Riporto questo articolo, non tanto per dare una notizia di cronaca, che in ogni caso richiederebbe sempre una indagine più approfondita per conoscere meglio le cause di ceri interventi o di certe decisioni, ma vorrei approfittare della notizia per allargare il discorso, tanto più che ogni giorno leggiamo di conventi che si chiudono e si vendono e di chiese lasciate andare in totale deperimento, senza quei necessari gli interventi, che talora non costano tanto in soldi, quanto nella buona volontà di chi dovrebbe gestirle al meglio.
Non faccio esempi perché sarebbero numerosi, anche nei paesi a noi vicini, magari nella nostra stessa comunità in cui viviamo.
Ci si lamenta che più nessuno viene in chiesa, ed è più che giusto preoccuparci, e questo porta anche nel circolo vizioso di chiese che vengono chiuse, proprio perché non servono più, vuote come sono, pensando ai costi che comporterebbe tenerle aperte.
Da una parte si nota anche un certo fervore nel restaurare delle piccole chiese, antiche e di valore, per poi lasciarle chiuse al pubblico, una volta restaurate. Ma c’è di più. Se vengono aperte al pubblico in certe ricorrenze, lo si fa per motivi che non ritengo rispecchino la finalità di una luogo di culto.
Mi sta bene anche uno scopo culturale, ma non quando tutto poi finisce nel godersi una bella camminata, o solo per una curiosità di vedere qualcosa di nuovo e di bello.
Le chiese, se sono luoghi di culto, e così sono sorte, non vedo perché diventino occasioni di qualcosa di puramente esteriore.
Certo, ci sono chiese e chiese, e, se sono piccole, ridotte a qualche funzione mensile o addirittura annuale, allora bisogna riflettere più a lungo e vedere “come” tenerle aperte: ci sono chiese che potrebbero essere di stimolo per riflettere o per comunicare un messaggio di fede attraverso l’arte.
La gente ha bisogno di luoghi in cui pregare, e di luoghi in cui riflettere, e di luoghi in cui si lanciano messaggi del tipo mistico.
Sembra un compromesso, ma in caso di necessità se tener chiusa la chiesetta o aprirla al pubblico anche solo occasionalmente, tutto può diventare grazia, anche uno stimolo per uscire dalla banalità di questa esistenza che parla solo di avere e di godimenti.
Quando passo davanti a una chiesa chiusa, mi viene tristezza. Come passare davanti alla casa canonica, e vederla sempre chiusa.
Una chiesa deve sempre parlare, a modo suo. Se è aperta, entro e mi metto magari in ginocchio, e prego. So di chiese di Milano che sono chiuse dalle ore 12 alle 15; chi va al lavoro, proprio in quelle ore ha qualche momento di libertà, e vorrebbe trovare una chiesa aperta. Anche in caso di pioggia, perché no?, vedere un chiesa aperta potrebbe essere un riparo dalla pioggia, ma forse potrei trovare in quella chiesa aperta quell’acqua divina che disseta per la vita eterna.
Penso che vi siate accorti: oggi tutto è così banale e carnale che è difficile trovare un posticino, anche solo una piccola dove poter respirare qualcosa di buono e di bello.
Ci sono anche persone apparentemente rozze, che quando vedono qualcosa di quel Bello che suscita meraviglia, rimangono come colpiti, e escono con qualcosa dentro.
Chiudete le chiese, i conventi, i luoghi sacri, e la gente dove andrà? Al supermercato, nei negozi, dove si vende che cosa?
NOTABENE
Parliamo di conventi in vendita, ecc. ma vorrei fare una domanda: non sento più parlare della Villa S. Cuore a Triuggio, messa in vendita dalla Curia milanese. È stata venduta, finita nelle mani di qualche manager con in testa il chiodo fisso dell’affare, oppure tutto è ancora in sospeso? Fra poco, anche il Duomo sarà in vendita, perché oramai non serve più, perché il nostro “piccoletto” è riuscito a svuotarlo.
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dal Corriere della Sera
Milano, il convento di Sant’Angelo
chiuso dal 4 ottobre.
Un frate sfida i superiori:
«Non me ne vado, vogliono speculare»
di Giampiero Rossi
L’ultimo atto: mercatino d’addio e riduzione delle funzioni religiose. Previsto il trasferimento dei sei frati che vivono nella sede francescana in via della Moscova. La decisione contestata anche dai fedeli
L’ultimo atto sarà proprio la festa di San Francesco. Il 4 ottobre, dopo il tradizionale mercatino di beneficenza e la rituale benedizione degli animali, il convento di Sant’Angelo, in via Moscova, chiuderà i battenti. Le disposizioni ufficiali del ministro provinciale dei frati minori — contestate duramente dai fedeli — prevedono una sola messa nei giorni feriali (alle 8) e due alla domenica (11.30 e 19), alcune delle attività solidali e culturali continueranno grazie all’impegno dei laici, il sacrestano rimane al suo posto ma i sei frati che attualmente abitano nel convento dovranno trasferirsi. O meglio dovrebbero, perché tra loro c’è chi dice no senza nascondersi.
«Non ho alcuna intenzione di andarmene e di lasciare qui un’opera incompiuta — dice con voce calma frate Lucio, economo del convento e vicario del guardiano di Sant’Angelo — dovrei trasferirmi a Torino a 73 anni ma non lo trovo giusto, soprattutto dopo che fino a quattro anni fa ho già accettato di mettermi a disposizione per un altro nuovo incarico tra le montagne del Trentino». Frate Lucio racconta le tappe della sua biografia, dalla vocazione del 1966 agli studi, proprio tra le mura del convento di via Moscova. E sottolinea. «Negli anni Settanta siamo stati educati a dire quello che pensiamo, alla libertà unita alla responsabilità e quindi al confronto, che invece a Sant’Angelo è stato progressivamente soffocato se non eliminato».
I sei frati avevano sentito parlare da tempo della possibile chiusura del convento da parte dei loro superiori provinciali, ma nessuno si aspettava che diventasse una realtà ufficiale così all’improvviso, con la comunicazione che loro per primi hanno ricevuto il 7 giugno scorso, con l’invito a mantenere la riservatezza. In realtà nel giro di poche ore la notizia è circolata tra i fedeli particolarmente legati alla vita di Sant’Angelo, che hanno avviato immediatamente due petizioni, raccogliendo un migliaio di firme nella zona attorno a via Moscova, corso di Porta Nuova e via Bertoni. Proteste vibranti sfociate, a fine luglio, in una tesissima assemblea con i vertici provinciali dei frati minori: un muro contro muro durante il quale sono volate anche frasi forti, tutt’altro che francescane.
«C’è stata sin dall’inizio la totale chiusura a qualsiasi ipotesi alternativa, a possibili iniziative di compromesso — osserva frate Lucio, ricordando il dialogo anche informale con i superiori —. Ci hanno spiegato che è diminuito il numero dei frati e non è più possibile tenere aperto, noi avevamo chiesto due anni per trovare nuove soluzioni, le forze sono ancora sufficienti, ma non c’è stato alcun margine di discussione. Ma non vedo ragioni che giustifichino questa chiusura e temo ci sia dietro una volontà speculativa». L’immobile che ospita il convento (ma anche l’Associazione e il Commissariato Terra Santa e Mondo X, insieme all’anziano fondatore padre Eligio), in effetti sorge in un perimetro pregiato di suolo milanese. Una parte dell’edificio è da tempo occupata da un bed&breakfast che paga un canone di affitto.
Frate Lucio, tuttavia, esprime soprattutto il rammarico per le mancate occasioni di un impegno più convinto per opere di solidarietà di valore cittadino, «per esempio nei confronti degli immigrati, che vediamo in coda alla questura qui vicino». Poi sorride e chiosa: «Diciamo che, se fossimo nel 1517, questo convento si sarebbe staccato dalla provincia».
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LEGGETE ANCHE
Tutti (me compreso, vedete che uso la prima persona!) vogliamo, quasi pretendiamo, chiese sempre aperte in ogni quartiere (io quando sono in giro e vedo una chiesa aperta e non sono troppo di corsa, ci entro sempre volentieri, anche solo per un veloce segno di croce, ed è una buona cosa…); vogliamo, pretendiamo, orari delle Messe che siano tante e comode come negli anni ’70 (diciamo almeno 4 messe la domenica, tra cui scegliere la più comoda: prima o dopo la gita, prima o dopo il pranzo… e vicino a casa) e vogliamo, pretendiamo, bei conventi curati e lindi con i frati, e vogliamo, pretendiamo tante buone suorine gentili e sorridenti che facciano funzionare gli asili per i nostri figli, e magari che facciano anche buoni biscottini come vuole la tradizione.
Ma se ci sono sempre meno preti, se quasi nessuna ragazza oggi si fa suora, eccetera eccetera… sarà il caso di farcene una ragione e provare a “convertirci” tutti a sperimentare nuove forme di espressione storica del Cristianesimo. Cristo è lo stesso, ieri oggi e sempre. Ma le forme storiche cambiano, anche se non ci piace (a me per primo non piace, mea culpa). Non sappiamo ancora dove andiamo e come sarà il cristianesimo nei prossimi anni, ma la Storia ci sta obbligando comunque a cambiare. Non facciamo troppe tragedie se un convento rimasto vuoto chiude (ed è e resta per me un grosso dispiacere); chiediamoci come poter cercare di testimoniare il Vangelo noi (noi che ci lamentiamo sempre) che siamo qui adesso. Altrimenti è sempre colpa di qualcun altro: del papa, del vescovo, del Superiore regionale dei frati…
Il tuo ragionamento in parte lo condivido, in parte no.Troppo comodo dire che oggi il mondo cambia, e allora mandiamo tutto alla malora? Certo che il mondo cambia, tra parentesi è sempre cambiato anche nel passato, ma che cosa non dovrebbe mai cambiare? Parliamo di valori, di ideali, ma quali? C’è qualcosa di sostanziale, di essenziale che non solo non dovrebbe mai cambiare, ma che dovremmo anzi ricuperare, senza per questo tornare ai vecchi tempi? Tutto cambia ma nel peggio del peggio. E non dire che è il progresso! Qualcuno ha scritto, a ragione, che dovremmo fermarci, perché il corpo è andato troppo avanti, e l’anima è rimasta indietro. Il progresso, quello vero, che cos’è?
Che i conventi si chiudono e si vendono, certo non facciamone una tragedia… Ma perché, non ci facciamo la domanda: da che cosa sono sostituiti? Certo che ci sono state pretese da parte dei credenti sull’orario delle Messe, ecc. ecc. Ma il problema è di fondo. Se manca una comunità matura è perché la Chiesa isituzionale è andata a spasso con le puttane. E oggi si fa inculare da tutti.
Tutto è ridotto a mercato e anche le chiese, i monasteri, le abbazie… eccole rientrare in questo giro di affari.
E così, come di frequente accade, finiscono nelle mani di chi ha in mente come unico scopo quello di guadagnare, di far soldi e di accrescere il proprio potere.
Luoghi una volta di preghiera, oggi divenuti luoghi di bevute e mangiate, di mercato o di mostre d’arte che di sacro hanno nulla.
È vero, e noi crediamo alle parole di Cristo, quando alla donna di Samaria dice: «Credimi, donna, viene l’ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre…», ma questo fenomeno che sta accadendo della vendita di luoghi sacri, sembra più che altro, essere una conferma di una fine di questo mondo cattolico.
Questi luoghi di culto devono invece rinascere per essere come fari nelle tenebre e proseguire a vivere divenendo sempre più luoghi essenziali, puri, mistici.