28 febbraio 2021: SECONDA DI QUARESIMA
Dt 5,1-2.6-21; Ef 4,1-7; Gv 4,5-42
“Metanoèite” e la lettura dei Vangeli
Mi verrebbe subito da dire: meno male che c’è la Quaresima per avere, ogni anno, la possibilità di rileggere alcuni testi tratti dal Vangelo di Giovanni, che ritengo fondamentali al fine di riscoprire un mondo, quello interiore o mistico, che sembra scomparso sotto il peso di una coltre che non saprei come definire: di sola dimenticanza oppure di preciso intento da parte di qualcosa di così misteriosamente malefico, difficile da individuare, se non facciamo uno sforzo di ripensamento, rientrando nel nostro io interiore, quello stesso che ritroviamo nel comando di Gesù: “Metanoèite”, ovvero “cambiate mentalità”.
Sì, per cogliere la profondità del Vangelo occorre cambiare mentalità, ovvero abbandonare quella lettura superficiale (o epidermica o carnale) di chi si limita a prendere, ad esempio, l’episodio dell’incontro di Gesù con la samaritana, come un fatto di pura cronaca: Gesù attorno a un pozzo dialoga con la donna samaritana.
Già dire attorno o vicino a un pozzo è non capire la simbologia fortemente mistica di quel pozzo. Il dialogo non è svolto attorno a un pozzo, ma dentro quel Pozzo.
Gesù e la samaritana
E qui inizia quella riflessione che, come dice già la parola, è guardarsi nel profondo, dentro il proprio essere interiore, immagine del Pozzo divino.
Pozzo, e il nome già affascina, fa pensare a qualcosa di profondo, all’acqua che proviene dal cuore della terra.
Pozzo, e il richiamo è immediato al Pozzo divino che, più scendiamo, più ci invita a scendere ancora e ancora, perché il Mistero è Mistero, ed è infinitamente profondo.
Pozzo, ed è subito un richiamo a qualcosa di perduto, visto che anche i pozzi oggi sono quasi scomparsi.
È circa mezzogiorno. Gesù con i suoi discepoli giunge nelle vicinanze di Sicar, un villaggio della Samaria, e si ferma in un luogo appartato, dove c’è un pozzo, tanto antico da risalire a Giacobbe. Gesù rimane solo, i discepoli se ne erano andati in un villaggio vicino a fare provviste di cibo. Ed ecco arrivare una donna samaritana, per attingere acqua.
Ora sembra di assistere al solito schema della Grazia divina, la quale ha la sua Ora e il suo Luogo per catturare le creature, distratte nel loro vivere o vegetare da una esistenzialità talmente carnale da non porsi neppure il problema dell’essere.
Eppure, basterebbe talora farci una sola domanda: Chi sono? Chi, non: Che cosa sono? Sono, e non: Che cosa mi preoccupa?
Sì. Una semplice domanda, se è vero che l’essenzialità dell’essere è assoluta semplicità: l’essere non ha la complessità dell’avere.
Dire essere è dire essenzialità, è dire semplicità. Dire avere è dire complessità, è dire un mucchio di cose. Dire essere è dire unicità, dire avere è dire molteplicità.
Chi sono? Già la domanda mi mette in crisi, perché la mia carnalità mi fa porre invece la domanda: di che cosa sono composto? di che cosa ho bisogno?
Ma ecco l’Ora e il Luogo della Grazia: l’Ora del mezzogiorno e il Pozzo.
Mezzogiorno, ovvero a metà giorno, quando il sole nel senso verticale picchia forte sulla nostra testa. Ma è anche l’ora della stanchezza, è l’ora in cui il corpo sente gli stimoli della fame.
La Grazia non è mai una comoda benevolenza divina, che arriva quando lo spirito è sereno o è del tutto disponibile. La Grazia preferisce le ore a metà giornata: c’è già una certa stanchezza e il corpo sente gli stimoli della fame.
Ogni ora del resto ha una sua simbologia, anche le ore dell’alba o del tramonto o le ore notturne: la propria esistenza è una complessità di ore che si accavallano talora in modo confuso e frenetico.
L’Ora della Grazia va al di là della carnalità del tempo che inesorabilmente segna le sue ore, mentre l’uomo è così distratto che non si accorge che il tempo inesorabilmente passa.
L’Ora della Grazia è l’Ora mistica, quella dell’Essere che è fuori del tempo, perché il tempo di Dio è l’Eterno presente, ovvero Dio è il Presente che segna l’Eterno nella sua essenzialità e semplicità.
Il tempo cronologico ha ore diverse, complesse, ripetitive. L’Eterno ha un’Ora sola, ed è l’Ora della Grazia.
Se una sola è l’Ora di Dio, ed è l’Ora della Grazia, così uno solo è il Luogo della Presenza divina, ed è il Pozzo da cui attingere l’ac qua dissetante per la Vita eterna, che è la Grazia.
Qui vorrei chiarire meglio.
L’episodio dell’incontro di Gesù con la samaritana viene letto, anche simbolicamente, diciamo misticamente, ma come quel dialogo, anche superbamente dialettico, attorno a un pozzo, da cui attingere acqua.
In realtà c’è di più, molto di più.
Il Pozzo è lo stesso Mistero divino, e il Mistero divino lo si scopre, più lo si approfondisce.
L’immagine del pozzo dà già l’idea di qualcosa di profondo, tanto più profondo se vi si scende alla ricerca del Mistero stesso.
Non è un pozzo che mi dà qualcosa: l’acqua per dissetare lo spirito.
Il Mistero di Dio ci immerge in Se stesso: dunque, non scendo nel pozzo per ricevere qualcosa, ma vi scendo per essere me stesso, perché è solo nel Mistero di Dio che “io sono”. In che senso?
Sono figlio di Dio, sono Dio stesso.
Ma nel pozzo si scende nudi, come lo spirito è nudo. Più vi scendo, più mi spoglio delle cose inutili.
Come si può pensare che avvenga l’Unione mistica, quando il mio spirito non è puro, ma contaminato dalle cose?
Vorrei farvi notare una cosa: la samaritana, dopo l’incontro con Gesù, si dimentica di prendere la brocca. La brocca può avere diversi significati, tra cui qualcosa di carnale come strumento per ricevere la grazia di Dio. Dopo l’incontro con Gesù, la samaritana non ha più bisogno di nulla: è già immersa nel Mistero di Dio.
Il distacco di cui parlavano i Mistici significa anche questo: staccarsi da tutto per unirsi direttamente, senza alcuna mediazione, nello Spirito divino.
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