13 marzo 2016: QUINTA DI QUARESIMA
Dt 6,4a; 26,5-11; Rm 1,18-23a; Gv 11,1-53
Tre racconti evangelici di risurrezione
A parte la Risurrezione di Cristo, nei Vangeli troviamo tre racconti di risurrezione. I sinottici (Matteo, Marco e Luca) raccontano il miracolo con cui Gesù restituisce la vita a una ragazzina, figlia di Giàiro, capo della sinagoga ebraica; solo Luca ricorda un altro miracolo, quando Gesù ferma un funerale, e, davanti alla bara dove c’è il corpo esanime di un ragazzino, pronuncia le parole: «Alzati!», e restituisce il figlio vivo alla madre vedova, nativa di Nain, un piccolo villaggio della Palestina. Infine, troviamo il miracolo, narrato solo da Giovanni, con cui Gesù fa risorgere Lazzaro.
Una ragazzina e un ragazzino
Su tre miracoli, uno riguarda una ragazzina e un altro un ragazzino. È interessante questa particolare predilezione di Gesù nei riguardi dei più piccoli. D’altronde, chi ha più diritto a vivere: i piccoli o gli anziani? Domanda forse urtante, ma del tutto lecita.
Già qui possiamo trovare una prima polemica di Gesù nei riguardi di un mondo ipocrita e criminale, che privilegia gli interessi di vecchi balordi, a discapito dei più giovani che, di conseguenza, trovano difficoltà a sviluppare le loro migliori energie.
Certo, anche noi anziani abbiamo diritto a vivere, ma quali spazi di libertà di vivere lasciamo ai ragazzi e ai giovani di oggi? Noi adulti non facciamo altro che pretendere dalla politica un mondo fatto su misura delle nostre esigenze, talora oscene, ovvero fuori di ogni limite o di ogni decenza umana.
Ci si lamenta, a iniziare dalla Chiesa, che si fanno pochi figli, e poi questi figli in quale mondo li costringiamo a vivere o, meglio, a non vivere?
Restituire la vita ai piccoli significa non solo preoccuparsi della loro salute, ma fare di tutto perché possano crescere come esseri umani, ovvero far sì che il loro essere più profondo trovi quegli spazi vitali, per cui non sia represso o costretto a ridimensionarsi tra le quattro mura di una società decrepita.
Alzati!… Cammina!
Gesù alla ragazzina e al ragazzino ordina: «Alzati!». “Alzare” o “alzarsi” corrisponde allo stesso verbo greco che gli evangelisti usano per indicare la risurrezione di Cristo. Gesù, in altre occasioni, come ad esempio al paralitico, dirà: «Cammina!».
Alzarsi, rimettersi in movimento, agire sono atteggiamenti di chi riprende a rivivere. Cristo non mi ridà le energie perché io rimanga seduto, passivo, inetto. Ma per vivere non basta essere sani, star bene, avere soldi, avere un buon lavoro.
Talora, siamo macchine perfette. Gli ingranaggi funzionano. Ma ci manca la cosa più importante: lo spirito. È lo spirito che dà vita anche al corpo. Non è il corpo a dare vita allo spirito.
Siamo magari super-attivi, praticoni che non stanno mai fermi, impegnati in mille attività anche di volontariato, ma dentro siamo spenti. L’essere è quasi soffocato dal nostro super attivismo. Ci sembra di essere vitali, solo perché siamo trottole in continuo movimento!
Noi diciamo che la cosa più importante è la salute. Ed è già tanto riconoscere che la salute sia più importante dei soldi e del lavoro. A rovinare la salute sono proprio i beni materiali e le fabbriche che producono veleno. Ma c’è anche dell’altro. A mettere in pericolo la salute è quella sete di bisogni che ci stressano prima ancora di realizzarli. Oggi il consumismo produce esigenze tanto superflue da incidere sul nostro star bene anche fisicamente. È il superfluo il vero male che ci fa star… male! Quanto avevano ragione i nostri vecchi che dicevano: il troppo storpia (o stroppia)! Ovvero, il troppo è negativo, il troppo è troppo. Il troppo va inteso anche come desiderio ossessivo di qualcosa che mai potremmo avere.
Vieni fuori!
Cristo, davanti alla tomba di Lazzaro, non dice a bassa voce ma urla: «Vieni fuori!». Urlare davanti a un cadavere che senso può avere? Forse ce l’ha, sordi come siamo di fronte ad ogni richiamo; ma non basta urlare, se poi il cadavere sembra riprendere vita, ma ancora fasciato dalle bende. A che serve urlare cose anche belle, inviare messaggi anche interessanti e stimolanti, se poi… nulla cambia, l’uomo resta prigioniero di mille condizionamenti?
Esci!
“Vieni fuori!”, ovvero esci! Il verbo uscire è significativamente presente nella Bibbia, da quando Dio disse ad Abramo: “Esci dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre, verso la terra che io ti indicherò”.
Commenta don Angelo Casati: «Anche quando nasciamo, usciamo. Usciamo da grembi. Ed è la bellezza di essere emessi alla luce, ma contemporaneamente è avventura di essere messi nella fatica del vivere, nella condizione della provvisorietà. C’è… dentro il racconto di Giovanni tutto il mistero della fragilità della vita e dell’aggressione della morte… Siamo sulla soglia di questo mistero. Tutti usciamo verso questo luogo, quasi volessimo interrogarlo, il luogo della morte. Gli esegeti fanno notare come nel racconto di Giovanni tutti escono, quasi per un convenire: Gesù e i suoi discepoli dalla Transgiordania, i giudei da Gerusalemme, Marta dal villaggio, Maria dalla casa. Quasi un convenire sul luogo della massima rapina, del più doloroso dei furti, la morte. Ma quasi inconsciamente, parallelamente, tutti convergiamo verso un altro luogo, quel luogo ha nome Gesù e Gesù ha un altro nome, sentitelo: “Io sono la risurrezione e la vita”. Noi rimaniamo al suo pianto, o forse arriviamo alla sua preghiera, lui ha un grido: “Gridò a gran voce: Lazzaro, vieni fuori!”. Al suo grido, “il morto uscì”. Nella pagina dell’Antico Testamento era scritto che “Dio udì il grido del suo popolo oppresso”. E se ode il grido, se noi come lui udiamo il grido, c’è da sperare. Qui invece a gridare fu Dio, tutti l’udirono. E se Dio grida e alza il suo grido contro la morte, che di tutte le schiavitù è la più devastante, allora c’è da sperare. Perché così il Dio delle uscite diventa il Dio di una ulteriore uscita. Dell’ultima uscita. Dalla morte».
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