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Preti “nuovi”, o altri preti “novelli”?
di don Giorgio De Capitani
Prendo dal sito della Diocesi milanese (www.chiesadimilano.it) alcune notizie e riflessioni che riguardano l’ordinazione, di sabato 11 giugno 2022, di ventidue sacerdoti.
«Hanno un’età compresa tra i 24 e i 58 anni, alle spalle storie personali differenti. Tra loro ci sono ingegneri, infermieri, esperti in comunicazione, un veterinario, un idraulico, un insegnante di religione. Prima di entrare in Seminario, c’è chi ha sperimentato la vita monastica, chi ha lavorato al Consiglio regionale della Lombardia e chi nelle istituzioni, girando tra Milano, Roma, Strasburgo e Bruxelles. Accomunati dalla stessa vocazione, si avvicinano al ministero con gioia, consapevoli delle fatiche che nella Chiesa e nella società di oggi non mancheranno, ma fiduciosi nella promessa che Gesù rivolge ai suoi discepoli e ai cristiani di ogni tempo: “Io sono con voi”».
Don Enrico Castagna, l’attuale rettore del Seminario di Milano, in una intervista dice:
«C’è da sperare che il Seminario abbia offerto loro la possibilità di vivere buone esperienze di preghiera, di fraternità e di missione. Tuttavia non tutto può e deve essere previsto, la formazione continua nel ministero. Ciò che conta è che il seminarista, nel tempo della formazione, interiorizzi un buon metodo per imparare dalla vita, per rimanere sempre in una postura di docilità allo Spirito. Auguro ai nuovi presbiteri che continuino a essere umili, che non abbiano troppa fretta di rispondere a tutte le domande che verranno loro poste, che sempre si lascino accompagnare dalla Chiesa e, in essa, da qualche fratello più ricco di esperienza».
Ancora:
«… lamentarsi di ciò che non funziona non è molto spirituale. A questi presbiteri e alle nostre comunità sarà sempre più richiesto di andare oltre il “si è sempre fatto così”. Occorre intercettare i bisogni della gente di oggi, partire da essi, per ampliarli fino a raggiungere le più profonde domande di senso. È, per certi versi, quello che si è sempre fatto e che si fa». Ancora: «La nostra consolazione sta nella percezione che siamo un “noi” e che nella Chiesa abita il Signore Gesù, vero protagonista della missione. Il “noi” cui ci riferiamo è la comunità ricca di carismi che vanno riconosciuti e apprezzati, è il presbiterio la prima famiglia di un prete. In questo cammino comune ci si deve orientare verso la pratica buona della sinodalità e del discernimento condiviso. I novelli presbiteri sono chiamati a testimoniare questo stile e attendono di poterlo vedere e imparare nelle comunità cui saranno inviati».
Mi verrebbe d’intinto commentare che si tratta sempre di belle parole, anche scontate, ma per dire che cosa? Questo è il punto. E il punto dolens, quello che dovrebbe farci riflettere, tutti quanti, è questa Chiesa istituzionale che fa paura.
Quando don Enrico Castagna invita i preti novelli a farsi “accompagnare dalla Chiesa” e afferma che “nella Chiesa abita il Signore Gesù”, vorrei chiedergli: ma di quale Chiesa sta parlando? E sullo Spirito dice: «Il seminarista, nel tempo della formazione, interiorizzi un buon metodo per imparare dalla vita, per rimanere sempre in una postura di docilità allo Spirito».
Ho scritto articoli, ho fatto video per chiarire ciò che è la Chiesa istituzionale, la quale, proprio perché istituzionale o strutturale, soffoca lo Spirito, e allora la domanda sembra scontata: come i preti possono servire Cristo in una Chiesa che soffoca lo Spirito?
Per non dilungarmi, qualche domanda ai preti novelli.
A differenza dei miei tempi, in cui si entrava in seminario in prima media, voi avete avuto diverse esperienze, ma quale formazione umanistica, o meglio quale formazione “spirituale” avete ricevuto?
Certo, si impara camminando, “la formazione continua nel ministero”, dice don Enrico.
Il problema è il punto di partenza. Qual è la Sorgente da cui avete attinto, attingete e attingerete per svolgere “bene”, ovvero nel Bene Sommo, il vostro ministero pastorale, che, statene certi, vi sommergerà in un mondo talmente carnale da far paura, se non avrete un punto di appoggio, e questo punto di appoggio è il mondo del Divino, che è in voi?
Non aspettatevi un aiuto dalla Chiesa istituzionale, la quale farà di tutto per crearvi crisi su crisi, appena vi accorgerete che, rientrando in voi, il mondo dello Spirito geme perché neppure i credenti gli danno retta. I credenti, sì, ma anche i preti, anche i gerarchi della Chiesa istituzionale.
Nell’ultimo editoriale, dell’11 giugno, parlando ai barbari di oggi dicevo: “Credo nella Grazia, e nella sua potenza rivoluzionaria. La Grazia, mio Dio! Ma chi ci crede? Basterebbe una goccia, anche meno, e tutto il mondo cambierebbe in Meglio. Ci sarebbero meno ciechi, meno sordi e meno ottusi. Qualcuno lasciamolo, per lasciare alla Grazia la sua capacità infinita di rinnovare il mondo”.
Ma a voi preti novelli qualcuno ha parlato di Grazia? E di quale Grazia vi hanno parlato?
Pauroso! Siete ben attrezzati di mezzi umani, anche potenti, siete ricchi di diverse esperienze nel campo assistenziale, anche socio-politico, ma forse siete poveri di Grazia.
Pauroso!
Qui sta la tragedia di una Chiesa, universale e particolare, che voi siete chiamati a servire.
In che modo? Con gli stessi strumenti della chiesa istituzionale?
E la Grazia?
Vi chiedo: che cos’è per voi la Grazia?
Mi sembra un discorso poco attuale e usando un termine caro al papa, molto clericalista. Del tipo: spalleggiamoci, rifugiamoci nel nostro gruppo per affrontare il mondo. Mi verrebbe da dire un programma perfetto per una setta. Un’immagine evidente di chiusura e distacco verso il mondo. Noi siamo i presbiteri e voi i pecoroni. Questo è lo snobbismo che inculcano nella testa dei preti novelli. Eppure un prete dovrebbe trovare consolazione, stimolo, supporto ed esempio anche dalle tante famiglie e dai parrocchiani che hanno incontrato veramente Dio nella loro vita e, con tutti i limiti, provano a testimoniarlo. Diceva un prete amico in un’omelia, che preti e consacrati sono coloro che rischiano maggiormente di vivere nella presunzione di ritenersi già salvi. In virtù della loro ordinazione, del loro titolo…diventando quasi impermeabili alle parole del Vangelo. Seppur il presbiterio deve essere unito e sinodale (parola abusata in questi tempi ma che dopo i primi anni della Chiesa è praticamente scomparsa nei fatti) il presbitero deve essere nel mondo ma non del mondo. A contatto con la gente, edificato dalla gente, sostenuto e corretto. Che guida il popolo ma che si lascia anche guidare.
Condivido poco o niente delle priorità espresse dal rettore. Sembra che Venegono disti quanto Plutone dalla terra…e i risultati li abbiamo costantemente davanti agli occhi. Sul seminario dei tradizionalisti e degli orpelli evito di aggiungere ulteriori commenti….diventerei noioso. Speriamo bene…
Docilità allo (S)pirito = docile obbedienza alla (C)hiesa