da Il Corriere della Sera
Così Giorgio Ambrosoli diventò
l’«eroe borghese»
di PAOLO DI STEFANO
«Il signor Ambrosoli?». «Sì». «Mi scusi signor Ambrosoli». Poi quattro colpi di pistola al petto, sulla soglia di casa. Così l’11 luglio 1979 Giorgio Ambrosoli fu ucciso da un sicario mandato da Michele Sindona. Era il commissario liquidatore della Banca Privata Italiana, la banca del faccendiere, incarico ricevuto dal governatore della Banca d’Italia Guido Carli. Un crac da 400 miliardi di lire, un intreccio di affari e trame con in mezzo l’immancabile P2. Ambrosoli era il milanese esemplare, l’«eroe borghese», come da titolo del celebre libro che gli dedicò Corrado Stajano. La Rassegna lo ricorda così, con la recensione di Paolo Di Stefano alla riedizione del volume curata dal Corriere nel 2019.
Un eroe borghese di Corrado Stajano, uscito nel maggio 1991 nella collana degli Struzzi Einaudi, è il libro di un’epoca. Nel ricostruire la storia solitaria e tragica dell’avvocato Giorgio Ambrosoli, dà conto non solo di uno scandalo e di un mistero politico-finanziario, ma di un’intera epoca e del carattere di un Paese. Anche questa capacità di raccontare l’avventura di un uomo comune diventato suo malgrado un eroe ma di raccontarla dentro un contesto molto ampio, trasformando l’attualità in storia, spiega le ragioni del suo duraturo successo editoriale. Un eroe borghese è un’inchiesta la cui ricerca è durata pazientemente dal 1979 al 1991, in un decennio in cui Stajano ha scritto altri libri maturando dentro di sé anche questo. Un’inchiesta, però, nata come un classico. Pochi libri hanno questo pregio: perché le inchieste giornalistiche che pretendono di farsi letteratura non sono prive di sbavature stilistiche, puntando su una sorta di emotività hemingwayana e dunque sconfinando nel grottesco, nel manieristico e/o nell’autocelebrativo (via via dannunziano o pasoliniano). Il cosiddetto «giornalismo narrativo», emerso in Italia soprattutto grazie a Roberto Saviano, da pochi anni ha acquistato da noi dignità di letteratura, ma non bisogna dimenticare che Stajano, sin dall’esordio (Il sovversivo, 1975), è il suo rappresentante più serio e originale.
È un affresco nitidissimo, Un eroe borghese, fondato su elementi sicuri, una ricerca accanita e molto complicata dentro labirinti economici, numeri, bilanci, dettagli di ingegneria aziendale nell’impero bancario di Michele Sindona. Ed è un miracolo che un’indagine tanto delicata sia stata capace di produrre un vero e proprio romanzo, in cui si stagliano personaggi grandiosi nel bene e nel male. Senza sacrificare nulla della precisione necessaria a dipanare questo garbuglio (un «magma di illegalità»), Stajano riesce a dare un impianto romanzesco alla sua storia, con una ammirevole misura stilistica che è anche misura morale. Niente è inventato, qualcosa è forse immaginato: come alcuni dialoghi o alcuni ambienti, ma immaginato con estremo rigore. Certamente la facoltà di Giurisprudenza in cui studiò Ambrosoli negli anni Cinquanta è la stessa in cui si è laureato Stajano qualche anno prima. La Milano di Ambrosoli è una città «impolverata, ai margini della città pulsante», la stessa «città degli untori» che Stajano avrebbe narrato vent’anni dopo in un altro bellissimo libro. Di certo la serata dell’11 luglio 1979 in cui l’avvocato liquidatore fu assassinato viene narrata da Stajano sulla base di testimonianze orali raccolte da chi vi partecipò, ma per rendere le chiacchiere e l’atmosfera nella trattoria «Ai 3 Fratelli» ci vuole la forza empatica dello scrittore. Certamente le pennellate con cui viene rapidamente tratteggiato il protagonista («Alto, magro, un po’ stempiato, i baffetti, fa pensare a un attore americano degli anni Trenta») richiedono la sensibilità del grande ritrattista. Ma c’è anche la storia tutta italiana del maresciallo Silvio Novembre, alto magro, tutto «ossa e muscoli»: lo vediamo muoversi «con le sue scarpette a punta di finto camoscio e un cappottino che fa venir freddo a guardarlo». Ci sono i pensieri della moglie dell’avvocato, Annalori, allorché, mettendo a posto il tavolo Impero su cui Giorgio aveva lavorato, trova una sua lettera. Ci sono tutti i burattinai della «politica nera»: lugubri figuri osservati da vicinissimo.
Stajano è un maestro dell’osservazione e dell’ascolto, un maestro nella restituzione sulla pagina dei luoghi e dei tratti umani (fisici e psicologici). Senza essere nessuno di questi e restando inconfondibilmente se stesso, Stajano fa pensare per certi versi a Truman Capote o a Emmanuel Carrère (L’avversario), per altri a Ryszard Kapuscinski e a Rodolfo Walsh. Gran lettore di Gadda, Stajano è, come scrittore, il suo contrario: la sua prosa non si avvale di accensioni e tragicomiche commistioni espressionistiche per inseguire e mimare le contorsioni della realtà: utilizza il bisturi della ragione, nel suo pessimismo crede in una verità e fa di tutto per illuminarla denudandola o spolpandola. Il suo intento è di portare alla luce le zone oscure e la chiarezza argomentativa è lo strumento spietato del suo procedere.
Il titolo, ricorda l’autore, venne in extremis, quasi per caso, quando il libro era già in bozze in attesa di essere rispedito a Roberto Cerati, il direttore commerciale storico, l’amico di Stajano nella casa editrice di cui il giovane Corrado era stato consulente (e prima ancora amico e collaboratore di Vittorini). Chissà se era già stata scelta l’immagine rosso-fuoco dell’inferno di Bosch per la copertina più allegorica che si conosca. L’opposto della linda ma altrettanto impressionante copertina geometrica dell’edizione Saggiatore 2016: una fotografia astratta alla Mondrian dentro cui scivola verso il basso il profilo di Ambrosoli.
Niente di più efficace comunque di quel titolo dal fulmineo accostamento, nella sua ossimorica essenzialità. Può un borghese essere eroe? Può un eroe essere borghese? È in questo apparente paradosso che si riassume il temperamento e anche la biografia tragica di Ambrosoli, il conservatore anticomunista, il liberale vecchia maniera, il brusco testardo milanese fedele alla monarchia e paladino inflessibile della giustizia, refrattario a ogni tentativo di pressione dall’alto. Chi non ricorda il commento agghiacciante di Andreotti, l’uomo politico che aveva protetto Sindona, il quale nel 2010 in una puntata de «La storia siamo noi» sul perché Ambrosoli fu ucciso dichiarò: «Non voglio sostituirmi alla polizia e ai giudici, certo è che se l’andava cercando».
C’era il dibattito feroce sulla Guerra del Golfo e stava arrivando il ciclone di Mani pulite, nei mesi in cui uscì Un eroe borghese. La stagione degli anni di piombo era alle spalle ma non abbastanza da essere del tutto dimenticata: si preparavano mesi di scandali che avrebbero portato al crollo disonorevole della Prima Repubblica. Quel libro conteneva tante cose insieme, la memoria di un trauma passato, le avvisaglie dello sciagurato presente e del futuro immediato, il sentimento di una corruzione come eterna condanna. Forse anche per questo la presentazione milanese a Palazzo Dugnani, con Stefano Rodotà, raccolse una folla straripante.
Ambrosoli fu semplicemente, come avrebbe detto Stajano, «un uomo che si fece uccidere nel nome dell’onestà». Rimasto esposto — ininterrottamente dalla sua uscita fino a oggi — nelle vetrine della Libreria Hoepli a due passi dal Duomo, quasi come un promemoria ai milanesi, il libro di Stajano racconta una vertiginosa evidenza: in Italia bisogna essere eroi per stare dalla parte dell’onestà. Un eroe borghese è l’Odissea di un uomo onesto nel paese in cui gli onesti senza compromessi sono pazzi sconsiderati che vanno «a cercarsi» la morte.
Quell’intreccio fatale tra finanza e potere
Alla morte di Giorgio Ambrosoli (1979), che si intreccia con la storia italiana di quegli anni, all’inchiesta che ne seguì, alle pressioni ricevute da Ambrosoli nei periodi precedenti l’omicidio, anni dopo decide di dedicare un libro Corrado Stajano. Lo scrittore lavora circa un decennio al romanzo, che esce nel 1991 con il titolo Un eroe borghese. A quarant’anni dalla morte di Giorgio Ambrosoli il «Corriere» ripubblica il romanzo, nell’edizione uscita presso il Saggiatore, con prefazione di Cesare Garboli. Il libro — da cui nel 1995 è stato tratto un film diretto da Michele Placido con Fabrizio Bentivoglio nei panni di Ambrosoli — è in vendita dall’11 luglio al prezzo di euro 8,90 più il costo del quotidiano e rimarrà in edicola per un mese.
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