noi.

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