L’EDITORIALE
di don Giorgio
Riflessioni di chi
non ha tempo da perdere
Quando c’è un forte temporale, e succede di tutto, tra lampi che abbagliano e tuoni che rintronano, si spera che tra il lampo e il tuono la distanza si faccia sempre più notevole, per garantirci l’allontanamento del temporale.
Ogniqualvolta ci si corica la sera o ci si alza al mattino, nessuno o nulla ci assicura che il temporale o la tempesta di fuoco e di violenza stia scemando, anzi ogni notizia mediatica sta a dirci che siamo ancora in perfetta tempesta. Una tempesta in evoluzione, destinata ad allargarsi senza saper prevedere le catastrofiche conseguenze.
Pazzia, demenza, criminalità, perversione, un tale disfacimento di coscienza da temere per la nostra salvezza di creatura divina, che si è svuotata del proprio essere?
Inutile, da vigliacchi, da idioti nascondere la testa sotto la sabbia, o aggrapparci a qualche santo del cielo nella speranza che il diavolo smetta di giocare a bocce.
Parlando di diavolo (per chi ci crede, ma l’etimologia della parola, “ciò che divide o separa”, sta a dirci una drammatica realtà di frammentazione che è sotto gli occhi di tutti), non siamo tanto ingenui da credere che il Maligno faccia tutto da solo, anzi, oggi come oggi, egli se ne sta tranquillo in cima ad una montagna, assistendo divertito a ciò che gli uomini/donne stanno combinando, disfatti nella loro immagine divina.
Politica e religione, ognuno a modo suo, magari fingendo di opporsi ma solo per accaparrarsi più potere diabolico, stanno facendo del loro “meglio”, che è il peggio del bene ormai represso sotto i piedi, per distruggere quell’Opera meravigliosa, così come è uscita dal Pensiero trinitario.
Parlavo di “frammentazione”, e qui non possiamo non dare ragione a Sant’Agostino, che, ricordando il suo passato da “dissoluto” (“sciolto” da ogni freno morale) scriveva nelle “Confessioni”: “Inveni longe me esse a te in regione dissimilitudinis”, “scoprii di essere lontano da te nella regione della dissomiglianza”, ovvero lontananza dall’Uno, dimensione alienante del molteplice.
Il Santo d’Ippona è tornato al Sé divino, quando è rientrato in se stesso, nella sua realtà interiore. Certo, non da solo, ma con l’aiuto della Grazia che si serve degli uomini o delle donne migliori (vedi Sant’Ambrogio e la madre Monica nel caso di Agostino).
Tornare in sé, che è il Sé divino: tutto qui, senza aggiungere molteplici interpretazioni e senza proporre altre soluzioni e alternative al fatto che oggi questa società, che è fatta di uomini/donne con tutti i loro problemi reali, ci sta consumando la testa, e noi, quasi impotenti, sembra quasi volerci difendere solo con una rassegnazione da codardi.
Se siamo ridotti a frammenti, dove sta lo spirito, o la psiche o il corpo? E i rimedi che efficacia possono avere, se la realtà unificante nella sua essenzialità è sparita o fatta sparire da quel tentativo, talora ben riuscito, di far creder che siamo fatti solo di corpo e di psiche, tanto più che, sparito lo spirito, la psiche sembra oramai in balìa del nulla?
E più ci godiamo lo spirito, più ci sentiamo immersi in una tale frammentazione comune da subire tutto un disagio che ricade sullo spirito, ma nello stesso tempo, nello spirito, abbiamo anche la forza interiore, quella della Grazia, di reagire in positivo.
Non è che oggi non ci sia una certa dissidenza, ma è tale che è fatta solo di borbottii, di lamentele buttate al vento, il motivo è semplice: è gente che contesta con criteri carnali, ovvero superficiali, gente alienata che sente sì un certo disagio, ma rimane all’esterno del vero problema e soprattutto non sa dove attingere l’energia più efficace per combattere il male, o, meglio, per contrapporre al male il Bene. E il bene da contrapporre non è un insieme di beni effimeri, materiali, carnali, di pelle.
La lotta che c’è, supposto che sia anche corale, è solo superficialità, emotività, talora arroganza come pretesa di riprendersi la rivincita sulle ingiustizie ricorrendo ad altre ingiustizie. Siamo in un maledetto circolo chiuso da dove si esce solo rientrando nel nostro essere, là dove lo spirito ci dà la forza di rompere il cerchio, non tanto per estraniarci isolandoci, ma per lottare al di fuori del cerchio per riportare i ciechi e gli ottusi in quella saggezza che è l’unica via di salvezza.
Se aveva ragione Carlo Maria Martini a dividere gli uomini/donne tra pensanti e non pensanti, allora possiamo anche dire che possiamo dividerli tra coloro che sono dentro e coloro che sono fuori: si pensa solo con l’intelletto attivo, che è lo spirito interiore, chi è fuori mente continuamente a se stesso.
12 ottobre 2024
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