da AVVENIRE
11 novembre 2020
Cinquant’anni fa lo straordinario Lp di De André
«La buona novella» alta e umanissima
Gigio Rancilio
Novembre 1970. Cinquant’anni fa. Mentre da tempo la sinistra giovanile italiana (e non solo quella) aveva dato vita alle contestazioni sessantottine (l’occupazione della Facoltà di Sociologia a Trento era avvenuta nel gennaio 1966) il cantautore ‘anarchico’ Fabrizio De André spiazzò tutti. L’idea, per la verità, non era sua. Era venuta al produttore Roberto Danè, che in un primo tempo voleva farla incidere a Duilio Del Prete, attore e cantautore. Prima di farlo ne parlò col suo discografico di riferimento, Antonio Casetta, che gli rispose secco: «Un progetto così devi farlo con De André».
Alcune fonti raccontano che in quel momento Fabrizio fosse in un periodo di crisi, altre che semplicemente colse al volo la portata rivoluzionaria di quella proposta: realizzare un concept album, cioè un Lp a 33 giri (come si chiamavano allora) con canzoni legate da un unico tema. In questo caso «la lettura di alcuni Vangeli apocrifi» (in particolare, come riportato nelle note di copertina, «dal Protovangelo di Giacomo e dal Vangelo arabo dell’infanzia»). Messa così sembra semplice. Ma Fabrizio e il produttore Danè lavorarono un anno alla stesura delle canzoni.
L’album, intitolato ‘La buona novella’, fu pubblicato nel novembre 1970 (sulle lacche c’è incisa la data 19 novembre 1970). Quando uscì, dalla sinistra giovanile si levarono non pochi mugugni, come ricordava De André: «Si era in piena lotta studentesca e alcuni considerarono quel disco come anacronistico. Mi dicevano: ‘Ma come? Noi andiamo a lottare nelle università e fuori dalle università contro abusi e soprusi e tu invece ci vieni a raccontare la storia – che peraltro già conosciamo – della predicazione di Gesù Cristo’». Eppure ‘La buona novella’ era il naturale approfondimento del brano ‘Si chiamava Gesù’, inciso da De André nel 1967.
Non solo provocava il mondo cattolico con una lettura ‘non canonica’ della Buona Novella, ma al contempo indicava ai contestatori Gesù Cristo come «un modello» da seguire. «Non avevano capito che voleva essere un’allegoria che si precisava nel paragone fra le istanze migliori e più sensate della rivolta del ’68 e istanze, da un punto di vista spirituale sicuramente più elevate, ma da un punto di vista etico sociale direi molto simili, che un signore 1969 anni prima aveva fatto contro gli abusi del potere, contro i soprusi dell’autorità, in nome di un egalitarismo e di una fratellanza universali. Si chiamava Gesù di Nazaret e secondo me è stato ed è rimasto il più grande rivoluzionario di tutti i tempi».
Per anni, accadde qualcosa di particolare. Mentre a sinistra si faticava ad amare ‘La buona novella’, una parte del mondo cattolico se ne innamorava. L’idea di ascoltare del Vangelo una versione non solo ‘canonica’ e soprattutto ‘apocrifa’ – ispirata per altro anche ad antichi scritti arabi, armeni, bizantini, greci che comunque avevano contribuito per secoli a costruire l’iconografia e la pietà popolare cristiana – colpiva la curiosità non solo dei giovanissimi.
Le note di copertina, scritte da Roberto Danè, partivano proprio da questo punto: «L’aggettivo ‘apocrifo’, in greco, significa ‘segreto’, ‘nascosto’ [..] Quando la Chiesa cominciò a distinguere in ‘ispirata e no’ la letteratura su Cristo, escluse quei testi apocrifi dal codice ‘canonico’. Per estensione vennero chiamati apocrifi gli scritti esclusi dal codice. Così apocrifo divenne sinonimo di ‘non veritiero’, ‘falso’, ‘non corretto’». Non pareva vero a molti di potere accedere a una ‘storia altra’, raccontata da voci ‘non corrette’ e ‘non allineate’.
L’umanizzazione di Gesù cantata da De André non piacque a tutti, ma la sua arte fece sì che brani come ‘Maria nella bottega d’un falegname’, ‘L’Ave Maria’ e ‘Il testamento di Tito’ (che rilegge i 10 comandamenti dal punto di vista del buon ladrone) in parecchi oratori divennero hit. E nel tempo si sono moltiplicate anche letture teologiche profonde di quei testi, letterariamente bellissimi e musicalmente affascinanti (grazie anche al maestro Gian Piero Reverberi e al gruppo ‘I Quelli’ che sarebbero diventati la ‘Premiata Forneria Marconi’). Uscisse oggi, cinquant’anni dopo, ‘La buona novella’ alta e umanissima probabilmente scatenerebbe i social. E così facendo ci perderemmo tutti qualcosa di ‘provocatorio’, ma di importante. Scritto da un uomo col quale si poteva non essere d’accordo, ma del quale era ed è impossibile non riconoscere una caratura artistica unica. Un uomo che non aveva timore di ammettere: «Non ho il dono della fede ma nella mia vita non posso prescindere da Cristo».
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