Omelie 2013 di don Giorgio: Terza domenica di Pasqua

14 aprile 2013: Terza domenica di Pasqua

At 28,16-28; Rm 1,1-16b; Gv 8,12-19

Il primo brano della Messa narra l’arrivo di Paolo a Roma per la sua prima prigionia. Siamo dunque all’ultimo capitolo del libro “Atti degli Apostoli”. Ancora due versetti, e il libro finisce.
Appena giunto a Roma, l’apostolo vuole chiarire il vero motivo della sua condanna con i notabili della numerosa colonia giudaica presente nella capitale. Non potendosi presentare nelle loro sedi, dato che è prigioniero, Paolo li invita a casa sua per chiarire la sua situazione: vuole correggere eventuali idee distorte che i capi giudei potrebbero essersi fatti sul suo conto.
Paolo ripete ciò che aveva già detto nelle precedenti autodifese: egli non è un nemico del popolo ebraico, il “suo” popolo, e non è un dispregiatore delle istituzioni e degli usi religiosi trasmessi dai padri. È stato costretto ad appellarsi a Cesare (essendo un cittadino romano), non tanto per mettere sotto accusa il popolo ebraico o per vendicarsi di esso, quanto per difendere la propria innocenza, e anche per sfruttare l’occasione di venire a Roma e qui annunciare il Vangelo di Cristo.
I notabili ebrei come reagiscono alle parole di Paolo? Stanno un po’ sulle loro: evitano di entrare nel merito delle accuse mosse all’apostolo, si dimostrano invece interessati a conoscere più a fondo la sua dottrina, dal momento che hanno avuto modo di conoscere solo indirettamente la nuova “setta”, ritenuta fonte di turbolenze tra gli ebrei.
La parola “setta” la troviamo per la prima volta durante l’arringa dell’avvocato Tertullio, che il sinedrio aveva scelto per accusare Paolo davanti al procuratore romano Felice. Tertullio ha rivolto contro Paolo tre imputazioni: “abbiamo scoperto che quest’uomo è una peste, fomenta disordini tra tutti i Giudei che sono nel mondo ed è un capo della setta dei Nazorei (o nazareni); ha perfino tentato di profanare il tempio…”. Dunque, già Tertullio riteneva il cristianesimo una delle varie sette nate nell’ambito del giudaismo. E come tale lo giudicheranno gli avversari. Da notare come la parola utilizzata a indicare setta, nell’originale greco, indicasse un partito religioso che turbava la pace e provocava sedizioni. Non dimentichiamo questa annotazione, che è fondamentale per capire le varie persecuzioni che sono seguite al diffondersi del cristianesimo. I romani perseguiteranno i cristiani con l’accusa di creare disordini sociali, con le loro idee di uguaglianza e di giustizia. I romani se ne fregavano che i cristiani pregassero o non pregassero, si riunissero a celebrare l’eucaristia. Li temevano perché sconvolgevano l’apparato politico fondato sulla schiavitù e sulla disuguaglianza tra ricchi e poveri.
Sono d’accordo nel dire che Gesù Cristo non è venuto per fare il politico nel senso stretto della parola, ma non possiamo negare che il suo è stato un messaggio politico nel senso più largo del termine. Non ci ha detto di pregare, e basta. Non ci ha detto di essere buoni, e basta. Non ci ha detto di pensare solo all’anima, e basta. Si è rivolto ai più poveri, non tanto per consolarli dicendo loro di stare sottomessi al potere terreno. Certo, ha parlato di povertà in spirito, ma si riferiva a quella povertà che è libertà interiore. Anche i poveri possono essere schiavi di stessi, quando sognano o desiderano continuamente di essere come i ricchi. Si è schiavi di esigenze incontrollate, create ad hoc dal consumismo pubblicitario.
Non si può, dunque, ridurre il cristianesimo ad una questione di fede intimistica, ovvero di rapporto individuale tra me e Dio. Il cristianesimo è convivenza umana, che ha i suoi risvolti nella società. Perché non ci chiediamo il motivo per cui il cristianesimo primitivo ha fatto così presa sulla massa dei poveracci di quel tempo? Perché lo vedevano come una speranza di liberazione dal loro stato di miseria umana.
La cosa interessante, leggendo il libro “Atti degli apostoli”, è notare con quale entusiasmo i pagani si avvicinavano al cristianesimo, a differenza degli ebrei, più refrattari e ostili, tanto da costringere l’apostolo Paolo a rivolgersi ai più lontani.
Perché, dunque, gli ebrei hanno rifiutato Cristo, mentre i pagani lo hanno accolto? Bella domanda. Forse la stessa domanda dovremmo porla anche oggi: perché i cristiani talora rifiutano il cristianesimo, mentre i più lontani lo apprezzano? Proprio perché chi è vittima di una religione, rimane prigioniero della religione, chi invece è alla ricerca di Dio rimane più affascinato da un messaggio che è universale.
Il 15 aprile 2011 veniva barbaramente ucciso Vittorio Arrigoni, bulciaghese per nascita, palestinese per scelta e per adozione, ma cittadino del mondo e soprattutto credente nell’Umanità. Se per Carlo Maria Martini il mondo non va diviso tra credenti e non credenti (intendeva dire dal punto di vista religioso), ma tra pensanti e non pensanti, per Vittorio il mondo andrebbe diviso tra Umani e non Umani. Tutti ricordiamo l’invito con cui talora chiudeva i suoi interventi sul sito da lui gestito Guerrilla Radio”: “Restiamo Umani”.
Prima che venisse ucciso, ben pochi sapevano chi era e che cosa di grande stava facendo. Di grande, per la causa, ma in un impegno quotidiano, concreto, pur rischioso, sempre disponibile ad ogni chiamata per salvare i più oppressi. E anche dopo la sua morte ben pochi conoscono il suo impegno internazionale: ha girato mezza Europa ed è stato in Sud America e in Africa. Numerosi viaggi per compiere quel grande viaggio intorno all’uomo e dentro l’uomo. Possiamo farcene una certa idea leggendo il libro scritto dalla madre, Egidia Beretta Arrigoni, dal titolo “Il viaggio di Vittorio”. Vi invito ad acquistarlo. Mi rivolgo soprattutto ai giovani.
Ho fatto diversi interventi, anche su youtube, per esprimere la mia ammirazione per questo figlio della nostra terra brianzola, che è uscito dal piccolo mondo borghese per allargare i confini della sua anima. Un’anima senza regole, perché le regole le fissano gli uomini per stabilire chi è umano e chi non lo è, sovvertendo i diritti della coscienza universale. Vittorio nella lettera ad un’amica, scrive: “Ho assoggettato le regole della mia vita all’anarchia della mia anima”.
Sì, figlio della nostra terra brianzola, e noi ce ne siamo dimenticati, ignorandolo prima ed ora rimuovendo in fretta il suo martirio. I mass media nazionali e locali sono preoccupati di fare gossip, o cronaca nera, o rincorrendo quella impazzita politica che sta mettendo ancor più in crisi una crisi economica che persiste nel mettere in ginocchio un intero Paese. Giusto preoccuparcene, più che sacrosanto. Ma forse noi italiani non siamo ancora usciti dal buco di una mentalità ristretta che vede solo il locale, l’immediato, l’emergenza di sentirci tutti di colpo precari. E, una volta usciti, il più in fretta possibile, torneremo ad essere i soliti borghesi che vogliono pretese oltre il dovuto, senza pensare che esistono nel mondo situazioni “ordinarie” di grave emergenza umanitaria. Borghesi a tal punto da giudicare “eccentrici” o “strani” o ”fissati” coloro che vorrebbero che tutti fossero più Umani.
È davvero triste notare che neppure i martiri riescano oggi a scuotere le coscienze, e che si guardi invece al mito effimero di personaggi che lasciano il vuoto dietro di sé. Avrei desiderato che, almeno nella nostra terra, si ammirasse, quasi con invidia, un figlio che è andato oltre la fumogena cortina dei nostri miseri sogni quotidiani.
Il mio pensiero va soprattutto ai giovani, che dovrebbero sentirsi dentro scossi dalla testimonianza di un loro coetaneo che non ha perso il tempo giocando con la vita, evadendo quotidianamente dal proprio essere umano. E il mio pensiero va alle comunità cosiddette cristiane che partoriscono altro che figli del Dio dell’Umanità: un tempo si puntava alla santità, oggi si punta alla mediocrità, evitando di perdere quel poco di rottame che è rimasto. Che almeno i nostri ragazzi ogni tanto guardassero fuori dal buco della serratura della loro prigione, per capire che esiste un altro mondo, un mondo che potrebbe ridare alle loro speranze già ingiallite un motivo per rimettersi in cammino verso l’Umanità migliore.
Se i santi religiosi hanno perso in parte il loro ascendente, tranne i taumaturghi dalla grazia facile, perché noi preti non puntiamo sui Giusti che ancora credono nei valori universali, ai quali, a parte l’indifferenza generale, i giovani potrebbero sentirsi ancora attratti? Per fare quest’opera educativa, forse noi preti per primi dovremmo sentirci più Umani!

 

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